Giovanni Minellono, il «Fulmine» che voleva dimenticare la guerra

Giovanni Minellono, il «Fulmine» che voleva dimenticare la guerra
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Giovedì 2 novembre 1944 la nebbia si era infilata nelle strettoie della valle di Cogne. Però il rumore dell’acqua della Grand Eyvia non riusciva a coprire un altro rumore ben più sinistro, quello dei pesanti camion che salivano da Aosta. Nella casa bianca, risparmiata dall’alluvione dello scorso giugno, appena dopo il ponte di Chevril i pochi partigiani erano all’erta e qualcuno disse “Fulmine corri, vai ad avvisare gli altri, corri veloce Fulmine”. La vedetta Giovanni Minellono, 18 anni compiuti a maggio, uscì dalla porta mentre il rumore dei mezzi diventava sempre più forte e affrontò la salita per dare l’allarme, che arrivò a quasi sette chilometri di distanza, alla presa sul torrente dove era organizzato il nucleo di resistenza. Salirono in tanti, forse 1.000, tedeschi e soldati dei tedeschi, superando Chevril e il suo ponte fatto saltare con l’esplosivo, issati sui 2 costoni della valle, respinti con gravi perdite dal fuoco nemico, l’unico fuoco possibile con le poche munizioni a disposizione, tanto che divenne chiaro che un secondo attacco non si sarebbe potuto sostenere. I comandanti, tra i quali Giuseppe Cavagnet Plik, non ebbero altra scelta e Giovanni Minellono insieme ai compagni partì a piedi e nella neve verso la Francia. Quella traversata per Fulmine era un ricordo dolorosissimo, una fatica che gli era rimasta dentro, si ricordava del freddo - lui indossava i pantaloni corti -, la sofferenza di tanti, i colli che si susseguivano uno dopo l’altro in quel deserto bianco e poi l’arrivo, finalmente, solo per essere internati in un campo di prigionia francese.

Giovanni Minellono aveva trovato in quel gruppo di partigiani più grandi di lui la sua prima famiglia. Originario di Vistrorio nella Valchiusella era nato in viaggio, il 19 maggio del 1926, quando la mamma Maria a Sedriano di Milano aveva avuto le doglie. Il papà era caduto in Libia durante le operazioni per la riconquista della colonia e quindi non lo aveva conosciuto, la madre morì per polmonite nel 1932 quando lui aveva appena 6 anni e con lei e la sorella Bruna si era trasferito a Gressan. Qui vennero allevati da Filomena, come tutti la chiamavano, la donna che si prendeva cura degli orfani e che per lui fu una mamma, tanto che nel 1945 al rientro dalla Francia tornò ad abitare da lei.

Nel 1940, Giovanni Minellono era stato assunto alla Cogne come apprendista falegname e nell’aprile del 1944 venne chiamato, in vista dei 18 anni, alla visita militare per poi entrare a fare parte dell’esercito della Repubblica di Salò. Non si presentò, salutò Filomena e partì in montagna, al Morion sotto la Becca di Nona, dove Giulio Ourlaz, Dulo, aveva organizzato una banda. Venne battezzato Fulmine, veloce e agile come era. Dopo poche settimane la banda si trasferì a Cogne usando il trenino della miniera nella galleria del Drink e si installò a Sylvenoire, partecipando così alla nascita della Repubblica di Cogne, costituita il 7 luglio 1944. Giovanni Minellono divenne amico dei più giovani, come i figli di Franz Elter, Piero e Giorgio, di Giulio Dolchi il responsabile della radio libera, come anche di Aurora Vuillerminaz, Lola, la moglie di Dulo Ourlaz, fucilata a Villeneuve.

Tanti eventi, come la morte di Giorgio Elter, che segnarono la sua gioventù, costellata da episodi di dolore e di sacrificio. Al rientro dalla Francia poté riabbracciare la sua Filomena, mentre la sorella Bruna, per evitare possibili rappresaglie, tornata a Vistrorio aveva conosciuto ad Ivrea Palmo Oberto Tarena che lavorava al Bar del Teatro e che divenne il suo sposo. Riassunto alla Cogne come falegname, Giovanni Minellono al Pont Suaz di Charvensod durante un pomeriggio danzante conobbe Clara Benzo di Aosta, che abitava appena al di là della Dora: i 2 si sposarono nel 1951.

Così Giovanni entrò a fare parte della grande famiglia dei Benzo: il papà Giuseppe decoratore, la mamma Tersilla Agnesod, i fratelli di Clara Delfino, Ferdinando, Isidoro, Emilio, Augusto e la sorella più piccola Giuseppina, Pina. Subito lo coinvolsero, il lavoro non mancava nell’Aosta degli anni Cinquanta dove le case ed i primi condomini spuntavano come funghi e l’impresa dei Benzo decorava ed imbiancava decine di appartamenti da consegnare ai nuovi proprietari. Con i cognati Isidoro ed Emilio guardò oltre ed insieme fondarono un’impresa per le pulizie condominiali, alla quale seguì la Nitor, arrivata ad avere ben 120 dipendenti, con contratti con la Regione, la Sip, l’Enel.

Nel 1955 nacque il primo figlio Sergio, nel 1969 fu la volta di Stefano, poi nel 1971 la famiglia si allargò con l’arrivo di Mario Oberto Tarena, il nipote che nel giro di pochi mesi aveva perso il papà Palmo e la mamma Bruna, la sorella di Giovanni. Per lui e Clara fu un dono, Giovanni che aveva subito fin da giovane la crudeltà della vita e la mancanza degli affetti più forti, aprì le porte dell’alloggio di via Festaz e poi dal 1976 nella nuova casa di Cossan a quel terzo figlio, che si spense troppo presto nelle prime ore del 2013.

Attivo nella Nitor fino al 1980, Giovanni Minellono si è poi goduto la vita dal suo osservatorio privilegiato di Cossan, seguendo i suoi 3 ragazzi e poi i 2 nipoti Simone e Francesca che più di tutti gli hanno aperto il cuore, facendogli tornare alla mente episodi mai dimenticati ma accantonati perché troppo dolorosi, accompagnato da Clara per ben 71 anni, fino al 20 marzo del 2023, quando lei lo ha lasciato.

Dopo una caduta e un mese di ospedale, era rientrato a Cossan da una settimana e si è spento serenamente lunedì nella sua casa, con le finestre rivolte proprio verso Gressan, il Pont Suaz, la Becca di Nona e Cogne, i luoghi dell’infanzia, del suo incontro con Clara, della sua storia, che è stata ricordata mercoledì scorso, 14 agosto, durante il funerale nella chiesa di Saint-Martin de Corléans.

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