Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali «Nulla può mai sostituire il vedere di persona»

Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali «Nulla può mai sostituire il vedere di persona»
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Domani domenica 16 maggio la Chiesa Cattolica celebrerà la 55esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che venne istituita, con decreto conciliare nel 1963, al fine di rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa nel settore delle comunicazioni sociali. Fu celebrata per la prima volta da Papa Paolo VI, il 7 maggio 1967. Il tema scelto quest’anno da Papa Francesco è «Vieni e vedi», parole citate nel Vangelo di Giovanni (1,43-46) e hanno come sottotitolo «Comunicare incontrando le persone come e dove sono». Per un commento su questa Giornata, abbiamo intervistato il responsabile diocesano della Pastorale per la cultura e le comunicazioni sociali Ezio Bérard.

L’ufficio diocesano ha tra i suoi appuntamenti fissi la Giornata mondiale per le Comunicazioni Sociali.

«L’ufficio da me presieduto si interessa della cultura e delle comunicazioni sociali. Sono settori importanti che seguiamo con attenzione e con interesse. Nel corso dell’anno organizziamo momenti pubblici su argomenti d’attualità o storici che riteniamo significativi. La pandemia ha praticamente annullato gran parte delle iniziative in presenza».

In occasione della giornata mondiale di quest’anno quale è il suo pensiero?

«Mi pare stimolante l’invito categorico di Papa Francesco “Vieni e vedi”; ricorda che nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Per ogni espressione comunicativa che voglia essere onesta, il Santo Padre suggerisce al sistema comunicativo odierno, l’invito “a venire e vedere”, non solamente dai giornali al web, ma anche dalla predicazione ordinaria della Chiesa alla comunicazione politica o sociale. Deve restare forte l’attenzione sui rischi di finire in una comunicazione preconfezionata e sempre uguale, senza mai uscire per strada per incontrare le persone e verificare. Nel cambio epocale che stiamo vivendo, in un tempo che ci obbliga alla distanza sociale a causa della pandemia, la comunicazione può rendere possibile la dovuta vicinanza per riconoscere ciò che è essenziale e comprendere davvero il senso delle cose. Non conosciamo la verità se non facciamo esperienza, se non incontriamo le persone, se non partecipiamo alle loro gioie e ai loro dolori. Nella chiamata dei primi discepoli, con Gesù che va a incontrarli e li invita a seguirlo, vediamo anche l’invito a utilizzare tutti i media, in tutte le loro forme, per raggiungere le persone come sono e là dove vivono».

Nel Messaggio il Papa mette in guardia dal rischio di una comunicazione, da una informazione dove il rischio di un appiattimento, di informazione che può apparire preconfezionata. Lei cosa ne dice?

«Il rischio è reale: un lettore o un ascoltatore attento può rendersi conto di un’informazione che spesso riesce sempre meno a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone e non sa più cogliere, né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. Ci sono sempre di più giornali fotocopia, notiziari tv e radio, siti web sostanzialmente uguali, dove le inchieste perdono spazio a vantaggio, di una informazione preconfezionata, di palazzo.

Papa Francesco è stato chiaro quando dice che la crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, senza più consumare le suole delle scarpe».

In conclusione il Papa ha però ringraziato i giornalisti.

«È vero, dopo aver ricordato le insidie e le opportunità del web, la pandemia in corso con il rischio di dimenticare i paesi più poveri ha ringraziato i giornalisti che raccontano le guerre dimenticate. Ha citato il grande comunicatore Paolo di Tarso che si fece forte con la sua fede, la sua speranza e la sua carità impressionando coloro che lo sentirono predicare. Da qui la sfida che ci attende, quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono».

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