Geenna? Per Marco Fabrizio Di Donato un processo frutto di congetture e illazioni

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Non avere mai fatto parte di consorterie criminali, di non essere un mafioso, né uno ‘ndranghetista, e l’unica famiglia che ha è quella composta dalla moglie e dai figli. Sono le parole di Marco Fabrizio Di Donato, il 51enne condannato a 9 anni di carcere perché ritenuto il capo della locale di ‘ndrangheta di Aosta, che giovedì scorso, 17 giugno, è tornato a rendere dichiarazioni spontanee in Corte d’Appello a Torino.

Secondo Marco Fabrizio Di Donato (dal 23 gennaio 2019 quando scattò il blitz dei Carabinieri del Reparto Operativo del Gruppo Aosta è detenuto in Piemonte) il processo culminato nella sua condanna - in primo grado aveva scelto il rito abbreviato, dinanzi al Gup di Torino, e quello di giovedì scorso, iniziato il 18 maggio scorso, è il secondo grado - è basato su congetture, illazioni ed ipotesi. Le discussioni finite nelle carte riguardarebbero semplicemente degli amici, con cui intratteneva frequentazioni quotidiane, anche con i figli. Quanto ai collaboratori di giustizia sentiti nel processo Geenna secondo Marco Fabrizio Di Donato sono persone che lui non conosce e che non lo conoscono.

«Era andato a salutare i suoi cugini poco prima di Natale. Ed è l’unica occasione in cui è stato ad Aosta, si è trattato di un incontro tra parenti in occasione delle festività», ha spiegato invece l’avvocato Luigi Tartaglino, difensore di Bruno Nirta quest’ultimo considerato il promotore della locale aostana di ‘ndrangheta e condannato in primo grado a 12 anni e 8 mesi. Chiedendo l’assoluzione per tutti i capi d’accusa, il legale ha sostenuto che il suo assistito e i fratelli di Donato si fossero incontrati solo in occasione di quel pranzo prenatalizio e di non aver avuto altri contatti.

Il prossimo appuntamento è per il 1° luglio: in quell’occasione si riprenderà dalle difese che devono ancora completare le arringhe, o dalle eventuali repliche e controrepliche delle parti. Per lo stesso giorno è attesa la sentenza.

Lunedì prossimo, 21 giugno, invece, si tornerà in aula sempre a Torino per il processo d’Appello che vede sotto accusa l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, il ristoratore Antonio Raso, il dipendente del Casinò Alessandro Giachino, l'ex consigliere regionale Marco Sorbara e l'ex assessora comunale alle Finanze di Saint-Pierre Monica Carcea.

Lunedì 17 maggio il sostituto procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto 13 anni e 6 mesi di carcere per il ristoratore Antonio Raso. Quindi 6 mesi in più rispetto al processo ad Aosta (il 16 settembre 2020, il collegio di Aosta era presieduto dal giudice Eugenio Gramola) perché a Raso viene contestato pure il reato di scambio elettorale politico-mafioso dal quale era stato assolto. Il magistrato ha inoltre chiesto la conferma della sentenza di primo grado per gli altri imputati. E cioè 11 anni ciascuno per i dipendenti del Casinò di Saint-Vincent Nicola Prettico e Alessandro Giachino, accusati di associazione di tipo mafioso assieme al titolare della Pizzeria La Rotonda di Aosta Antonio Raso, e 10 anni a testa per l’ex consigliere regionale Marco Sorbara e per l’ex assessora alle Finanze del comune di Saint-Pierre Monica Carcea, per i quali l’imputazione è di concorso esterno nel sodalizio. Il processo di secondo grado, per i 5 imputati che avevano scelto il rito ordinario, si era aperto lunedì 3 maggio, davanti alla seconda sezione penale della Corte d'appello di Torino.

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