«Faccia a terra. Poi hanno iniziato a sparare, un colpo per gamba» Renzo Poser è tra i protagonisti del docufilm sugli anni di piombo
Sono gli anni Settanta. Anzi, sono gli anni «1974-1979 - Le nostre ferite», come Monica Repetto ha titolato il suo docufilm, presentato fuori concorso al Torino Film Festival e proiettato, online, da lunedì 23 a mercoledì 25 novembre scorsi. Vi si raccolgono le testimonianze di chi è sopravvissuto agli atti terroristici di quegli anni, di chi ne porta ancora i segni, fisici, e le ferite, psicologiche.
L’11 dicembre del 1979, a Torino i terroristi rossi di Prima Linea fecero irruzione nella Scuola di amministrazione aziendale. Nell'aggressione - l'unica ad una scuola - rimase coinvolto l'aostano Renzo Poser, gambizzato in un gruppo di dieci, «forse ci avevano scelti, seguiti, puntati», dopo una «lezione di vita» da parte degli aggressori. «In quegli anni abitavo a Torino con mia moglie Rossella Scancarello, eravamo sposati da poco. - ricorda Renzo Poser - Lavoravo in un ufficio che si occupava di programmazione, presso la Direzione generale della banca Sanpaolo, Rossella insegnava in una scuola fuori Torino. Nel 1978 la Sanpaolo, la Cassa di risparmio di Torino, la Fiat e l'Università di Torino, avevano aperto una scuola di amministrazione aziendale, cui poi hanno voluto affiancare un Master di due anni». Così Renzo Poser, già laureato in Scienze statistiche economiche, viene distaccato per una formazione a tempo pieno nella scuola di via Ventimiglia, vicino al Palazzo a Vela. «A settembre del secondo anno di corso, il 1979 è intervenuto l'ingegnere Carlo Ghiglieno, capo della logistica della Fiat. L'ho apprezzato molto, ispirava molta simpatia. Nel giro di poche settimane, il 21 settembre, è rimasto vittima di un attentato di Prima Linea».
I corsisti non pensavano però che un attacco potesse colpire anche loro. «Martedì 11 dicembre, dopo pranzo - continua Renzo Poser - eravamo in un momento di pausa, scrivevamo biglietti di auguri per le aziende che ci avevano ospitato durante i lavori del corso. Ricordo di avere visto arrivare due persone, un ragazzo e una ragazza. Nessuno di noi ha reagito, hanno puntato la pistola e ci hanno intimato di andare verso la nostra aula di lezione».
Altri studenti, con i docenti, sono invece riuniti nell'aula magna, per una «lezione proletaria». «Erano lontani, non sentivano cosa stava succedendo a noi. Ci hanno raggruppato, faccia al muro e hanno iniziato il “processo proletario”. Ci chiedevano chi eravamo, cosa facevamo, perché eravamo lì in quella scuola, poi sono passati a darci suggerimenti, come andare a rubare o unirci a loro che sarebbe stato meglio che seguire quella scuola».
È stato un momento di terrore, «Lo chiamano appunto terrorismo. - evidenzia Renzo Poser - Poi, al processo che si è tenuto a Milano, quando ci hanno chiamati come testimoni, li ho visti: potevano essere ragazzi della nostra età, allora avevo trentuno anni. Per giorni si sono mescolati a noi per studiare il clima della scuola.».
L'azione dura mezz'ora, tutto è veloce, non c'è tempo. Lì vicino è un piccolo parco in cui i bambini giocano e le mamme portano i passeggini. I dieci selezionati, cinque professori e cinque studenti, vengono portati in un corridoio. «Ci hanno fatto sdraiare a terra. - rammenta Renzo Poser - Hanno legato le nostre mani con le fascette da elettricista, quelle che bisogna tagliare per toglierle. Ci intimavano di tenere la faccia a terra. Poi hanno iniziato a sparare, un colpo per gamba: ci siamo resi conto che, per fortuna, non avevano intenzione di sparare “più su”, un colpo mortale. In quelle condizioni, avrebbero potuto farci fuori».
«Dai, dai, via, via», gridavano per scappare, lasciando i feriti a terra. «Uno dei proiettili mi ha trapassato una gamba e si è fermato sull'altra, vicino all'inguine. È ancora lì, incapsulato. Poi sono arrivati i soccorsi, il capo del personale della Sanpaolo si è preoccupato di avvisare i nostri parenti: Rossella e io non avevamo il telefono a casa, venne avvisata da un vicino, allertato dai nostri genitori».
Durante il suo ricovero al CTO - altri feriti invece erano alle Molinette - Renzo Poser e tutti i feriti ricevono molte visite, arriva il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero, Battista Pinin Farina, una rappresentanza della famiglia Agnelli. «Mi ha colpito, al contrario, la freddezza dei valdostani. - sottolinea Renzo Poser - Nessun telegramma di solidarietà, nessuna visita, sembrava persino che il mio racconto desse fastidio. Solo l'allora senatore Pietro Fosson venne a trovarmi, perché conosceva mio padre Carlo».
Così il ricordo viene accantonato, sepolto. «Gli strascichi sono pesanti. Non era più come prima. - conclude Renzo Poser - Per fortuna con l'andare del tempo l'ambiente sociale è cambiato, per gli interventi delle forze dell'ordine, le situazioni stavano maturando, a un certo punto non si è più parlato di terrorismo. La regista Monica Repetto mi ha contattato nel 2015, attraverso l'Associazione Italiana Vittime Del Terrorismo. Ci siamo incontrati ad Aosta, dove con la mia famiglia sono tornato alla fine del 1989. Poi, dopo due anni, siamo tornati insieme in via Ventimiglia: da solo non ci sarei mai andato. Ho vissuto il ricordo abbastanza freddamente. In alcuni momenti mi sembra che sia successo il giorno prima, comunque almeno di incubi non ne ho più».