Erik Lavevaz «grande elettore», scontro in aula sulla regolarità del voto dopo i dubbi della Lega

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Sarà il presidente della Regione Erik Lavevaz il «grande elettore» per la Valle d'Aosta nel Parlamento in seduta comune, convocato lunedì 24 gennaio per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il Consiglio Valle lo ha eletto nella mattinata di mercoledì scorso, 12 gennaio, con 19 voti a favore (quelli su cui può contare la maggioranza), 14 schede bianche e una nulla. Gli altri 2 elettori valdostani saranno la deputata Cinque stelle Elisa Tripodi e il senatore dell’Uv Albert Lanièce.

Il voto del «grande elettore» valdostano potrebbe essere stato «viziato». A nutrire qualche sospetto sulla designazione del presidente della Regione Erik Lavevaz è la Lega, per voce del suo capogruppo Andrea Manfrin. «Dall'esame delle 19 schede votate a favore del presidente Lavevaz, - spiega Manfrin, dopo aver chiesto una breve sospensione dei lavori - 11 schede riportavano il semplice cognome del candidato, in 4 il nome di battesimo è stato anteposto al cognome e nelle altre 4 si è verificato l'opposto». «Può essere che quanto rilevato sia un fatto casuale - aggiunge - ma ricordo che l'articolo 89 del regolamento del Consiglio, che tratta le designazioni dubbie, prevede che la precisazione di nome e cognome dei candidati avvenga solo in caso di omonimie, diversamente bisogna indicare solo il cognome». E rincara la dose: «Siamo di fronte a una maggioranza che non si fida di sé stessa e, supponiamo, che debba verificare con certe modalità la propria coesione interna».

Per la consigliera del Carroccio Nicoletta Spelgatti, questo modo di votare ricalca «La classica modalità del controllo con le 3 preferenze». «Sappiamo che questo metodo ha funzionato e funziona», aggiunge, per cui «Il legittimo dubbio che si sia utilizzata questa modalità anche in questa occasione da parte nostra c'è».

La replica del capogruppo dell'Union Valdôtaine Aurelio Marguerettaz: «O avete delle prove che ci sono dei consiglieri che controllano il voto», precisa, oppure «Vi prego di non infangare malamente delle persone che hanno espresso, senza nessun vincolo, una indicazione. Questo - aggiunge - va a prescindere dalle idee: qui infangate il Consiglio regionale. In caso contrario, la denuncia la facciamo noi».

Per il presidente del Consiglio Valle, Alberto Bertin, si trattava «Di una votazione aperta e chiunque poteva esprimere il nome di qualsiasi candidato. Sono particolarmente sensibile e attento a questi aspetti - precisa - e mai avrei accettato la situazione rappresentata da alcuni consiglieri in aula. La votazione è avvenuta regolarmente».

Cinque stelle e sinistre insieme

Una donna al Quirinale. Lo chiedono le delegazioni del Movimento 5 Stelle della Valle d'Aosta, di Rete Civica (componente del Progetto Civico Progressista), di Area Democratica-Gauche Autonomiste e di Adu, che si sono incontrate nei giorni scorsi. «Dopo oltre 70 anni di presidenze maschili» scrivono i 4 movimenti in una nota diffusa lunedì scorso, 10 gennaio «Crediamo sia questo il momento opportuno per dare finalmente un segnale forte e per fare in modo che l'articolo 51 della Costituzione, che afferma la parità di genere nell'accesso alle cariche pubbliche, trovi finalmente realizzazione nella carica più rappresentativa dello Stato italiano. L'indicazione comune è di operare attivamente per l'elezione di una donna alla presidenza della Repubblica, come richiesto anche dall'appello lanciato da Dacia Maraini e da tante donne della cultura e dello spettacolo».

Per la Valle d'Aosta, i grandi elettori saranno tre: la deputata Elisa Tripodi (M5s), il senatore Albert Lanièce (Union Valdôtaine) e il delegato nella seduta di mercoledì. Per le forze politiche firmatarie dell’appello, serve «Una donna custode della Costituzione antifascista, dell'unità del Paese e garante delle istituzioni, comprese quelle locali, dei diritti della persona, del lavoro, della tutela dell'ambiente e del progetto d'integrazione europea. Autorevole per il percorso compiuto, senza zone d'ombra rispetto alle leggi della Repubblica». M5s, Rc, Ad e Adu sottolineano come «Per pregiudizio maschile alle donne si chiede sempre di più» invece «riteniamo che siano molte le donne candidabili e adeguate alla carica, probabilmente più degli uomini». E concludono: «In un Paese normale non dovrebbero esistere distinzioni legate al genere, ma l'Italia è un Paese dove il tasso di femminicidi rappresenta più del 40 per cento degli omicidi commessi, dove non esiste parità salariale e dove le donne vengono ancora concepite come “il genere” destinato alla cura della casa e della famiglia».

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