«Ecco perché vale la pena di battersi in difesa delle scuole di montagna»

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Ho terminato adesso, sono circa le 21 di sabato 10, la lettura de La Vallée Notizie di oggi. A un certo punto, tra i tanti articoli, la mia attenzione è caduta su uno scritto a pie' di pagina che riguarda la scuola di Andrate. Non è stata tanto la notizia del salvataggio della scuola primaria del paese a destare il mio interesse, sono contento per loro sia chiaro, ma a malapena so dove si trovi Andrate e non ne conosco alcun abitante, ma sono stato stimolato nelle mie riflessioni dalla lettura della triste realtà per cui la sopravvivenza o la scomparsa di una scuola di un paese di montagna dipende da freddi parametri statistici e matematici stabiliti altrove, probabilmente in città e da persone che forse nel paese che la ospita non sono mai stati.

Di me dicono che io abbia una grave forma di idiosincrasia nei confronti del potere, può darsi, ma sono proprio situazioni come questa che alimentano nella gente l'allergia alla politica e ai suoi protagonisti.

Lasciamo da parte Andrate, porgendo alla sua comunità le nostre felicitazioni per il suo temporaneo successo, e allarghiamo il discorso.

Ho lavorato per quattro anni presso il municipio di Oyace e ho conosciuto da vicino la realtà di una scuola di un paese montano. La scuola di Oyace era una pluriclasse gestita da tre eroiche «maîtresses» che ho ammirato per la forza, la dolcezza e la dedizione che dimostravano. All'epoca poi quella scuola era protagonista di una sperimentazione che prevedeva momenti comuni molto importanti come «l'accueil» o il «conseil» nel corso dei quali venivano agevolati i rientri, stemperati i conflitti, spiegate le incomprensioni, eccetera. Non solo, la sperimentazione prevedeva anche una attività condivisa (quasi un piccolo gemellaggio) con una scuola di Douvaine (ricordo che in Haute Savoie a gestire l'attività era un certo maestro Favre, una simpatica coincidenza), attività che ha visto i nostri bambini soggiornare presso coetanei savoiardi e bambini savoiardi soggiornare da noi. Ma ciò che più di tutto mi ha lasciato un ricordo indelebile è stato il clima che si respirava nella scuola di quel piccolo e poco conosciuto paese, vi si viveva un'atmosfera familiare, affettivamente molto superiore a quella delle scuole di Aosta, vi si instauravano relazioni che poi continuavano durante il resto della giornata, mangiando insieme o andando a casa dei compagni o ritrovandosi al catechismo e mi fermo qui.

Un ambiente scolastico così è un maestro di vita, di relazione, di rispetto, di reciprocità che noi in città ce lo possiamo scordare, e imparare queste cose significa imparare l'arte della libertà, perché solo persone capaci di relazioni sane, di rispetto e di reciprocità possono pensare di provare a vivere da individui liberi in una società matura.

Sento già la voce degli immancabili difensori dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità; certo, mantenere le piccole scuole di paese costa ben di più che portare tutti a valle in grosse case, tutti insieme a fare le stesse cose; certo, gestire classi divise per età e con programmi rigidamente rispettati è più semplice e più efficiente dal punto di vista della trasmissione del sapere ufficiale; ma nelle lezioni sul prato (perché col bel tempo a Oyace i bambini andavano anche sul prato) com'era più bello imparare e come era più confortevole e, di conseguenza, più partecipato, e imparando a conoscere il proprio ambiente e il proprio territorio si imparava anche a desiderare di vivere lassù. Per quanto riguarda poi il livello di apprendimento non mi si venga a dire che in quel tipo di ambiente si impari di meno o che la trasmissione delle conoscenze e delle tecniche di studio siano meno efficaci, molti di quei bambini, con impegno e lavoro, pur perpetuando l'uso del patois e pur imparando col sorriso sulle labbra, si sono diplomati e tanti sono andati all'università.

Ecco, dopo aver buttato giù queste riflessioni, quello che mi lascia l'amaro in bocca è il dover prendere atto che la sorte di queste meravigliose piccole realtà sia in mano a burocrati e a politici che quasi sempre non le conoscono e, a volte, pur conoscendole, non le apprezzano; il dover prendere atto che, anche in questo campo come in molti altri, il supremo valore della libertà debba stare dietro alle logiche dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità, come se non stessimo parlando di persone ma di cose.

Nel suo saggio «Federalismo ed autonomie», ai suoi tempi Emile Chanoux scriveva: «L’alpe si spopola perché gli uomini dell’alpe si lasciano sedurre dai miraggi della città, attraverso gli esempi degli insegnanti e dei villeggianti, e perché nessuno ormai insegna loro a migliorare le proprie condizioni di vita senza rinnegare il passato della loro gente e la terra degli avi. L’insegnante della montagna dovrebbe essere un po’ una guida per il popolo della montagna e perciò deve essere montanaro con i montanari.»

Ecco, debitamente aggiornate queste parole potrebbero da sole bastare a spiegare perché valga la pena di battersi in difesa delle scuole dei paesi di montagna.

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