«E’ il legno a decidere cosa vuole diventare» Parola di Alessandra Zucco

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Quando scolpisco non ho mai fretta, ascolto il legno che mi dice che cosa vuole diventare. E’ il tempo che decide per me. A volte desidero realizzare un soggetto e si distrugge, per crearsi poi un’altra figura da sé.» Le idee così originali, lineari e aggraziate, quasi eteree e tanto apprezzate dai collezionisti, della scultrice Alessandra Zucco di Verrès nascono da quello che sente e prova, a volte dal caso, oppure da illustrazioni di libri per bambini o ancora dalle riviste di moda.

Dalla sua prima Foire de Saint Ours, nel 2009 Alessandra Zucco di strada ne ha percorsa tanta. Il suo banco dalla posizione defilata dell’inizio di via De Sales si è trasferito a pochi metri da piazza Chanoux, all’inizio di via De Tillier, e curiosi ed appassionati spingono gli occhi in avanti per inquadrare i tanti particolari delle sue eleganti realizzazioni, mai scontate, piene di significati, che proprio lei - l’autrice - spiega con un entusiasmo contagioso.

Eppure Alessandra Zucco, così valdostana nel rispetto delle tradizioni, è nata a Chivasso il 9 maggio 1972 da Carlo Zucco, piemontese di Alba, classe 1947, e da Concetta Barbieri del 1952, di origine calabrese che le somiglia incredibilmente. Papà Carlo, come tanti tecnici specializzati di quegli anni, scelse di andare a lavorare all’estero, con paghe ben diverse da quelle italiane, proprio per dare una maggiore solidità economica alla sua famiglia. Prima però lavorò alle acciaierie di Terni, dove la piccolissima Alessandra lo raggiunse insieme alla mamma Concetta e dove rimasero sino al 1976, poi il trasferimento a Monteu da Po, a 12 chilometri da Chivasso. Il padre partito per mondi lontani scriveva spesso alla famiglia lettere che arrivavano con la posta aerea e quelle buste con i bordi colorati sono rimaste bene impresse nella memoria della piccola Alessandra, che da quando ha iniziato la scuola è sempre stata «la più alta e la più secchiona della classe».

«Papà Carlo per noi bambine era una sorta di supereroe. Al ritorno da un lungo soggiorno in Nigeria ci raccontò di avere mangiato un serpente e forse anche dei ratti arrosto. Il più grande desiderio di tutti noi era di potere finalmente vivere e finalmente a Verrès diventammo famiglia.» Decisiva fu la nascita della sorella Serena, il 2 ottobre 1978 sempre a Chivasso: a quel punto Carlo Zucco lasciò il lavoro all’estero e divenne il manutentore assemblatore degli impianti di produzione di gas industriale della Rivoira di Chivasso e di Verrès, dove a questo punto trasferì la famiglia nel 1981.

Anche la mamma Concetta lavorava come operaia in una ditta piemontese che produceva elementi in eternit e ha condotto una vita di sacrifici allevando da sola Alessandra per i primi sei anni, nonostante l’impegno in fabbrica. Aveva solo l’aiuto della madre, Maria Teresa Rizzo, classe 1913, originaria di Maierato nel catanzarese, presto diventata una figura molto importante per la nipote Alessandra. «Con la nonna sono stata tanto e le ho dedicato una scultura che rappresenta una donna con una gerla piena di fiori sulle spalle e con una bambina per mano. Lei amava molto camminare, tanto che a volte mi proponeva di andare a prendere la mamma al lavoro, percorrendo quattro chilometri a piedi, oppure di raccogliere lumache, funghi o pannocchie da arrostire sulla brace. Altre volte, semplicemente, andavamo al mercato del paese vicino e tornavamo in autostop perché cariche di spesa. La nonna Maria Teresa mi ha insegnato, inoltre, a fare la pasta in casa e il pane nel forno a legna. Morta a ben centodueanni anni a fine 2015, è stata attiva e autonoma fino all’ultimo, curando il giardino e il pollaio. Era proprio una donna di una volta.»

Alessandra ha quindi concluso le scuole elementari e frequentato le scuole medie a Verrès. Si è poi iscritta al Liceo scientifico di Pont- Saint-Martin e successivamente all’Università a Torino, dove si è laureata in Lettere e Filosofia, continuando a vivere a Verrès. Nel 1997 ha vinto il concorso da ispettore di polizia locale: «E’ stata una sorpresa, ho partecipato quasi per caso, pensando di non superarlo, dopo avere fatto un’esperienza a tempo determinato come vigile urbano. Il mio sogno sarebbe stato insegnare ma, dopo qualche supplenza, è capitato il concorso e, avendolo superato, ho accettato l’incarico al Comune di Verrès e ho concluso gli studi lavorando. Il lavoro su più turni mi ha così consentito di scolpire, dando inizio e poi continuando questa grande passione».

«Ho iniziato per caso - ricorda Alessandra Zucco - quando nel 2005 ho saputo di un corso di scultura tenuto da Franco Pinet a Issogne per quindici allievi. Non avrei mai pensato di appassionarmi alla scultura del legno, che vedevo come un’attività maschile. Però ho provato ed è stato amore alla prima scalpellata. Mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto, perché ero libera, avendo appena terminato gli studi universitari, e con tanto tempo per dedicarmi con serietà ed impegno a un’ipotetica nuova attività. Il primo corso base organizzato dalla Regione, della durata di due mesi, si è concluso con la Fiera di Sant’Orso, dove sono stati esposti al banco della scuola i lavori realizzati durante il corso. Poi ho avuto la fortuna di essere scelta dal maestro Pinet, nel 2007, per un biennio di bottega-scuola, duecento ore l’anno, tre sere alla settimana, con la sua supervisione continua. Eravamo un paio di allievi e lavoravamo a stretto contatto con Franco Pinet, imparando tanto da lui.»

«Il corso base - sottolinea Alessandra Zucco - è solo un banco di prova per capire se può piacere la tecnica, ma è l’approfondimento con la bottega-scuola che può far fare il salto di qualità. In seguito alla bottega-scuola ho fatto da uditrice, per continuare ad ascoltare il maestro e per aiutare gli iscritti. Andare ai corsi è anche occasione di socialità e un modo per lavorare per chi non ha un laboratorio a casa. Il vero progresso c’è stato quando Franco Pinet ha tagliato il cordone ombelicale, perché, come dice il proverbio, sbagliando si impara. A volte, se il maestro ti corregge, può indirizzarti verso la sua idea di scultura; quando scolpisci da solo individui la tua visione e la tua strada. Quando si è alle prime armi, si ha paura di sbagliare e il maestro dà i consigli giusti e, segnando con la matita, evita errori e di buttare via il pezzo. Spesso mi sono anche scoraggiata perché è stato difficile passare dal disegno bidimensionale al tridimensionale. Quando dicevo a Franco Pinet che non sarei mai arrivata alla sua tecnica, mi ha sempre risposto che la tecnica si impara, tutti possono impararla, invece il vero punto di forza sono le idee, che scarseggiano e che sono la fortuna di ogni artista. Il maestro Pinet diceva che qualsiasi cosa può essere alla base di una scultura, nulla nasce dal nulla, anche l’immagine di una rivista di moda o un cartello stradale, la natura o l’attualità.»

Così Alessandra Zucco ha attrezzato la casa come un atelier, con un banco da lavoro in sala, che le ha consentito di proseguire anche quando, il 4 marzo 2010, è diventata mamma di Alice Abate, la sua unica figlia. Cerca sempre di lavorare almeno due o tre ore al giorno, a costo di andare a letto tardi e di alzarsi presto. Le sue sculture sono il frutto del tempo e del luogo in cui viviamo, rappresentano idee serie, dalla guerra alla malattia, senza prendersi troppo sul serio, in modo leggero. Per esempio, la fenice è nata in un momento particolare, il superamento della pandemia e, dopo di lei, sono arrivati tanti altri uccellini in leggero legno di tiglio, scolpiti e colorati di rosso e nero, i colori della Valle d’Aosta, che saranno alla Fiera sia nel «Tris d’artista», al posto delle pedine, sia legati con fiocchetti al mantello ispirato a Sant’Orso «Svesti l’artista», che strizza l’occhio a un’idea di Yoko Ono e che Alessandra Zucco indosserà, invitando chi sarà interessato all’acquisto di un uccellino a sceglierlo e a slacciarlo direttamente dal capo di vestiario, superando così il distanziamento sociale imposto dalla pandemia. Un’altra opera sul banco è «Timida Guerriera», una mucca in tiglio bruciato a cannello, scolpita in seguito alla scoperta di una brutta malattia, superata grazie alla caparbietà di credere di poterne uscire e alla testimonianza degli amici di Sant’Orso, scultori e collezionisti, che le sono stati vicini con parole e gesti di affetto. Anche lo stambecco, simbolo di potere e volontà, rappresenta il superamento delle difficoltà.

«A volte sogno e realizzo le idee, per esempio la partita a tris nella mia fantasia è come una guerra che chi fa tris vince. A mente aperta le idee arrivano. La forma si crea lavorando».

Tra i temi ricorrenti, gli animali sempre stravolti nelle forme da un’ottica che ammicca al design, le figure femminili e di maternità o che richiamano la famiglia d’origine, le illustrazioni dei libri di bambini. Per esempio, continua Alessandra Zucco, «L’idea dei pesciolini, che, a seconda di come sono girati, cambiano stato d’animo e possono fungere da barometro dell’umore personale e familiare, mi è venuta da un libro che si intitola “Un mare di tristezza”.»

«Il mio legno preferito - evidenzia Alessandra Zucco - è senza dubbio l’acero: è duro, una volta levigato assume la consistenza di un avorio vegetale e ha venature madreperlacee molto belle. Utilizzato anche per realizzare i violini, è vellutato al tatto, però è duro da scolpire, ma permette di eseguire dei dettagli che altri legni non consentono perché si spaccano. Le opere di quest’anno, tuttavia, le ho realizzate in legno di tiglio, che è più leggero e poroso, adatto a essere dipinto, anche perché non ha quasi venature. Penso che ogni legno sia nobile, ha le sue caratteristiche, che vanno semplicemente valorizzate.»

In undici partecipazioni personali alla Foire, lo stile di Alessandra Zucco ha incontrato non solo l’amore dei collezionista, ma anche l’attenzione degli esperti. Così sono arrivati numerosi i riconoscimenti, dal primo nel 2014 della Fidapa dedicato alle donne artiste, con un ariete sulle ruote di pietra, poi nel 2015 il «Premio Domenico Orsi» della Fondazione comunitaria della Valle d’Aosta per la scultura dedicata alla figlia Alice, poiché il tema era quello del dono e quello per il miglior presepio a Natale a Bard, seguiti nel 2016 dal «Premio don Garino» per le sculture a carattere religioso e poi nel 2018, dal rinoscimento speciale per l’innovazione alla 65esima mostra-concorso e nel 2019 il «Prix Pierre Vietti» per lo studio e la ricerca storica sul tema dei giocattoli valdostani, che «mai avrei pensato di vincere poiché è dedicato alla scultura tradizionale», commenta Alessandra Zucco.

Sempre rimanendo in ambito artistico e in continuità con la sua laurea in Lettere, Alessandra Zucco ha riscritto, reinterpretandola, la leggenda di come è nato il pratone di Sant’Orso a Cogne, dando alle stampe la fiaba «Quattro mucche, un vitellone e il miracolo di Sant’Orso», traendo pure ispirazione dalle sculture che aveva in casa, molte delle quali sono appunto delle mucche, tutte diverse a seconda della personalità che l’artista immagina per loro, e in questo caso diventate anche illustrazioni della storia per i bambini.

Oltre all’amore sconfinato per la scultura ed agli impegni di lavoro, Alessandra Zucco ha una grande passione per il territorio di montagna nel quale vive: in inverso pratica lo sci di fondo e nella bella stagione cammina molto, insieme alle amiche. Senza disdegnare tuttavia gli sport più marini, tanto che l’accostamento al fotografo di paesaggi di mare Alberto Selvestrel nella mostra «Orizzonti interiori», curata da Daria Jorioz e aperta al pubblico fino al 3 ottobre 2021, all’Hôtel des Etats di Aosta, non era così casuale, ma forse era parte dei tanti sogni di questa ormai affermata scultrice di Verrès, che ha saputo coltivare il dono raro di innovare rispettando i valori della terra nella quale ha scelto di vivere.

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