«Dopo il caso Cogne è cambiato il modo di raccontare i delitti»

E’ stato il delitto di Cogne e non la guerra in Ucraina il fulcro della conferenza “Dal caso Cogne alla guerra in Ucraina: com’è cambiata l’informazione in 20 anni”, che si è tenuta sabato 26 marzo al Forte di Bard in occasione della mostra PhotoAnsa2021. Segno che l’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi nella villetta di Montroz, ancora oggi, smuove le coscienze e spacca l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti più del drammaticamente attuale scontro tra filorussi e sostenitori dell’Ucraina invasa da Putin. Le lancette dell’orologio sono tornate indietro di 20 anni con i giornalisti che seguirono il caso più controverso della cronaca nera e giudiziaria italiana, ovvero, tra gli altri, Elisa Anzaldo caporedattrice centrale del Tg1, Agnese Pini direttrice QN - La Nazione, Meo Ponte inviato de La Repubblica, Giuseppe Gandolfo del Tg5 ed Enrico Marcoz, responsabile della sede Ansa di Aosta. Il caso di Cogne è stato così peculiare perché, per la prima volta, lo spettatore-lettore ha vissuto la notizia emozionandosi in prima persona e prendendo una posizione netta a favore o contro la colpevolezza della principale indiziata, la madre Annamaria Franzoni poi condannata in via definitiva. «Un banale fatto di cronaca è diventato un romanzo a puntate. Dopo si è aperta una stagione di delitti, tutti raccontati in quel modo proprio perché il caso di Cogne, con l’enfasi televisiva e mediatica che aveva creato, aveva fatto da spartiacque», spiega Elisa Anzaldo, arrivata a Cogne il giorno del delitto, il 30 gennaio 2002, come inviata del Tg1 e andata via il giorno di Pasqua. Peraltro durante quel periodo la vita professionale della giornalista si intrecciò con la sfera personale, dato che conobbe al Tribunale di Aosta il giudice delle indagini preliminari del caso Cogne Fabrizio Gandini, poi diventato suo marito.