Dall’Africa all’Amazzonia, Gipsy lo zingaro di Cogne che ha girato il mondo: la storia di Carlo Jeantet

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Vai a Cogne e chiedi di Gipsy, tutti lo conoscono. Però se chiedi di Carlo Jeantet e basta, rischi di incontrare un suo omonimo, perché, soprattutto i più giovani non sanno neppure che il vero nome di Gipsy è Carlo, l’uomo che pur non avendo sangue di «zingaro» che gli scorre nelle vene, zingaro per il mondo è stato. Eccome sì! Allora facciamo un passo alla volta, indietro nel tempo. Il padre di Carlo, Giuseppe Jeantet, classe 1907, aveva lavorato nella miniera di magnetite di Colonna dove ancora nel 1964 erano occupati 741 dipendenti. La crisi economica della miniera si fece sentire tra il 1968 e il 1969 per via, soprattutto, del costo di estrazione elevato, derivante soprattutto dalla manodopera, che faceva il gioco facile della concorrenza ponendo di fatto l’ottima magnetite di Cogne fuori dal mercato. La minierà fu poi definitivamente chiusa nel mese di marzo del 1979.

Il 16 maggio 1946, Giuseppe Jeantet - figlio di Giovenale e Ombellina Perret -, sposò Marcellina Jeantet, nata anche lei a Cogne nel 1917 in piena Prima Guerra mondiale: i suoi genitori, cioè i nonni materni di Carlo Jeantet, erano Giuseppe Jeantet, omonimo del papà di Carlo, e Maria Sofia Gilliavod. La famiglia dei coniugi Giuseppe e Marcellina Jeantet si allargò nel 1948 con la nascita di Paola, la primogenita, e quindi con quella nel 1954, il 25 settembre, di Carlo.

«I loro racconti mi sorprendevano sempre - si illuminano gli occhi di Carlo Jeantet, il nostro Gipsy - erano genitori fantastici, severi ma giusti, e hanno insegnato parecchio a me e a Paola. La nostra è sempre stata una famiglia semplice, di grandi lavoratori. La mamma figlia di agricoltori, era un’ottima casalinga. Papà, inizialmente lavorò in miniera a Colonna e poi all’esterno delle gallerie con il compito di magazziniere, sempre in qualità di dipendente della Cogne. Quando papà capii che la miniera avrebbe avuto un suo finale così come è poi stato, anche lui come hanno fatto molti altri cogneins si è convertito da minatore a imprenditore turistico: dapprima costruì una casa e insieme a mia mamma Marcellina iniziarono ad affittare gli alloggi. Poi, alla fine degli anni Sessanta, costruì l’Hôtel Mont Blanc che così chiamò perché lo costruì di fronte alla prateria di Sant’Orso, in una posizione che dava la vista proprio al Monte Bianco. Credo che fu in quell’occasione che cominciarono a darmi l’appellativo Gipsy. I giovani amici di oggi non sanno neppure che mi chiamo Carlo.»

Il racconto prosegue spaziando di qua e là nella vita piuttosto impegnativa dell’albergatore di Cogne e non è tanto semplice ricostruire un puzzle i cui pezzi uniscono pezzi di storia per trasformare in sola storia unica il «vissuto» di Gipsy, anche se a questo punto subentra la curiosità di conoscere la radice vera della parola Gipsy. Pertanto, i Gipsy appartengono a un popolo nomade la cui caratteristica principale è la tradizione di tramandare oralmente la propria cultura, le proprie leggende, i propri miti. La credenza parla del loro arrivo in Turchia e da qui nel vecchio continente, attraverso il passaggio nelle zone montuose dell’Europa continentale e dei Balcani. Essi si stabilirono in molti Paesi europei e fu dato loro il nome di «gitanos» dallo spagnolo gitano (è il nome con cui sono chiamati gli zingari stanziati in Spagna e che allude alla loro origine egiziana), o «gypsies» dall’inglese.

«Mi diedero questo nome - racconta Carlo Jeantet - perché ero un po’ vagabondo, un po’ zingaro, amavo molto andare in giro, dovunque, volevo conoscere e viaggiare. I miei genitori si occupavano dell’attività turistica di famiglia e io mi sono permesso il lusso di viaggiare per il mondo, a cominciare dall’Africa, dove in Kenya, insieme agli amici Vincenzo Perruchon e Giorgio Truc, nel 1979 salimmo la Punta Lenana e i 5.200 metri del Monte Kenya, la seconda montagna del continente africano, dopo il Kilimanjaro la cui vetta è di 5.985, e sempre con loro percorremmo i parchi nazionali Amboseli sempre in Kenya e Ngorongoro in Tanzania. Poi ancora in Amazzonia, attraversata da Manaus su un battello lungo il Rio delle Amazzoni per poi scendere in un viaggio sponsorizzato dalla Fiat con mezzi 4x4. Eravamo una cinquantina di equipaggi, fu un’ottima esperienza, indimenticabile come indimenticabili sono anche i viaggi fatti in Vietnam e in Nuova Zelanda dove, sempre insieme all’amico Cento Perruchon, salimmo alle pendici del Monte Cook, ma non riuscimmo ad andare oltre perché non ce lo permise il maltempo.»

Che Gipsy sia stato un vagabondo per il mondo non c’è dubbio. Ma forse il motivo per cui Carlo Jeantet è ormai da tutti conosciuto con questo suo “pseudonimo” nasconde di sicuro un altro aspetto che è anche quello di evitare la confusione con chi porta il suo nome e il suo cognome per pura omonimia, come è abbastanza tipico in una comunità tradizionale come quella di Cogne.

«Il nome Gipsy resiste per distinguermi e per non fare confusione. I miei genitori, infatti, mi chiamarono con il nome del mio omonimo Carlo Jeantet, anche lui di Cogne. Così, con questa confusione, oggi le fatture passive le porto a lui - dice ridendo Gipsy - e i suoi assegni li incasso io. Sto scherzando! Carlo, è un grande amico e collega, oltre che vicino di casa, quasi dirimpettaio d’albergo visto che lui è il proprietario dell’Hôtel Bellevue, oltre che essere stato lo storico presidente del gruppo folcloristico Lou Tintamaro di cui io ho fatto parte, ininterrottamente, per trentacinque anni, dal 1972 al 2007. Ancora oggi, quando si presenta l’occasione, mi unisco al gruppo, indosso il costume e partecipo alle gite che lui continua a organizzare. All’epoca, quando mossi i primi passi all’interno del gruppo, il nostro idolo era il mitico maestro di sci Arturo Allera, colui che insegnò a tutti noi ragazzi di Cogne a sciare. Io e molti miei coetanei grazie a lui, diventammo maestri di sci, la professione che ho seguito per oltre trentacinque anni, numero che a quanto pare mi ha sempre portato fortuna. Lo sci è sempre stata una grande passione e oltre ad Allera fui fortunato ad avere come insegnante Nando Farcoz.»

Carlo Gipsy Jeantet ottenne il brevetto di maestro di sci nel 1972, oggi però spiega «sono troppi gli impegni che mi impediscono di continuare la professione, ma è una passione che mi resta nel cuore».

Nel 1972, Gipsy e molti ragazzi di Cogne parteciparono ai «Giochi Interneige» che si svolsero a Megève, in Francia. Del gruppo faceva parte il compianto Franco Bérthod di La Thuile. La squadra vinse e disputò poi le finali a Sarajevo, in Jugoslavia, dove per lo slalom venne schierato l’azzurro di Gressoney- Saint-Jean Franco Bieller, a quei tempi già atleta di livello mondiale. La squadra di Cogne, con sempre anche Gipsy, partecipò poi anche ai «Giochi senza Frontiere». Fu il presidente francese Charles de Gaulle che ideò il programma televisivo prodotto dall’Unione europea di radiodiffusione, andato in onda la prima volta nel 1965. De Gaulle, infatti, voleva che i giovani francesi e quelli tedeschi si incontrassero in un torneo di giochi per rafforzare il legame di amicizia tra i due Paesi. Successivamente i giochi furono proposti anche ad altri Paesi europei, tra cui l’Italia.

«La nostra squadra vinse per l’Italia, così - ripercorre quei tempi Gipsy Jeantet - partecipammo alle finali in Inghilterra. Fu un’esperienza fantastica, ma in quel periodo cominciai ad appassionarmi al lavoro dell’hôtel e abbandonai quel mondo. Con la mia famiglia costruimmo il tennis club Mont Blanc, due campi che oggi sono in rifacimento, il noleggio di sci, una piccola pista di pattinaggio rimovibile. Oltre dieci anni fa, per ricordare il grande amico Arturo Allera che aveva, invece, messo in piedi una squadra di hockey su ghiaccio nella quale giocavo pure io, decisi di inventare il “ramazza hockey” che ebbe molto successo, una sorta di hockey su ghiaccio, ma con le scope e la palla.»

E fin qui, possiamo dire di avere conosciuto il Carlo Jeantet Gipsy adulto. Tuttavia anche lui, come ognuno di noi è stato prima di tutto un bambino che ha frequentato la scuola, è diventato grande passando per l’adolescenza, si è fatto uomo. Con un grande sogno nel cassetto: quello di produrre energia pulita.

Andiamo per ordine quindi e torniamo a Carlo bambino, felice durante l’infanzia fatta di giochi sui prati intorno a casa, di momenti allegri prima e dopo la scuola, elementari e medie frequentate a Cogne, tanto che «Il rientro da scuola era la disperazione dei nostri genitori, soprattutto delle nostre mamme. Il tragitto tra la scuola e l’abitazione durava più del tempo necessario, anche un’ora quando bastavano magari quindici minuti, perché lungo la strada, con i miei compagni, ogni occasione era quella giusta per divertirci sia che ci fosse il sole, che piovesse o nevicasse. Sono ricordi fantastici rispetto ai giovani che vedo oggi; noi ragazzi di allora avevamo molte possibilità in più di giocare sempre all’aria aperta, andavamo a scuola con gli sci ai piedi! Eravamo un po’ birichini, ma non certo cattivi. Finite le scuole medie ho seguito l’indirizzo di famiglia, quindi frequentai l’Istituto professionale alberghiero a Saint-Vincent nel collegio Panorama. Però durante le estati dell’adolescenza andavo anche in alpeggio dallo zio Luigi Jeantet, a Les Ors, alle pendici della Punta Pousset. Mi piaceva ed ero felice quando la mamma ci lasciava andare su, io e mia sorella. Poi con qualche anno in più, il divertimento era frequentare, soprattutto, la mitica discoteca Lou Ressignon di Arturo Allera, diventato il punto di ritrovo invernale fino alle ore piccole per turisti e maestri di sci. In tempo di chiusura della discoteca si scendeva ad Aosta per poi risalire la valle del Gran San Bernardo, fino a Etroubles, dove a ballare si andava a La Remisa, la discoteca del ristorante La Croix Blanche. Ricordo quel periodo come un periodo molto divertente, tempi che non torneranno mai più, non per questioni d’età, ma perché è cambiato lo stile di vita dei giovani d’oggi».

L’albergatore di Cogne ha sempre avuto un sogno nel cassetto ed è riuscito a realizzarlo: ridare vita a due centraline idroelettriche costruite negli anni Trenta nella zona di Cogne e dismesse negli anni Settanta. «Questa passione nacque in me quando papà mi accompagnava a visitare le due centraline - racconta con orgoglio Gipsy Jeantet - e io ogni volta ero stupefatto dalla forza dell’acqua e dalla sua capacità di produrre energia elettrica. Poi, quando negli anni Settanta furono chiuse dalla società che allora le gestiva, l’Enel come società di riferimento all’epoca per l’energia elettrica decise di venderle al miglior offerente. Io partecipai con l’intenzione di rimetterle in piedi, aggiudicandomi l’asta. Ci sono riuscito e oggi funzionano entrambe. La centralina più piccola, situata a Molina, attinge l’acqua del torrente Grauson che scende da Gimillan, è entrata in funzione ormai otto anni fa e può arrivare a produrre circa cento kW/ora. L’altra, che utilizza le acque dell’Urtier, è più grande ed è situata nel tratto tra Cogne e Crétaz, è entrata in funzione nel novembre 2019: può arrivare alla massima potenza di circa mille kW/ora. Quindi, oggi, produco con grande entusiasmo energia pulita e rinnovabile; l’acqua che prelevo a monte viene restituita più a valle.»

La vita di albergatore e di maestro di sci, a detta di Gipsy Jeantet, non si coniugava tanto con l’idea di mettere su famiglia e «Oggi - conclude sorridendo la chiacchierata piena di ricordi Carlo Jeantet - dopo tanti amori, solamente due davvero importanti, mi ritrovo a fare felicemente, forse neanche troppo bene perché sono sempre impegnato nelle mie tante attività, da zio ai miei nipoti Matteo e Francesca che sono i figli di mia sorella Paola e mio cognato Sergio Rey. Poi, forse verrà il giorno in cui riprenderò a viaggiare, una cosa che mi manca molto. Magari per andare in Himalaya, senza la presunzione di salire vette estreme, bensì per conoscere quella zona che mi ha sempre attratto e affascinato!”

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