Cosa fanno i giovani e quale è il loro rapporto con la scuola: i dati in una tavola rotonda
In futuro ci sarà un posto in cui ritrovarsi, ospitare, fare cose insieme, riposarsi. Il progetto «Casa Zaccheo» dell’Associazione L’albero di Zaccheo, porterà a ristrutturare i due edifici de La Baita, ad Arpuilles, un tempo colonia estiva del Comune di Collegno, per trasformarle in casa accoglienza per disabili, luogo in cui realizzare progetti per giovani, casa vacanze per famiglie. Il progetto è stato scritto nel 2019, le autorizzazioni sono arrivate a febbraio 2021. «Sarebbe bello - commenta il presidente dell’associazione Alessandro Rota - che potessero partecipare alla ristrutturazione anche giovani che hanno imparato un po’ il mestiere del muratore, che si stanno formando come elettricisti, con progetti da organizzare». Su cosa facciano i giovani e quale sia il loro rapporto con la scuola hanno indagato i ragazzi dell’associazione e i dati raccolti sono stati presentati in una tavola rotonda - nel pomeriggio di mercoledì scorso, 10 novembre al Circolino di Saint-Martin ad Aosta - assieme a quelli del progetto Accogli, del Forum delle associazioni familiari, e ai dati ufficiali spiegati dalla statistica. In Accogli, hanno risposto più di 264 docenti; nel progetto Insieme per crescere, ora, i ragazzi si sono rivolti alle associazioni, e hanno risposto in 10, e via WhatsApp ai giovani, che hanno risposto in 131.
«Siamo coscienti che i numeri sono piccoli - ha spiegato Léon Sframeli - e che probabilmente hanno risposto ragazzi che, come noi, fanno parte a loro volta di associazioni e hanno una famiglia impegnata. Per questo questa sera ci vogliamo confrontare con le istituzioni».
La risposta dell’assessore all’istruzione Luciano Caveri arriva subito: «Non c’è più la famiglia allargata e ci si affida ai doposcuola, mancano persino le ideologie. - commenta nel suo intervento - Tutti vengono a bussare e chiedere se i problemi non possono essere risolti dalla scuola, che però rischia di crollare sotto troppe responsabilità. Sull’orientamento conta molto il ruolo di noi genitori: c’è il mito del diploma per poi fare concorsi, ma questa generazione è disinteressata».
Sulla definizione del termine dispersione si discute un po’: per gli studenti e le famiglie anche scegliere di cambiare indirizzo di studio all’inizio delle superiori è frustrante, «una ferita per le famiglie», sottolinea Michela Colombarini dell’Albero di Zaccheo, che vorrebbe un «patto di sangue», un accordo solido per un tavolo di lavoro che coinvolga le famiglie. Per i giovani cambiare scuola significa disperdere, anzi perdersi: per la fragilità dello studente e della famiglia, per l’assenza di interesse per ciò che si sta facendo a scuola, per il cattivo orientamento ricevuto alle medie. Altro elemento per loro fondamentale è avere un adulto con cui parlare, cosa che in genere nelle associazioni si trova, molto meno al di fuori. Allora si chiede alla scuola di essere più coinvolgente, di non far vivere lo studente in modo passivo. D’altro canto, gli insegnanti hanno risposto che il sostegno allo studente debba arrivare dalla famiglia. «Sono tutte osservazioni giuste - conclude il giovane Sframeli - ma bisogna trovare il modo di lavorare assieme, creare un rapporto nuovo tra insegnante e alunno».
«Quando ci si disperde non è un problema della scuola ma di tutti - sottolinea il moderatore della tavola rotonda Gianni Nuti, pedagogista e ora sindaco di Aosta - serve un approccio sistemico tra scuola, famiglia, territorio».
«I numeri ci dicono che in Valle d’Aosta i giovani sono pochi. - aggiunge Dario Ceccarelli, dell’Osservatorio economico e sociale della Regione - Vent’anni fa c’era il 20 per cento di giovani in più, compensati solo in parte dai flussi migratori. Dispersione vuol dire meno qualificazione e quindi la necessità di importare la classe dirigente. Se abbiamo pochi giovani, dobbiamo prendercene cura meglio. In 10 anni la popolazione scolastica è scesa di 1400 alunni, ma i giovani con un titolo universitario sono in linea con la media italiana e del Nord Ovest». Preoccupano i «neet» (i giovani che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione, «neet» è l'acronimo inglese che sta per Neither in Employment nor in Education or Training), più donne che uomini, «ma dobbiamo tener conto anche del mercato del lavoro. - continua Dario Ceccarelli - Quando le cose vanno male la dispersione diminuisce e aumenta quando vanno meglio, perché il lavoro è più appetibile. Cambia invece il valore che diamo all'istruzione e alla formazione: il mercato chiede competenze di istruzione e formazione. Ripensare il proprio percorso non è un errore».
«L’abbandono scolastico esiste da quando c’è la scuola. - commenta Patrick Vésan, politologo e segretario generale della Fondazione Comunitaria della Valle d'Aosta, che sostiene il progetto Casa Zaccheo - Bisogna leggere bene i numeri e valutare i costi del non intervento: non fare, dopo costa di più».
In attesa del Memento statistico della scuola valdostana, la sovraintendente agli Studi Marina Fey sottolinea che «l’abbandono prematuro degli studi da parte di giovani fra i 18 e i 24 anni è una curva in discesa. C’è un grande sforzo da parte della scuola - aggiunge - un grande investimento sulla formazione degli insegnanti, che però non è obbligatoria, e questo permette su più aree di sviluppare competenze come quelle richieste dai ragazzi, alunno al centro, didattica di tipo attivo modalità inclusiva. Ci sono azioni su cui bisogna continuare ad investire, far dialogare scuola e famiglia e gli insegnanti con i ragazzi». Chiude il ragionamento Katia Zanello, dell’Ufficio programmazione politiche sociali: «Dobbiamo intervenire come sistema e imparare a coprogettare - spiega - Stiamo ricevendo richieste di generi alimentari da famiglie che mai si erano rivolte ai servizi: è la punta di un grande malessere dei ragazzi. Serve un'ottica multidimensionale e bisogna fare squadra».