Corrado Gerbaz, caccia e pittura passioni che vanno a braccetto E la Valle d’Aosta scopre le scheibe

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Disse Albrecht Dürer, considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale del XVI secolo: «L’arte si nasconde nella natura e chi è in grado di catturarla ne diventa padrone».

Parole che hanno sempre risuonato nella mente di Corrado Gerbaz di Aosta, il cacciatore che dipinge la natura su pezzi di legno. Un uomo che tra la passione per la montagna e per la caccia, nel mezzo ha messo colori, matite e pennelli. La sua specialità è dipingere «scheibe», la cui tradizione alpina riporta indietro nei secoli ai bersagli in legno dipinto (entrenscheibe). Una pratica assai diffusa sulle Alpi, importata dalla Baviera, dall’Austria, dal Cantone elvetico dei Grigioni e dall’Alto Adige che faceva parte del Tirolo fino alla conclusione della Prima guerra mondiale.

Comunque dipingere «scheibe» non è da tutti. Lui, Corrado Gerbaz, però in questo eccelle. Nato ad Aosta il 24 luglio 1962 dall’unione di Flavio Gerbaz di Doues, classe 1930, ed Itala Rassa lei del 1934. I due si erano sposati nel 1953 a Doues e l’anno successivo avevano già dato la vita alla sorella di Corrado, Viviana, e nel 1956 a Diego, il fratello.

«I miei nonni materni, Giuseppe che nacque nel 1905 e Domenica Cometto del 1910 - esordisce Corrado Gerbaz - non erano valdostani. Abitavano vicino a Scarmagno e sono arrivati in Valle d’Aosta per necessità di lavoro. Il nonno, che lavorava alla Fiat a Torino, era riuscito a trovare lavoro alla Cogne di Aosta. Venire a vivere per sempre in Valle d’Aosta era una questione logistica, perché mio nonno tutti i giorni percorreva chilometri in bicicletta per scendere a Torino. Altri tempi! Per lui era tutta un’altra cosa andare dal rione del Ponte di Pietra, dove avevano trovato casa, allo stabilimento della Cogne.»

Desiré Gerbaz, classe 1901, ed Arveline Deleonard, del 1897, erano invece i nonni paterni di Corrado Gerbaz, entrambi originari di Doues. Nonno Desiré era un commerciante di legnami e appena gli si presentò l’occasione comperò a Valpelline un immobile nel complesso noto come La Fabbrica, che sin dall’inizio del Novecento era stato destinato alla fusione del rame estratto nelle miniere di Ollomont. In seguito, la destinazione dell’edificio fu quella di abitazione-dormitorio per i molti operai arrivati per costruire la centrale elettrica di Valpelline Enel e la diga di Place Moulin a Bionaz, poi negli anni Settanta nell’immobile trovò posto la sede della locale stazione dei carabinieri.

«Quando mio nonno Desiré acquistò quell’edificio, molto grande, che ancora oggi è riconoscibile per la sua forma a “elle”, lo divise tra lui e suo fratello Giosué, cioè mio zio. Era un cacciatore di camosci accanito mio nonno. E fu lui a trasmettere in famiglia il gene della caccia.»

Neppure il tempo di sapere come Corrado Gerbaz ha vissuto i suoi primi vent’anni di vita che si apre la pagina del mondo venatorio, per arrivare alla passione per il disegno e la pittura. Quindi ecco l’inizio del racconto con gli occhi lucidi di un bambino che, invece, di anni ne compirà sessanta nel 2022. Corrado Gerbaz stacca dalla parete del soggiorno il «regalo» che si è fatto nel 2010 per festeggiare i suoi primi vent’anni di caccia. Un regalo del tutto personale che mostra con orgoglio. È uno «scheibe». «Cominciai a coltivare la passione per il disegno sin dai primi anni delle scuole elementari. Disegnavo camosci, sempre camosci, solo camosci. Mi bastavano una matita, un pezzo di carta o di legno. Qualunque cosa mi capitasse a tiro e in pochi istanti la mia mano sembrava telecomandata. Non mi torna in mente il nome della mia maestra di allora, ma ricordo che quando in classe finivo di disegnare, mi prendeva il foglio e lo mostrava a tutta la scuola dicendo che avevo talento. All’età di dieci anni fu mio padre a regalarmi una valigetta di colori a olio, la prima della mia vita. Da lì tutto ebbe inizio. E non ho più smesso.»

Perché disegnare camosci e non gatti o cani, come avrebbero fatto altri bambini? Di sicuro la caccia c’entra qualcosa! «Eccome se c’entra. - prosegue Corrado Gerbaz - Ho masticato caccia sin dalla nascita. Quando ero ancora molto piccolo, prima ancora di andare a scuola, amavo ascoltare i racconti di caccia del nonno Desiré e dello zio Giosué. Mi facevo ripetere le loro avventure dieci, cento, mille volte. Ricordo quando il nonno caricava le cartucce ed io mi attaccavo a lui per vedere cosa faceva. La caccia, a quei tempi, era un’esigenza e chi aveva dei figli li portava con sé durante il periodo in cui si poteva andare a sparare. Andare a caccia significava portare a casa la carne da mangiare. Anche mio papà Flavio e mio zio Giuseppe seguivano mio nonno per aiutarlo. Proprio lo zio Giuseppe diventò un cacciatore accanito. Quando mio padre Flavio e lo zio Giuseppe partivano a caccia, avevo otto o forse nove anni, mi alzavo alle quattro del mattino e chiedevo loro di portarmi. Una volta più grandicello andavo a caccia anche con il nonno Desiré che, però, essendo avanti negli anni non ha potuto insegnarmi molto. Lo zio Giuseppe sì. Di mezzo c’era però anche mio fratello Diego, anche lui grande appassionato di caccia, che prese la sua prima licenza a sedici anni. A quell’epoca si poteva!»

«Il vuoto intorno a noi - ricorda Corrado Gerbaz - è arrivato nel 1983 con la morte del nonno Desiré. Diego ha smesso di andare a caccia, io sono dovuto partire per il servizio militare fuori Valle. Tornai a vivere tra le nostre montagne all’età di trent’anni per ragioni di lavoro e, finalmente, ho potuto frequentare il corso organizzato dal Comitato caccia e prendere la licenza. Iniziai nella Valtournenche con Mario Zanolli, poi con Claudio Ferrero. In seguito, per molti anni, ho praticato l’attività venatoria insieme a Elio Fary di Pontey che mi ha insegnato la caccia al camoscio. Lo considero ancora oggi il mio maestro, lui cacciatore di vecchio stampo cresciuto con cacciatori della valle di Clavalité. Poi, per qualche anno sono andato in solitaria, perché mi piaceva. Ero più giovane e avevo abbastanza forza per portarmi da solo zaino, fucile e camoscio sulle spalle una volta preso. Da una decina di anni ho trovato la stabilità con il mio socio aostano Domenico Fazari. La Valpelline è la nostra zona, in particolare il territorio di Bionaz nella parte del lago di Place Moulin. Se ripenso al mio primo camoscio, trent’anni fa proprio nel mio primo giorno di caccia nella zona di Ersa a Torgnon, mi emoziono ancora oggi. Così come mi emoziono a parlare delle mie scheibe.»

Prima di continuare a raccontare di caccia, disegno e pittura, facciamo qualche passo indietro nella vita di Corrado Gerbaz. Quando suo padre Flavio, dopo essere stato commerciante di legname, lavorava all’Olivetti e Corrado era ancora molto piccolo, la famiglia si trasferì a Ivrea dove lui ha frequentato le scuole elementari, medie e superiori. Diplomatosi nel 1981 all’Istituto tecnico industriale eporediese, si iscrisse, a Torino, alla facoltà di Scienze forestali. A rompere le uova nel paniere ci pensò la chiamata al servizio militare che Corrado Gerbaz svolse tra Salerno dove nel 1982 fece il Car, Roma - quattro mesi per il corso del Genio Trasmissioni - e Torino dove venne definitivamente trasferito per indossare la divisa della Compagnia atleti della squadra di tiro con carabina calibro 22 riconosciuta disciplina olimpica.

Il ritorno nella città della Mole consentì a Corrado Gerbaz, poi congedatosi il 30 giugno 1983, di avvicinarsi nuovamente alla Valle d’Aosta. La fine del servizio militare significò per lui entrare nel mondo del lavoro e ad Ivrea entrò a fare parte di uno studio di architetti come disegnatore tecnico.

Comunque, la passione per la montagna era innata in lui, tanto che quando viveva a Ivrea si dedicò all’arrampicata in parete e sulle cascate di ghiaccio nella valle dell’Orco. «È la passione per la montagna che mi ha riportato in Valle d’Aosta dove potevo finalmente riprendere a praticare lo sci alpinismo e a cacciare. Infatti, a quell’età, avevo ventinove anni, era il 1991, trovai lavoro alla Tecdis di Châtillon dove ho poi conosciuto la mia futura moglie, Erika Perrin. Ci siamo innamorati e abbiamo avuto, nel 2006, nostra figlia Marta che oggi ha 15 anni e studia al Liceo tecnologico di Aosta. Mentre Erika non è più rientrata a lavorare dopo la maternità, io mi sono trasferito alla Heltek di Hône, azienda specializzata nella progettazione e nella produzione di stampi ed assemblaggi per materiale termoplastico, dove lavoro tuttora. Appena arrivato in azienda mi fu proposto di trasferirmi in Svizzera per avviare la nuova azienda che il Gruppo Heltek aveva acquistato. Nostra figlia aveva un mese quando siamo partiti per andare ad abitare nella zona di Lugano, a Riva San Vitale sul lago. Il mio posto di lavoro era però Mendrisio. Siamo rimasti li un anno, poi siamo rientrai. Io ed Erika ci siamo sposati qualche anno dopo, a Torgnon: era il 3 ottobre del 2009. Marta era già più grande. Ha fatto lei da damigella per portare gli anelli. Forse un giorno anche Marta mi seguirà a caccia. Me lo ha già chiesto e credo che quel momento arriverà presto. Le piace sparare e intanto si allena al poligono di Aosta nella squadra dell’associazione Tiro a segno. Per lei è una passione iniziata da poco, nel luglio scorso per la precisione. Ma sin dai primi momenti i suoi istruttori hanno percepito che ha del talento. Migliora di volta in volta, ha già cominciato a gareggiare e adesso della squadra faccio parte pure io. Lei, però, regolarmente mi surclassa. Questo perché la disciplina è quella con carabina ad aria compressa, un’impostazione diversa da quella che abbiamo noi cacciatori.»

Caccia, lavoro, famiglia e disegno e pittura, con l’uso dei colori a olio, il carboncino, la matita, la china, l’acquarello e i colori acrilici. «Ero già cacciatore quando ho cominciato a dipingere le sheibe. In pratica ho unito tre mie grandi passioni: montagna, caccia e arte. Però da autodidatta totale, mi sono ispirato a Claudio Menapace, il primo pittore ufficiale di sheibe dell’Uncza, l’Unione nazionale cacciatori zona Alpi. In trent’anni ho realizzato centoventuno sheibe, pezzi sempre più richiesti per eventi vari e per i matrimoni dei cacciatori. Di tutti i miei lavori ho l’elenco completo e le relative fotografie. Non ho quasi mai dipinto la figura umana, bensì la mia specialità sono gli animali. Mi viene più facile. Per le scritte uso sempre lo stile gotico perché riprende quello originario dell’arte delle scheibe. È un lavoro certosino, lettera per lettera con l’uso della china. Secondo le esigenze di chi mi commissiona una scheibe, uso un legno piuttosto che un altro. In molti mi chiedono il noce. Ma quando non mi viene indicato espressamente il tipo di legno preferisco usare l’obeche, una pianta diffusa in Africa occidentale e centrale. È un legno compatto e leggero che, a differenza del larice e dell’abete, per fare un esempio, quando viene bagnato non tira su la peluria. Solitamente sono pezzi del diametro compreso tra i trentacinque e i quaranta centimetri che mi faccio preparare appositamente in segheria.»

Dunque, anche in Valle d’Aosta è arrivata, grazie a Corrado Gerbaz la cultura delle scheibe. Sono molte, ormai e grazie a lui, le case dei cacciatori valdostani che ne espongono una. Ma continuare ad affinare la tecnica di pittura di questa particolare forma d’arte e dedicarsi ad essa è il sogno nel cassetto: «Non vedo l’ora di potermi dedicare totalmente a questa mia passione che con la caccia e la mia famiglia sono le mie ragioni di vita. La pensione è però ancora lontana e mi devo, purtroppo, adeguare. Comunque quel giorno arriverà e allora si che potrò essere per davvero il cacciatore-pittore che voglio essere.»

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