Condannato per la maxi truffa con il vino pregiato
Martedì scorso, 30 maggio, il giudice monocratico di Aosta Marco Tornatore ha condannato Francesco Antonio Votta, 34 anni, originario di Catanzaro e residente nel milanese, a 1 anno e 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa. Era accusato di aver messo a segno nell’autunno del 2021 una maxi truffa ai danni del titolare di un’enoteca di Cervinia. Quest’ultimo doveva lasciare il negozio a seguito di uno sfratto e quindi voleva vendere 1.442 bottiglie di vino pregiato, 28 bancali in tutto, per 1 milione di euro. Il commerciante aveva conosciuto l’imputato tramite un mediatore. Gli accordi prevedevano una prima tranche da 200mila euro con un bonifico immediato, mai arrivato, poi 300mila e, in conclusione, i 500mila. Un pagamento che doveva avvenire in larga parte in nero, ha ricordato il pm Luca Ceccanti nella sua requisitoria. «In un mese - ha ricostruito il pm Ceccanti - si arriva alla conclusione dell’affare. Ma nessuno si fida». Il venditore e il mediatore «Vanno a Milano, dove trovano altri sodali. Non siamo riusciti a identificarli. Hanno auto di grossa cilindrata e indossano abiti costosi, per dare affidabilità finanziaria. Aprono una valigia per mostrare delle banconote, solo uno strato superficiale. Una volta convinto della loro buona fede, il venditore fa partire il vino da Cervinia. Nel corso del tragitto uno dei due camion sparisce». Lo guida un autista calabrese di 52 anni che abita nel milanese, assolto dall’accusa di truffa “perché il fatto non costituisce reato”. Poi, prosegue il pm, «Si aprono le valige, che però sono riempite di carta straccia». La perquisizione nella cantina di Votta porta a scoprire le bottiglie, che valgono anche decine di migliaia di euro l’una. Ma non tutte le 1.442 bottiglie sono state trovate in quella cantina. Secondo la parte civile ne mancano 453, per un valore commerciale di 233 mila euro. E tra quelle restituite una ventina sono danneggiate, per un danno di 1.000 euro. La difesa ha parlato di una ricostruzione suggestiva della Procura sostenendo che l’imputato non è mai stato presente nella fase fondamentale, quando si organizza la truffa.