Claudio Pavese, non vedente con una passione più forte di qualsiasi avversità che continua a portarlo nelle sue amate vigne di Morgex

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Ci sono delle persone nelle quali la forza, il coraggio, la voglia di vivere e di lottare non smettono mai di pulsare nel cuore, anche quando il destino, la vita, le circostanze limitano o tolgono del tutto le funzioni essenziali. Claudio Pavese di Morgex, è uno di questi, con la sua gioia di godere appieno della vita, del suo mestiere, della vigna, della passione per il canto sempre con accanto Mauriac, uno di quei cani a cui manca solo la parola, perché in fatto di fedeltà e di amore ha da insegnare tanto, soprattutto agli esseri umani. Uno su mille ce la fa, una celebre canzone di Gianni Morandi sembra ritagliata apposta per Claudio Pavese: "Sono nato il 20 aprile 1966 ad Aosta, figlio di Riccardo, classe 1937 a sua volta figlio di nonna Albine Pascal, mentre il nonno Louis era originario di Fénis, con una storia complessa e un’infanzia travagliata alle spalle. Alessandro, il padre di mia mamma Laura Roulet, classe 1939, proveniva da una famiglia di Arvier, mentre la nonna Felicina apparteneva ad una antica famiglia di Morgex, i Remondaz. Ho un fratello gemello, Andrea, attualmente geometra proprio in Comune a Arvier, sposato, con una figlia, Eleonora di ventidue anni alla voglio un bene dell’anima, come si deve voler bene ad una brava nipote e di cui posso definirmi una specie di "Zio d'America", e una sorella, Sandra del 1967”.

La vita di Claudio Pavese è stata sicuramente indirizzata dalla scelta di frequentare l'Institut Agricole Régional. “In effetti dopo le scuole a Morgex, ho seguito i corsi di agrotecnico all'Institut di Aosta e successivamente la mia attività lavorativa è iniziata grazie all’interessamento del canonico Joseph Vaudan, in Svizzera, più precisamente a Le Châble, villaggio di neanche cinquecento abitanti nel territorio di Bagnes, nel Canton Vallese.”

A Le Châble Claudio Pavese è occupato per quattro anni in un’impresa di floricultura e orticultura. “Ogni nove mesi andava rinnovato il permesso di soggiorno come previsto dalla legislazione elvetica e tra un rinnovo e l'altro, bisognava aspettare tre mesi, ma non rimanevo con le mani in mano, tornavo a Morgex ed aiutavo in cantiere mio papà Riccardo artigiano edile. La mamma Laura si è sempre occupata della famiglia e del benessere di tutti. Noi figli, dall'età di quattordici anni abbiamo lavorato, seguendo innanzitutto l'esempio e gli insegnamenti dei nostri genitori. Già ai tempi della scuola, in estate, le vacanze per me e mio fratello Andrea erano in cantiere con nostro padre. Non c’erano il mare, la spiaggia e le giornate da non sapere come riempire."

Claudio Pavese, più che la passione per l’edilizia privilegia però il mondo dell’agricoltura e in particolare quello legato alla vigna. “Tutto nasce dalle preoccupazioni di papà Riccardo, perché già allora avevo dei problemi di vista. Perciò per garantirmi un futuro sereno ed indipendente voleva creare un’opportunità che mi permettesse di rendermi partecipe ed attivo malgrado questa mia situazione, che con il tempo sarebbe peggiorata.”

“Il vigneto che continuo a curare - evidenzia Claudio Pavese - è frutto della volontà di mio padre e della famiglia che hanno sempre pensato a me e alla mia salute. Perdere il mio punto riferimento, papà Riccardo, troppo presto, a soli cinquantaquattro anni è stata una mazzata tremenda che fa male ancora oggi, anche se lo sento sempre vicino, soprattutto quando sono tra i filari della vigna perché tutto è partito da lui. Credo, anzi, sono convinto che questa grande forza che ho dentro, in gran parte venga da mio padre.”

Claudio Pavese è attualmente un non vedente. Un caso praticamente unico nella nostra regione - e raro in un contesto pure molto ampio - di viticoltore privo di vista. “Il lavoro della vigna lo porto avanti con volontà e passione, noi non vedenti siamo molto spesso ad affrontare gravi problemi interiori, dubbi ed incertezze per il futuro, ma il ricordo di papà Riccardo e di ciò che ha fatto per me mi spinge e mi sprona a non mollare. Adesso che ho perso del tutto la vista mi capita spesso di dire basta, mi fermo, mi riposo, rifletto, poi però riprendo sempre con rinnovato vigore.”

La sua vigna è ora di quattromila metri quadrati, dopo che nei primi tempi come viticoltore si occupava anche di quella confinante appartenente ad Alberto Haudemand, più ampia della sua. “Per carattere - spiega Claudio Pavese - tutto quello che faccio deve essere fatto nel miglior modo possibile, non per nulla mio fratello Andrea mi definisce “talebano”. Io metto tutto me stesso, spesso anche di più ed i risultati, alla fine, sono positivi. Al momento avrei dei miglioramenti importanti da realizzare, ne ho già parlato con Andrea, spetterà poi a lui prendere la decisione finale perché ci sono dei lavori specifici che obiettivamente io non riuscirei a fare.”

“Le potature le completo tutte con il tatto e l'esperienza trentennale, di quando riuscivo ancora a vedere, mi è di grande aiuto. Parto dalla base della vite, tolgo i polloni inutili, vado sul tralcio fruttifero e conto le gemme, sette o otto, taglio e ripulisco il resto. Questo è il metodo base, a volte non è però così semplice, soprattutto quando si incontrano variabili che richiedono una maggiore attenzione. Quest'anno - sottolinea Claudio Pavese - le potature sono già praticamente terminate, a breve raccoglierò le “frappe”, i sarmenti, e procederò con la legatura.”

Le uve coltivate da Claudio Pavese sono di Prié Blanc di Morgex che conferisce alla Cave Mont Blanc. “Prima, fino al 2017, producevo qualcosa anche per me, poi con il peggiorare della vista ho dovuto lasciare perdere. Coltivavo del Müller Thurgau e distillavo la grappa. Con la mia passione sono quindi parte di quell’insieme di storia e di tradizioni nel settore che rimanda alla memoria a don Alexandre Bougeat, nostro parroco dal 1946 al 1971. A lui si deve la promozione del vino bianco che in precedenza era destinato a un uso esclusivamente famigliare. L’abbé Bougeat ha portato innovazione, cambiamenti che hanno stimolato un vero e proprio stravolgimento di mentalità. Ha innanzitutto migliorato i metodi di lavorazione e, in un secondo momento, ha iniziato a promuoverlo e a commercializzarlo facendo prendere coscienza a tutti che il vino di Morgex poteva rappresentare un vero e proprio atout per il nostro paese. Sulla spinta della lungimiranza di don Bougeat si è costituita nel 1971 l’Association des Viticulteurs, divenuta dal 1983 Cooperativa Blanc de Morgex et de La Salle, che ha contribuito allo sviluppo e alla valorizzazione di un prodotto unico nel suo genere. Purtroppo la morte improvvisa di Alexandre Bougeat ha rallentato, ma non arrestato, quel processo evolutivo, grazie all’impegno di quanti hanno continuato l’opera nel solco dei suoi insegnamenti.”

Non esiste solo questa smisurata passione per la vigna nella vita di Claudio Pavese, che nel tempo ha sviluppato un dono, quello del canto. “Tutto ovviamente ha un inizio e in questo caso lo devo a due miei cari amici cantori, Guido Césal e Piero Brunet. Erano anni che mi sollecitavano ad entrare a fare parte della cantoria. Premesso che sono molto credente e che stavo affrontando un serio problema famigliare, feci un voto con l’impegno, nel caso di una soluzione positiva, di dedicarmi anche alla cantoria parrocchiale di Morgex. Così è stato, la grazia mi è stata concessa. Pertanto ho preso delle lezioni di canto da Luca Casella di Aosta, un non vedente come me, ed ho iniziato questa esperienza canora e continuo ancora ad esercitarmi, ora come allievo di Mathieu Grange, cercando di migliorare. Vado a cantare sempre la domenica in quella che ancora oggi viene chiamata la “Gran Messa”.”

Per Claudio Pavese quello del canto era un desiderio che lo accompagnava da sempre, come ricorda sorridendo: “Anche se nostro Signore non mi ha dato una voce particolare faccio quello che posso. Non potendo leggere lo spartito devo memorizzare, cosa non sempre facile”.

La storia recente di Claudio Pavese, viticoltore e cantore, non potrebbe essere completa se non scrivessimo di Mauriac, il suo fedele amico a quattro zampe. “Un arrivo sotto certi aspetti inaspettato ma che per me di un’importanza fondamentale. E' un cane maschio, di razza Labrador ora di otto anni. È stato il Lions Club che me lo ha dato in affido a vita. Mi sono stati di aiuto, in questo caso, mio cugino Ermes Pavese e mia zia Ernesta Martinaz, mancata di recente, perché, lo devo confessare, all'inizio, temevo di non essere in grado di gestirlo, soprattutto per le responsabilità che ne derivano. Mi hanno convinto, ho sostenuto il colloquio previsto, ho fatto la sua conoscenza ed è stato amore immediato. Non posso lasciarlo mai solo perché diventa triste e se mi assento per troppo tempo, va giù di morale. Ovviamente viene con me alla Messa e sale in cantoria, insieme ai miei amici!"

"Ho la fortuna - dice Claudio Pavese - di avere tanti amici, amici veri, intendiamoci. Li ringrazio tutti, uno ad uno per il bene che mi vogliono, per le risate che facciamo come anche per le feste e per i bei momenti che passiamo assieme. So che posso contare su di loro per qualsiasi cosa. Ovviamente al primo posto rimane la famiglia, però se non ci fossero gli amici sarebbe come avere un vuoto anche interiore. Per me, per dare un senso alla mia vita, devo trovare rifugio nelle amicizie, altrimenti dove? Non ho una compagna e dunque per me l’amicizia è un valore prezioso che mi tengo ben stretto.”

Claudio Pavese, malgrado il progressivo deteriorarsi della vista fino a perderla completamente, ha saputo trovare il punto di forza per non arrendersi mai. Anzi, il fatto di doversi mettersi in gioco quotidianamente lo porta ad ottenere tanti risultati, che lo incoraggiano. La sua è una lezione per noi tutti e soprattutto per coloro che continuano a lamentarsi per problemi che non sono neppure paragonabili. "Il periodo più brutto e più buio è stato quando abbiamo perso improvvisamente il nostro papà Riccardo, ho messo tutto in discussione, avevo voltato le spalle alla religione, avevo tanto pregato per la sua guarigione e purtroppo le cose non sono andate come avremmo tutti sperato. A un certo momento, quando meno me l’aspettavo, non so come e perché mi è giunta quella che, per chi crede come me, è una vera e propria chiamata. Volevo andare a Medjugorje, ho convinto mia madre Laura e mia sorella Sandra ad accompagnarmi. Volevo chiedere alla Vergine di poter riacquistare almeno parzialmente la vista, così non è stato, tuttavia sono tornato a casa con la fede ritrovata e rafforzata, che mi dà la forza di affrontare tutto quello che faccio, a partire dal lavoro. Mai fermarsi, mai arrendersi di fronte ai limiti che la vita ti pone davanti, ma che spesso possono diventare una base di ripartenza. Mi permetto di dirlo a coloro che non hanno il coraggio per riprendere il cammino. Certo, non è facile, comunque la vita va vissuta per quello che è, lottare e vivere anche nella semplicità di quello che si fa, fermarsi, stare seduti è a mio avviso un po' come morire. Io voglio vivere."

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