Cinquant’anni fa il tricolore sventolava sull’Everest Il racconto di Rinaldo Carrel, che partecipò all’impresa

Cinquant’anni fa il tricolore sventolava sull’Everest Il racconto di Rinaldo Carrel, che partecipò all’impresa
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Raggiungere la cima dell’Everest, con i suoi 8.848 metri la montagna più alta del pianeta, fu un’impresa eccezionale per la spedizione italiana che nel 1973 coronò il sogno di posare lassù il tricolore.

La bandiera italiana sventolò per la prima volta sul tetto del mondo il 5 maggio di 50 anni fa. Nel 1953, 20 anni prima, l’impresa di arrivare in vetta riuscì per la prima volta al neozelandese Edmund Hillary con lo sherpa Tenzin Norgay.

A «piantare» il tricolore in cima all’Everest, il 5 maggio del 1973, furono i valdostani Rinaldo Carrel e Mirko Minuzzo accompagnati dagli sherpa Shambu Tamang e Lhakpa Tenzing.

Oggi, sabato 29 aprile, dalle 10 al centro congressi di Saint-Vincent, è proprio Rinaldo Carrel, insieme a Virginio Epis, 92 anni compiuti, a ricordare quella impresa rimasta nella storia dell’alpinismo mondiale. Per l’occasione è prevista la proiezione dei filmati con immagini dell’epoca. L’appuntamento è organizzato dai gruppi Alpini di Châtillon, Saint-Vincent e Beauregard Smalp.

Guido Monzino e l’idea della spedizione

L’idea di portare il tricolore sulla vetta all’Everest fu di Guido Monzino (classe 1928, scomparso nel 1988), un uomo che della montagna aveva fatto la sua vita. Grande alpinista ed esploratore, Guido Monzino ottenne dal governo nepalese l’autorizzazione per la spedizione alla quale, grazie all’intervento dello Stato Maggiore dell’Esercito, contribuirono le Scuole militari alpine italiane e i Corpi d’armata.

Per organizzarla furono necessari 18 voli con aerei militari italiani da trasporto, un centinaio di sherpa, diverse centinaia di portatori e di yak animali di grandi dimensioni e agili arrampicatori degli altipiani himalayani.

Nella spedizione furono coinvolti scienziati e medici dell’Istituto di Fisiologia d’Alta quota di Milano. Per il trasporto al campo base delle tante apparecchiature vennero utilizzati 2 elicotteri dell’Esercito italiano e, sempre al campo base, fu installato dalla nostra Aeronautica Militare un sofisticato impianto di telecomunicazioni.

Proprio per l’uso degli elicotteri del nostro Esercito, la spedizione suscitò molte polemiche a livello internazionale. Ma per l’Esercito italiano volare a quelle quote fu un’esperienza molto importante. Gli elicotteri, infatti, furono utilizzati nella zona himalayana anche per i soccorsi.

La bandiera italiana sul tetto del mondo

Per l’attacco finale alla cima dell’Everest Guido Monzino scelse il sergente degli alpini Mirko Minuzzo, scomparso nel 2004 dopo una lunga malattia dovuta a un incidente stradale, e l’alpino Rinaldo Carrel, 2 giovani militari su cui sapeva di poter contare fino in fondo, perchè con lui avevano condiviso altre esperienze in giro per il mondo tra cui la spedizione al Polo Nord, nel 1971, che portò i primi italiani a superare il 90° Parallelo con cani da slitta e metodi tradizionali.

Proprio Rinaldo Carrel ripercorre oggi insieme a un altro elemento della spedizione, Virgilio Epis le tappe di quella «splendida avventura, affascinante quanto indimenticabile!».

«Guido Monzino scelse me e Mirko per l’attacco finale alla vetta - ricorda Rinaldo Carrel, classe 1952, all’epoca giovane alpino della Scuola militare Alpina che fu tra i più giovani conquistatori della grande montagna - e l’alba del 5 maggio ci vide pronti ad affrontare le ultime difficoltà per la salita. I nostri passi erano lenti, le nostre gambe affondavano nella neve, indossavamo le maschere dell’ossigeno, ma sapevamo di potercela fare. Il tricolore era nelle nostre mani, dovevamo portarlo lassù, sul tetto del mondo e ce la facemmo, io in cordata con lo sherpa Shambu Tamang e Mirko Minuzzo con Lhakpa Tenzing. Rammento che provai un’emozione così forte non solo per il traguardo raggiunto, anche per lo spettacolo che si presentava ai nostri occhi. Fu un momento magico che ancora oggi rivivo e racconto con grande emozione. A distanza di 50 anni però provo anche una forte tristezza e tanta nostalgia per tutti i compagni di quella meravigliosa avventura che non ci sono più».

Una seconda cordata raggiunse la vetta dell’Everest 2 giorni dopo, il 7 maggio. Era composta dal capitano dei Carabinieri Fabrizio Innamorati, dal maresciallo degli alpini Virginio Epis e dal sergente maggiore degli alpini Claudio Benedetti. Una terza cordata - formata dal capitano e dal maresciallo degli alpini Roberto Stella e Agostino Tamagno e dal sergente maggiore degli alpini Fausto Lorenzi - non ebbe la gioia di calpestare la neve in cima all’Everest. Guido Monzino, infatti, decise di interrompere la spedizione dopo il successo ottenuto dalle prime 2 cordate.

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