«Cime Bianche toglie risorse a progetti minori e meno impattanti»

«Cime Bianche toglie risorse a progetti minori e meno impattanti»
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Maturità del mercato sciistico, concorrenza internazionale e cambiamenti climatici impongono un ripensamento dell’economia legata allo sci da discesa e alle aree montane. Il Cai-Club Alpino Italiano ritiene che non vi siano le condizioni per ulteriori espansioni dei comprensori sciistici verso zone intatte più in alta quota e tantomeno all’interno delle aree protette. E che sia invece necessario gestire nel modo più razionale e sostenibile le stazioni sciistiche che presentino ancora prospettive, però nell’ambito degli attuali comprensori. Secondo il Cai si devono mettere piuttosto in evidenza località montane diverse dalle stazioni sciistiche, «Attraverso la proposta di forme di turismo differenti rispetto allo sci alpino e forme di ospitalità diffusa su tutto il territorio, dove i rifugi Cai abbiano un ruolo rilevante». Ancora: le località di montagna devono essere dotate «Di una rete moderna, capillare ed efficiente di servizi per favorire la residenza e promuovere nuove attività sostenibili, al di là dello sci o del turismo» e i ruderi delle stazioni sciistiche abbandonate (oltre 300) rimossi oppure riutilizzati. «Andrebbero potenziate le attività produttive tradizionali come il turismo rurale, la piccola impresa artigiana e l’agricoltura di montagna, in sinergia con la filiera agroalimentare».

Sono queste - in sintesi - le conclusioni del documento «Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci» elaborato dalla Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del Cai. Documento che sarà riportato sul prossimo numero della rivista Montagnes Valdotaines e sintetizzato in una lettera ai soci. Si tratta di un perfezionamento delle indicazioni contenute nel Bidecalogo, che già 20 anni fa aveva tracciato le linee di indirizzo in materia di tutela del paesaggio. L’Italia ospita circa 200 stazioni di sci, per lo più di piccole e medie dimensioni. Nonostante gli investimenti avvenuti negli anni Duemila per aumentare la capacità degli impianti di risalita, il numero di presenze annue si è stabilizzato da almeno un decennio tra i 25 e i 30 milioni. Secondo le stime, tra il 2010 e il 2019, il numero di italiani praticanti un’attività sportiva invernale è aumentato di quasi il 16 per cento, attestandosi nel 2019 intorno ai 4 milioni. Il numero degli utenti delle piste (sci alpino, snowboard, freestyle) rappresenta i 3 quarti del totale (quasi 3 milioni nel 2019, più 11 per cento dal 2010), mentre chi pratica discipline che non richiedono l’utilizzo di piste da discesa (fondo, sci alpinismo, ciaspole) rappresenta un quinto del totale, con una crescita nel decennio di quasi il 30 per cento, per raggiungere le 836mila unità. Per contro, l’aumento del numero dei praticanti è controbilanciato dal calo delle giornate trascorse in montagna dai singoli individui. Nella stagione 2018/2019, il fatturato del comparto italiano degli sport invernali è stato pari a 10,4 miliardi, meno 11 per cento rispetto alla stagione 2017/2018.

«E’ innegabile che gli impianti abbiano trainato il turismo, portando benessere economico. Però, per via di cambiamenti climatici che stanno diventando sempre più rapidi, non si sa per quanto si potrà andare avanti, sia pure con opportuni accorgimenti» commenta Piermauro Reboulaz presidente del Cai Valle d’Aosta.

«Il Cai è per mantenere l’esistente rendendolo più sostenibile, non per la proposta di nuovi impianti, ma per una razionalizzazione delle piste. La Valle d’Aosta deve prepararsi a un turismo diverso, meno quantitativo e più ambientale, traendo ispirazione anche da esperienze estere, come il Cammino di Santiago, che a differenza della Via Francigena porta flussi tutto l’anno. Anche le ciaspole, se si predisponessero idonei tracciati, potrebbero consentire di raggiungere i rifugi alpini per 12 mesi all’anno. Certe località, come Breuil Cervinia e Gressoney, dovrebbero capire che esiste pure un turismo estivo e valorizzare l’alpinismo come una risorsa. Il 29 giugno 2019 il Cai ha organizzato ad Ayas il convegno “Vivere le Alpi tra 20 anni”, in cui si è parlato anche del collegamento con Cervinia: sono arrivate oltre 200 persone. Andrebbero messe in campo altre iniziative simili. Le piccole vallate senza impianti già puntano su un turismo ambientale e non sarebbero d’accordo su un progetto in grande come il collegamento attraverso Cime Bianche, che catalizzerebbe su di sè finanziamenti elevati, togliendo risorse a progetti minori e meno impattanti».

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