«Caro Ministro, una tempesta perfetta devasta il mondo dell’allevamento»

«Caro Ministro, una tempesta perfetta devasta il mondo dell’allevamento»
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«Caro Signor Ministro Patuanelli, da piccolo allevatore di montagna in questa bella Valle d’Aosta, sento il bisogno di condividere alcune riflessioni con chi, dall' alto di una più ampia prospettiva, saprà indicare una via per permettere a pochi agricoltori superstiti di ritrovare i tanti consumatori, frastornati da aumenti ed alla ricerca di vita e alimenti più sani e vicini». Inizia così la lettera inviata dal vicepresidente dell’Arev, l’associazione che raccoglie gli allevatori valdostani, Jean Paul Chadel al ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli. In essa, Jean Paul Chadel, 40 anni, titolare di un’azienda zootecnica a Grun, sopra Saint-Vincent, riassume quella che definisce «Una tempesta perfetta». Il riferimento è all’impennata dei prezzi di carburanti e cereali a causa della guerra in Ucraina, ma anche alla siccità che potrebbe anticipare la desarpa. A fronte di tutto ciò, aumenterà la richiesta di latte e formaggi ma gli allevatori, a corto di fieno, non potranno incrementare la produzione e parallelamente l’inflazione farà lievitare ulteriormente i prezzi. «Abbiamo tutti scoperto quanto la vecchia Europa sia fragile sotto il profilo energetico ed alimentare, decenni di programmi articolati per spingere l'agricoltura e la popolazione verso un futuro più green rischiano di crollare sotto le bombe della guerra e del clima. - osserva Jean Paul Chadel - Mai così caldo, mai così secco anche nella nostra regione. In questo contesto, come sopravviverà l'allevamento valdostano? Facciamo un passo indietro: pochi anni fa si era messa in chiaro la situazione economica in cui si trovavano gli allevamenti, con i costi per la produzione di un litro di latte decisamente al di sopra della remunerazione offerta dal mercato. L'andamento da quel momento è lievemente migliorato, ma in un anno il gasolio è lievitato, per non parlare dei cereali, praticamente assenti nella nostra regione. Oggi produrre un litro di latte costa un euro, e siamo ormai oltre ogni pessimistica previsione. Come se non bastasse, nel prossimo inverno gli allevatori fronteggeranno un paradosso: il mercato sarà affamato dei nostri prodotti e l'inflazione favorirà l'aumento dei prezzi, ma non saremo in grado di aumentare la produzione perché non avremo fieno a sufficienza, ci troveremo anzi a ridurre il numero di capi, sperando in una primavera più benevola». Perciò Jean Paul Chadel si chiede: «E questo tanto sospirato aumento dei nostri listini, sarà tempestivo e sostenuto, tale da compensare l'impennata dei nostri costi? Staremo a vedere. I nostri allevatori svolgono un compito complesso e variegato, sono riuniti in varie forme associative e ognuna ha la propria funzione. Ma le critiche al lavoro degli altri sono sempre più corpose di una necessaria ma assente autocritica. Alla selezione genetica si chiede da una parte di aumentare la produttività, ma dall'altra la proverbiale rusticità delle nostre razze deve continuare a limitare l'uso di antibiotici. A chi produce si chiede di ridurre i costi, impossibile in un momento in cui questi lievitano a livello globale. A chi commercializza si chiede di promuovere e valorizzare un prodotto che, ad oggi, non ha più senso produrre». La riflessione finale di Jean Paul Chadel gronda di amarezza: «Vent’anni fa scelsi di fare l'allevatore con un semplice pensiero: se tutto andrà male, non soffrirò la fame. Questo apocalittico pensiero mi torna in mente in questa terribile annata, ma sotto il profilo economico, una categoria di allevatori è prossima all'estinzione, mentre una nuova specie troverà il proprio spazio nel mondo. Ma quale volto avrà? Quanto i vertici nazionali e regionali sapranno ridare valore a chi sfama i nostri figli, indipendentemente da materie prime straniere? Quanti produttori sapranno rispondere a queste brusche richieste e quanti saranno impreparati? Le crisi hanno sempre portato l'uomo a superare gli ostacoli, ad evolvere ad adattarsi all'ambiente. Ma una crisi non è più tale, se dura decenni; ormai è un vuoto, che ha un significato ben più grande e grave. Un vuoto che toglie speranza ai giovani e che solo i giovani potranno superare, perché solo loro sapranno andare oltre le antiche e medievali divisioni, oltre quell'insana e radicata attesa dell'aiuto dall'alto».

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