Calo dei capi produttivi, siccità, boom di richieste La tempesta perfetta che ha “esaurito” la Fontina
E’ la solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: il punto di vista cambia tutto. Le aziende che commercializzano Fontina si trovano ormai da settimane, se non mesi, alle prese con una carenza di prodotto che impedisce di fare fronte alle richieste del mercato. Una situazione difficile, di cui però l’assessore all’Agricoltura Marco Carrel sottolineava, nell’ultimo Consiglio Valle, l’aspetto positivo: «E’ segno che stiamo lavorando nella direzione giusta per valorizzare il prodotto» ha detto. Contemporaneamente l’associazione Terra Viva - in una nota - manifestava «forte preoccupazione» per la diminuzione dei capi in lattazione e «per un mondo agricolo valdostano gravemente ammalato». Due posizioni che paiono agli antipodi e che, invece, sono entrambe vere.
“Il numero dei capi scende, rischio abbandono dei terreni”
La parte negativa, innanzitutto. Nel 2023, rispetto all’anno precedente, il numero di aziende attive in Valle d’Aosta è sceso di altre 30 unità, con la perdita per il comparto di 500 bovine in lattazione. Un campanello di allarme che suona forte e chiaro perché si tratta di un problema strutturale. «L’ultima stagione è stata migliore di quella precedente, che era stata caratterizzata dalla siccità. - sottolinea Omar Tonino, presidente dell’Arev - Association Régionale Eléveurs Valdôtains - Però il calo nei numeri preoccupa. Anche nell’ambito della programmazione del territorio. In Valle d’Aosta gli animali sono sinonimo di mantenimento dei terreni: se ce ne sono meno, le terre più marginali rischiano l’abbandono».
“Incidono la siccità e il successo della promozione”
«Effettivamente al momento le aziende non riescono a soddisfare la domanda e ciò è dovuto a un insieme di fattori. - conferma il presidente del Consorzio Fontina Fulvio Blanchet - Innanzitutto la promozione svolta dal Consorzio insieme alle aziende, grazie ai contributi del Psr, ha portato a una migliore collocazione della Fontina sul mercato e a un aumento della domanda unita a una commercializzazione a un prezzo più alto e il valore aggiunto è stato ridistribuito in filiera. Il valore alla produzione che pubblica Ismea ogni anno parla chiaro in questo senso: siamo passati da un prezzo medio di commercializzazione di 10,50 euro al chilo nel 2019 ai 12,50 euro nel 2022 fino ai 13,40 euro di oggi». Un aumento della domanda, quindi, che però è andato di pari passo con una diminuzione della produzione. Se gli anni dal 2019 al 2021 hanno infatti fatto segnare un “boom” di Fontine marchiate, che hanno raggiunto le 415mila forme all’anno, rispetto a una media degli ultimi 15 anni che si attesta intorno alle 385mila («in particolare per la scelta, durante la pandemia, di puntare più sullo stagionato e meno sul fresco» chiarisce Fulvio Blanchet), la siccità del 2022 ha provocato un effetto a catena che ha svuotato i magazzini.
«L’estate siccitosa del 2022 ha fatto sì che le aziende avessero meno foraggio e di minore qualità, con una conseguente diminuzione della produzione anche nella primavera 2023. - prosegue Fulvio Blanchet - Normalmente la produzione di maggio si conserva per soddisfare la domanda di gennaio, quando si deve fare i conti con il normale calo di produzione, dal momento che nel trimestre ottobre-dicembre di norma viene prodotta la stessa quantità di latte di un solo mese del periodo gennaio-giugno. Invece, a causa della siccità e della forte domanda, le forme di maggio sono state commercializzate prima della fine dell’anno». Il periodo di criticità dovrebbe concludersi a fine marzo, quando si potranno iniziare a vendere le Fontine fatte con il latte di gennaio.
La scarsità di materia prima potrebbe portare a un aumento del prezzo di vendita? «La domanda superiore all’offerta potrebbe anche essere vantaggiosa in questo senso ma, come detto, il trend positivo sul prezzo della Fontina esiste già dal 2019» conclude il direttore Fulvio Blanchet.