«Basta ai menu con troppe portate o ai piatti complessi: il futuro sarà la specializzazione»

«Basta ai menu con troppe portate o ai piatti complessi: il futuro sarà la specializzazione»
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”Ristorazione di montagna e turismo” è stato il tema della conferenza tenuta da Paolo Massobrio - domenica scorsa, 12 dicembre, all’Hotel Bellevue di Cogne - nell’ambito della serata organizzata dalla delegazione di Aosta dell’Accademia italiana della cucina, dal titolo «L’anno che verrà». In particolare sono stati approfonditi i cambiamenti dell’era post Covid nella ristorazione. Il noto giornalista da oltre 30 anni offre ai suoi lettori la conoscenza dell’eccellenza enogastronomica italiana, raccogliendo ne «Il Golosario», giunto alla 24esima edizione, i migliori produttori, le boutique del gusto e le cantine con i vini più rappresentativi. Con più di 10 mila segnalazioni, tra cui 3.300 ristoranti, di cui quest’anno 284 nuovi, la guida è un vero punto di riferimento per gli amanti del turismo enogastronomico.

«Dal mio osservatorio pensavo che ci fosse una strage di ristoranti per il lungo periodo di chiusura al quale sono stati costretti a causa della pandemia. In realtà hanno resistito e, nelle finestre di apertura, hanno lavorato anche tanto: appena riaprivano la clientela arrivava a frotte» commenta Paolo Massobrio, intervistato per l’occasione. «Il vero problema è la mancanza di personale, sia in sala che in cucina, che è tuttora un nodo irrisolto. L’incertezza data dal Covid ha prodotto paura e determinato una fuga dal settore, che non dipende semplicemente dal reddito di cittadinanza, bensì dai sacrifici imposti a queste maestranze, con orari poco conciliabili con la vita privata e scarse possibilità di carriera, che infatti in taluni casi sono migrate verso altri settori o all’estero. Così, per far fronte al personale ridotto, molti ristoranti, anche di città come Milano e Verona, hanno dovuto rassegnarsi al doppio turno per avere meno coperti da servire contemporaneamente».

A soffrire di più sono stati i ristoranti importanti, gourmet, dagli 80 euro in su, che non possono abbassare i prezzi nè ridurre i menu. «Già in epoca pre Covid, complice l’esposizione mediatica degli chef, in tanti volevano posizionarsi nella parte alta della piramide, che però ha pochi posti, anche perché non è infinita la capacità di spesa dei potenziali clienti. Il futuro per i ristoranti sarà la specializzazione. Quest’anno, per esempio, abbiamo premiato con la corona rossa Casa Mazzucchelli di Sasso Marconi, che durante la chiusura ha approfondito i lievitati».

Non sono più credibili i menu con tante portate o con piatti complessi con materie prime costose. La tendenza è renderli più snelli, facendo ruotare i piatti, piuttosto che tenendoli sempre tutti disponibili. Quanto alla struttura del locale, «E’ ormai evidente a tutti che si debba avere un dehors, un aspetto diventato essenziale» aggiunge Paolo Massobrio. «La pandemia ha stimolato, inoltre, la nascita di altri business, nati inizialmente come un ripiego al dover tener chiuso: è il caso del servizio di consegna, che alcuni hanno mantenuto con un packaging originale».

Funziona molto bene la formula wine bar, poiché la gente ha voglia di socializzare nei locali. Convivialità e informalità sono molto ricercate, a patto che siano sempre in primo piano la qualità e il legame con l’agricoltura del territorio, vero punto di forza della cucina italiana. La qualità è diventata talmente strategica da coinvolgere anche la grande distribuzione: si trovano, per esempio, i panettoni stellati, creati da chef che hanno diversificato la propria produzione e distribuzione. Perfino il target giovane, quello dei 20-30enni, pur senza elevate capacità di spesa, ha una notevole attenzione al prodotto di qualità. I ragazzi, se non si possono permettere il ristorante, acquistano materie prime di qualità e le cucinano a casa, sviluppando queste nuove abilità. Sono anche molto più interessati di un tempo ai vini, la chiave per entrare nella buona cucina e per conoscere il territorio, pure in ottica enoturistica. «Il vino valdostano è ormai di alta qualità, alcuni nomi hanno sfondato» conclude Paolo Massobrio.

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