«Auspico un rinnovato e scientificamente corretto approccio alle fonti chanousiane»

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«Egregio Direttore, chiedo ancora spazio al suo settimanale per proseguire nell’analisi della vicenda Chanoux e, soprattutto, per fornire ai lettori - che spero interessati al dibattito storiografico in atto - ulteriori elementi di valutazione. Ritengo innanzitutto necessario chiarire il metodo con il quale mi avvicino alla ricerca storica: sono stato formato a esprimere un giudizio in base all’analisi dei documenti, non per preconcetti, pregiudizi o presunte appartenenze ideologiche e, proprio perché consapevole che ognuno di noi legge la realtà in base alla propria esperienza, mi sforzo di analizzare ogni elemento procedendo dal maggior numero di prospettive possibile, per evitare di esprimere opinioni affrettate o unilaterali, per quanto umanamente possibile.

Quanto sopra per comunicare il mio stupore in merito all’intervento della settimana scorsa del professor Andrea Désandré. Il mio contraddittore mi accusa di voler “mettere al riparo Chanoux” dalle accuse di fascismo e da ogni altro elemento in contrasto “con l’approdo finale alla Resistenza”. Invito lui, come i Suoi lettori, a leggere quanto pubblicato dal maggio 2014 sul sito della Fondation Chanoux: presentando la prima bibliografia ragionata degli scritti sul notaio, affermavo che “l’impression que l’on en tire est celle de Chanoux comme une icône, d’un personnage à citer mais à ne pas trop étudier, car toute découverte risquait de déclencher des polémiques auxquelles aucun n’avait envie de faire face”, auspicando un rinnovato e scientificamente corretto approccio alle fonti chanousiane. Sostenere che le ricostruzioni proposte dal sottoscritto sono inficiate dal desiderio di difendere a priori una certa immagine di Chanoux non corrisponde, quindi, a quanto non solo ho affermato in tempi lontani dalle attuali polemiche, ma ho anche cercato di applicare. Infatti, sempre nelle medesime pagine, ho dimostrato che su Chanoux sono state dette molte inesattezze, anche da parte di persone a lui molto vicine, come la moglie, e che quanto finora scritto su di lui ha sempre risentito del clima politico del momento e che – riporto testualmente – “une étude finalement correcte ne peut donc partir que de la connaissance la plus complète des archives contenant des informations concernant Chanoux et son époque et de la révision critique de la bibliographie parue jusqu’ici.”

Ora - e mi spiace doverlo scrivere - non solo la mancanza di ricerca d’archivio, ma soprattutto la mancanza di revisione critica anche delle proprie posizioni traspare dalle righe di Désandré. Il professore procede, infatti, in base a una lettura preconcetta, eliminando dal proprio discorso quanto non si applica al proprio paradigma interpretativo, in questo caso il supposto fascismo di Chanoux. Mi spiego con un esempio: secondo Désandré, Chanoux collaborava “con un giornale cattolico che non perde[va] occasione per esaltare il Duce e i suoi alleati”. Chanoux, però, inizia a scrivere su «Augusta Praetoria» non negli anni Trenta del generale consenso verso il fascismo, ma dall’autunno 1942: dall’inizio della guerra il settimanale diocesano aveva cessato ogni forma di celebrazione del Regime, come dimostrato da Tullio Omezzoli in Giornali in Valle d’Aosta, in ossequio alla posizione di monsignor Imberti e della maggior parte dell’episcopato italiano (come ricordo, con ampia bibliografia, a p. 77 ssg. del mio “I seicento giorni della diocesi di Aosta”). Allo stesso modo, la firma del concordato del 1933 con la Germania nazista è addotto a prova della connivenza tra Chiesa e Reich. Ampliando la prospettiva, si nota, però, che una costante della politica estera vaticana tra le due guerre fu la ricerca di accordi con il maggior numero di Stati possibile, proprio nell’ottica dello “scudo” citata dallo stesso professor Désandré, senza però esplicitarne motivazioni e conseguenze. Di fronte alla sfida dei totalitarismi, la Chiesa cercò di difendere clero e fedeli con le armi della diplomazia e firmò accordi con vari Stati, anche alcuni che non condividevano certo le posizioni naziste. A titolo di esempio, nel 1929 l’episcopato messicano firmò degli arreglos (accordi) con lo Stato messicano al fine di far cessare il conflitto militare contro i cattolici (i Cristeros) e non certo per affermare la propria consonanza col governo, fautore di una vera e propria persecuzione religiosa. Lo stesso tipo di persecuzione che portò migliaia di sacerdoti e fedeli cristiani e cattolici nei lager nazisti ben prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e determinò Pio XI a pubblicare l’enciclica Mit brennender Sorge, con la quale nel 1937 condannò proprio il neopaganesimo razzista di Hitler. Perché non ricordare tutto questo, ma ridurre la complessità delle vicende storiche a una manichea separazione tra nazifascisti e antifascisti? Forse occorrerebbero una più serena analisi delle fonti e la loro comparazione col contesto contemporaneo per evitare pareri basati su datati pregiudizi o anche su vicende successive che, ovviamente, non potevano essere note in precedenza ai personaggi di cui stiamo parlando».

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