Aosta, 28 marzo 2030

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In questi giorni sui giornali italiani e francesi e ben oltre è un proliferare di esercizi più o meno letterari che tentano di proiettare il nostro presente in un futuro più o meno lontano. Cosa racconteremo ai nostri figli tra dieci anni, come sarà il mondo in cui viviamo nel 2030 e così via. Sono esercizi pretestuosi ma non privi di fascino. Chi esce di casa in questi giorni trova una città deserta eppure le stazioni di servizio sono illuminate e i semafori funzionano come mossi da una mano misteriosa. Chi avrebbe mai detto che avremmo vissuto quella dimensione quasi profetica descritta da Guido Morselli in Dissipatio H.G., un libro che in qualche modo raccontava già allora quanto stiamo vivendo ora per quanto incredibile possa essere. Non meno scottante è l’attualità del grande romanzo di George Orwell 1984. In questi giorni si discute quotidianamente del rapporto tra sicurezza e libertà individuale. Si tracciano i nostri spostamenti, rischiamo il riconoscimento facciale di massa imposto per ragioni sanitarie ma sappiamo bene che tutto ciò può portarci molto, troppo lontano. Se Guido Morselli e George Orwell, per non fare che due esempi, hanno saputo prefigurare un futuro così impensabile eppure così terribilmente concreto, perché non dovremmo poterlo fare noi. Forse per il solo motivo che non abbiamo altrettanto talento visionario. E allora, prima di avventurarci nel futuro possiamo avventurarci nel passato per cercare occasioni ispiratrici. Nel 1920 il mitico scrittore americano Francis Scott Fitzgerald redasse una lettera quando era confinato nel sud della Francia. L'influenza spagnola infuriava con morti a migliaia. In questa lettera, indirizzata a una certa Rosmary, l'autore ha questo tono leggero che conosciamo, questa deliziosa distanza che rende indimenticabile la sua opera. Osserva le foglie morte, il cui suono, cadendo, gli ricorda le note del jazz. Contempla la strada e le piazze vuote, la linea delle nuvole all'orizzonte e si concentra su una luce lontana, desiderando giorni migliori. Come ha detto Leïla Slimani «Fitzgerald non sarebbe Fitzgerald senza il suo umorismo ironico, senza quella tendenza autodistruttiva che gli ha rovinato la vita. "Anche i bar sono chiusi, come ho detto a Hemingway, che mi ha dato un pugno nello stomaco. Gli ho quindi chiesto se si fosse lavato le mani. Zelda e io abbiamo fatto scorta per un mese, vino rosso, whisky, rum, vermouth, assenzio, vino bianco, sherry, gin, brandy e Dio, per ogni evenienza.. prega per noi”».

Questa piccola lettera contiene almeno tre suggerimenti. Il primo è che la storia è fonte di molti utili insegnamenti; il secondo è che malgrado l’apparenza la storia non si ripete mai identica a se stessa; il terzo è che Francis Scott Fitzgerald introduce un elemento decisivo: lo «Humor». Proprio nell’accezione inglese, che contiene anche autoironia, sarcasmo e flemmatica distanza dalle cose che accadono. È inutile negarlo, è inutile tentare di non vedere, viviamo su un pianeta stanco «à bout de souffle», esattamente come coloro che ci lasciano sopraffatti dal Convid-19. Questo è sicuramente l’elemento di novità rispetto a quanto potessero immaginare i grandi scrittori che abbiamo citato. Morselli lo aveva intuito ma non aveva immaginato la dimensione, il peso distruttivo di miliardi di uomini che si riproducono come se la Terra fosse un pianeta elastico. La Terra al contrario è un pianeta rigido e ottuso nella sua spaziale finitezza. Cosa racconteremo dunque ai nostri figli, cosa ci sarà sui libri di storia, cosa saremo noi se saremo ancora vivi il 28 marzo 2030? Impossibile dirlo. Eppure una cosa è certa, con buona pace di chi in questi giorni mette la propria anima e il proprio destino nella mani di un trascendente soprannaturale, il nostro futuro dipende da noi e che il presente sia d’insegnamento.

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