«Annessionismo, nei documenti ancora segreti le risposte a enigmi storici non solo valdostani»

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Contribuisco con piacere alla riflessione iniziata da Marco Cuaz e proseguita da Andrea Désandré, nella convinzione che fare chiarezza sul periodo dell’annessionismo costituisca un passaggio indispensabile per consentire alla Valle d’Aosta di affrancarsi dalla narrazione degli ultimi ottant’anni, fortemente marcata dalle esigenze della lotta partitica, con il conseguente strascico di polemiche, pregiudizi, silenzi e timori. Auspico, pertanto, che la scomparsa delle religioni politiche novecentesche consenta, finalmente, una lettura del passato più neutra e coraggiosa, all’altezza degli strumenti interpretativi sviluppati negli ultimi decenni, in grado di ricostruire e comprendere fatti che, per il loro rilievo, hanno subito una strumentalizzazione in funzione della lotta politica fin dal loro accadere, aumentando così la difficoltà di lettura di vicende già di per sé complesse.

Occorre andare oltre interpretazioni consolidate, che tali non si rivelano a una critica più attenta: questo è dunque l’atteggiamento con il quale aggiungo alcune considerazioni e ulteriori indicazioni a quanto già affermato da coloro che mi hanno preceduto su queste pagine.

La prima considerazione deriva dal mio personale approccio alla ricerca storica. Per formazione o carattere, nei dati a disposizione cerco di rilevare gli elementi di continuità prima di quelli di rottura, convinto che solo in tal modo sia possibile far emergere le vere novità nella ricostruzione del passato.

Nel caso dell’annessionismo, questo significa, tra l’altro, leggere le vicende valdostane nel medio e lungo periodo, collocandole nel contesto internazionale con una prospettiva dall’esterno verso l’interno ossia considerando la Valle d’Aosta non la protagonista assoluta, bensì una pedina del gioco delle Potenze dell’epoca.

Ad esempio, un primo elemento da considerare per spiegare la posizione della Francia è l’attenzione continua che il suo Ministero degli Esteri riservò alla Valle d’Aosta e alle Valli valdesi almeno dal 1919. Infatti, nel contesto delle trattative di pace a Versailles, il trattamento riservato dall’Italia alle proprie minoranze francofone poteva diventare un prezioso strumento di pressione per la Francia, interessata a contrastare l’espansione italiana nei Balcani. Il medesimo atteggiamento si registrerà nel secondo dopoguerra, col ministro degli Esteri francesi Bidault, attento a non rendere la vicenda valdostana un precedente sfavorevole per le zone triestine e giuliane, diventate il primo fronte europeo della guerra fredda.

Sempre in campo francese, occorre ricordare la situazione politica interna alla Francia, dove l’autorità di De Gaulle non era certo indiscussa. A tal proposito, nel ringraziare Désandré per aver ricordato il mio articolo del 2015 - poco più dell’indicazione di una pista per successivi approfondimenti - cito altri tre fatti, tra i molti degni di considerazione.

L’archivio dipartimentale di Chambéry conserva le carte del primo prefetto di Savoia, Lucien Rose, che fu tra gli organizzatori della Mission Fasso del settembre 1944. Ebbene, l’intero fondo è consultabile con la sola eccezione delle carte relative alla Valle d’Aosta, secretate ancora per un decennio: segno della delicatezza del loro contenuto, che fornirebbe, probabilmente, utili indicazioni per comprendere quali interessi sostenevano od ostacolavano i promotori savoiardi della Mission Mont-Blanc, alcuni dei quali presenti nelle cronache valdostane almeno dal primo decennio del Novecento.

La Mission divenne, poi, strumento della lotta del Partito Comunista Francese contro De Gaulle, quando il colonnello Passy, responsabile dei servizi segreti del generale, si dimise perché sotto inchiesta a causa di tre conti bancari segreti di cui uno, sembra, destinato a finanziare proprio le operazioni in Valle.

Se si considera, infine, il peso degli emigrati valdostani nel PCF dell’epoca, l’intreccio tra Valle d’Aosta, politica interna francese e situazione geopolitica internazionale diventa decisamente complesso e non riconducibile alla sola prospettiva valdostanocentrica.

Un ulteriore elemento di continuità è certo quello che Corrado Binel definisce “conservatorismo antistatalista”, che ritengo radicato anche nel lungo confronto tra mondo cattolico e Massoneria, nelle svariate declinazioni che esso assume nel tempo, a partire almeno dallo scontro tra logge di osservanza francese e osservanza austroprussiana per il controllo dell’Italia settentrionale, nella seconda metà del Settecento, quando l’incompatibilità tra Chiesa e Muratoria non era ancora evidente, come dimostra il percorso di Joseph De Maistre, la cui famiglia non fu certo estranea alla Valle.

Passando, invece, al Regno Unito, merita ricordare un secondo dossier ancora secretato, quello relativo a Teresio Grange nel fondo dello Special Operations Executive. Grange, ufficiale pilota della Regia Aviazione, fu un agente della Franchi, l’organizzazione resistenziale guidata da Edgardo Sogno che rispondeva ai Servizi britannici. Il suo nome ricorre nella vicenda di Chanoux perché, al momento dell’arresto di quest’ultimo, i documenti più compromettenti trovati a casa del notaio vi erano stati lasciati proprio da Grange. Il perdurare del silenzio delle fonti favorisce, così, illazioni di ogni tipo sugli interessi del Regno Unito verso la Valle.

Un campo di indagine finora poco esplorato, benché talvolta citato, è poi quello economico: quali furono - realmente - gli interessi economici che influenzarono le vicende valdostane? Il patrimonio idroelettrico, accuratamente censito da Fidèle Charrère nel 1946 per convincere la Francia a sostenere l’annessione? L’acciaio della Cogne? Il potenziale turistico della regione, conteso tra Agnelli e Olivetti? Un fugace passaggio in una lettera di Henri Voisin a Marc Langereau permette di aggiungere a questa lista anche le locali industrie tessili, di cui oggi non abbiamo quasi più memoria, ma che tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta ebbero un peso rilevante non solo per la Valle d’Aosta, dato che la Soie di Châtillon appartenne a una delle prime società a livello mondiale in questo campo.

Non ho ancora citato le fonti italiane, statunitensi e quelle ecclesiali, per le quali mi limito a ricordare l’enorme lavoro ancora da svolgere e a indicare il fondo Andreotti presso l’Istituto Sturzo di Roma.

Spero di avere dimostrato quanto ancora non sappiamo sull’annessionismo, che ritengo un soggetto di studio straordinario, non solo per i ricercatori locali.

In esso, infatti, si incrociano e diventano leggibili fenomeni molto diversi, dalle resistenze verso la civiltà industriale del mondo alpino alla concorrenza delle Potenze vincitrici per controllare l’Italia nel 1945, dalle dinamiche dei sistemi finanziari e industriali piemontese e italiano alle strategie di guerra psicologica all’inizio della Guerra Fredda, senza dimenticare le politiche di uniformizzazione dello Stato nazionale e le conseguenti reazioni. L’importanza di ciascuno di essi supera di molto i confini della Valle d’Aosta, che fu - e per certi aspetti è ancora - un laboratorio per sperimentazioni sociopolitiche a livello italiano ed europeo.

Ben venga, quindi, la «bella squadra di ricercatori specializzati» proposta da Désandré: la mole della documentazione e le connessioni delle vicende locali con quelle internazionali la meritano senza alcun dubbio.

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