«Amore per la libertà, per la democrazia, per la giustizia, per la Resistenza: l’insegnamento di Cesare Dujany»

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Questa mia lettera vuole essere l’ultimo scritto alla memoria di Cesare Dujany prima che si separasse dalla vita. È un documento che mi pare, al tempo stesso, tragico e grande. E io credo, come spiegherò più avanti, che per mostrarlo non ci fosse occasione migliore di questa lettera, una lettera sull’attualità e sulla forza delle idee che hanno guidato tutto l’impegno di Cesare sui valori e le convinzioni che sono state la bussola costante della sua lunga esperienza politica ma direi anche della sua intera vita. Ero lì con lui a Châtillon quando sono andato a trovarlo l’ultima volta, in un pomeriggio di un sabato che non potrò mai dimenticare e che nemmeno lo voglio. Stava già male e doveva essere un breve incontro, il tempo di fare alcune chiacchiere. Sapevo e sapevamo che la sua salute era molto compromessa, ma non immaginavo, e nessuno si immaginava, che la fine fosse così vicina. Gli avevo fatto un’altra visita, era stata una visita molto dolce e affettuosa e l’avevo visto bene e la speranza che il male gli concedesse ancora un po’ di tempo si era riaccesa. Tornai il giorno dopo e trovai purtroppo un altro uomo, seduto su una poltrona, molto affaticato, cupo e sofferente ma che anche nel momento in cui, ormai lo capivo sempre più chiaramente si apprestava a congedarsi dal mondo, era lui a consolare me. Lo aveva fatto in tutti i momenti più difficili della sua vita, e purtroppo in questi ultimi anni ce ne sono stati tanti, quando di fronte al mio turbamento e al mio dolore era stato proprio lui a infondermi forza.

Prese la prima pagina di un block notes e me la passò: lessi e mi cadde il mondo addosso perché mi resi conto che quello che stava scrivendo era il suo lascito, il suo testamento spirituale, tutta la sintesi delle convinzioni, dei valori, delle radici delle tradizioni che caratterizzano il popolo valdostano e che lo avevano sempre accompagnato. Sapevo che la fine era vicina, ma rendermi conto, parola per parola, che ne era pienamente consapevole anche lui, mi costrinse ad alzarmi e ad allontanarmi per qualche secondo per riuscire a controllare la tempesta devastante dei miei sentimenti. Lui continuò a scrivere e quando ebbe finito restai lì impietrito facendo finta di non aver compreso quello che entrambi avevamo capito benissimo e quello che avvenne nelle ore successive è inutile ricordarlo. Sono un ricordo molto privato, ma io credo sia giusto non rimangano tali: non contengono nulla di inedito, ma mi piace condividerle con quanti a Cesare hanno voluto bene, con quanti hanno creduto in lui e continuano, ancor oggi, a credere nelle sue idee. E non soltanto con loro, ma anche con quanti non l’hanno amato ma non possono non riconoscerne l’unicità. Lui ne sono certo avrebbe voluto così. Rappresentano un documento tragicamente umano ma ritengo di grandezza assoluta. Cesare non ha mai fatto nulla per nascondere con falsi pudori le sue fragilità e le sue sofferenze. Fanno parte della vita di ogni essere umano e lui non aveva nessuna pretesa di essere diverso dagli altri. Mi ha colpito la sua forza di volontà e il suo coraggio ma anche per la palese sofferenza che provava. Per me fu un colpo tremendo, anche se mi imposi, come facevo da tempo, di mantenere il sorriso davanti a lui. Mi chiese ancora una volta carta e penna, chinò il capo e cominciò a scrivere; evidentemente aveva già riflettuto durante la notte, come sempre, su quello che voleva ancora dire alla Valle d’Aosta e al popolo valdostano. Mi sedetti vicino a lui e lo guardai lavorare. Ad un certo punto si fermò, alzò lo sguardo, lo fissò nei miei occhi e disse qualcosa che porterò dentro fino all’ultimo istante della mia vita: “Vedi Robert, la vita è così fai, fai, fai e… poi te ne vai”. Non so come riuscii a non scoppiare a piangere. In quei giorni avevo promesso a me stesso che mai l’avrei fatto davanti a lui, ma qualche lacrima, mentre mi sforzavo di fingermi stupito e di trovare qualche parola per rasserenarlo, scese ugualmente e lui capì. Mi guardò con un sorriso dolcissimo, mi prese la mano e me la accarezzò lentamente. Poi riprese a scrivere mentre io cercavo di resistere alla commozione e pensavo, ancora una volta, alle fragilità dell’uomo ma assieme alla grandezza di Cesare Dujany perché solo un uomo grande come lui, a poche ore dal rendere lo spirito a Dio e dilaniato dal male che lo stava portando via, poteva ritrovare il coraggio, la forza e la determinazione per ribadire, ancora una volta e sapendo che sarebbe stata l’ultima, l’attaccamento a tutto quello per cui si è sempre battuto per il bene della Valle d’Aosta e per comporre il suo ultimo inno all’amore sconfinato per la famiglia, per il Cristianesimo e per gli altri. Amore grande e irriducibile per la libertà, per la democrazia, per la giustizia, per la Resistenza. Amore sconfinato per la creatura che ha fondato su questi valori: il partito dei Democratici Popolari cui ha dedicato buona parte della sua vita. Proprio riflettendo su questo, oggi credo che saprei trovare le parole giuste per replicare a quanto Cesare mi disse quel terribile pomeriggio di giugno “la vita è così fai, fai, fai e… poi te ne vai”. Gli risponderei: “Cesare tu, come tutti gli uomini, potrai anche andare ma non se ne andrà mai quello che hai fatto, i tuoi valori cristiani nei quali hai sempre creduto e gli ideali per i quali ti sei battuto. Resteranno sempre qui da noi a guidare il nostro cammino e il cammino di chi verrà dopo di noi perché è di questi ideali che si nutrono gli uomini e le donne di buona volontà.

Ti amo Cesare

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