ALPI: PLAYGROUND OF EUROPE
Citando l’indimenticabile Jean-Marc Reiser: «On vit une époque formidable»; oppure, citando Manu Chao si potrebbe dire: «È un mondo difficile, e vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto…»; ma è una riflessione di Camille de Toledo che più mi sembra interpretare le tensioni del tempo che stiamo vivendo là dove dice: «È importante tenere la ferita aperta, dolente, aggrapparsi all'irreparabile: affermare che il bisogno di consolazione è impossibile da soddisfare. In questo senso però non è la scelta dell'oscurità. Anzi, ai miei occhi, il lato più oscuro e tetro, si apre sempre verso quello più luminoso, come un sole nero appena trafitto dalla punta di un ago». Pensando a ciò che accade intorno a noi, ascoltando i quotidiano bollettini di questa guerra asimmetrica e oltremodo anticonvenzionale, si percepisce in ogni dove un diffuso stato di ansia, d’incertezza e di paura, eppure, quella che stiamo vivendo, è un’epoca che potrebbe essere densa di grandi promesse. Leggevo, alcuni giorni or sono, una considerazione del Presidente della Regione Valle d’Aosta in cui sostiene quanto segue: «Non so se per una mancanza di conoscenza della montagna o più semplicemente per delle sensibilità diverse da parte dei componenti del Governo, ma devo dire che una cosa che ho visto chiaramente è la difficoltà a far capire al Governo le esigenze legittime della montagna: l'impressione è che si veda la montagna come un parco giochi per le grandi città, cosa che sappiamo bene non essere così». Sappiamo tutti che questa considerazione si colloca all’interno di una questione puntuale, in un momento difficilissimo per la nostra Regione e soprattutto all’interno di un teso e delicato rapporto tra la Valle d’Aosta e il Governo italiano. La nostra rubrica, come da tradizione, non entra nel merito di questioni di così grande attualità, crediamo tuttavia che questa affermazione si presti finalmente a rimettere in moto non tanto un dibattito, che pur riteniamo di grande importanza, ma possa essere, nella sua concisione, il punto di ri-partenza di un cantiere da tempo abbandonato. La Valle d’Aosta è stata, tra alti e bassi, per l’intero Novecento, un cantiere di riflessione sul rapporto tra una comunità in qualche modo circoscrivibile per ragioni storiche, culturali e linguistiche e la più vasta dimensione dello stato nazionale che si proietta a sua volta nella straordinaria sfida della costruzione Europea. Quanto affermato dal Presidente non può non far riflettere, viceversa, sul silenzio di questo inizio di XXI secolo nel quale si è progressivamente affermato, nella classe politica, un non celato fastidio nei confronti del mondo della ricerca e della cultura. Un mondo intellettuale percepito come elemento di fastidio quando la “politica” accentra su di se ogni cosa: come direbbero i veneti: «non te preocupar…faso tuto mi!». Ritornando anche alle recenti esternazioni di Piero Roullet su La Stampa vien da chiedersi: non sarà venuto il momento di uscire da questo imbarazzante silenzio mettendo in campo un «cantiere» vero, che coinvolga le istituzioni valdostane tutte, per delineare i contorni di un nuovo progetto di riforma dello Stato? Riforma rimasta incompiuta e che oggi mostra tutti i limiti della sua incompiutezza? Quanto afferma il Presidente è importante proprio in questo senso, ovvero perché ben oltre l’oggetto attuale del contendere vogliamo sperare che sia un primo segnale d’indirizzo verso un rinnovato rapporto di scambio e di elaborazione con le altre Regioni alpine su molti temi: istituzionali, politici, culturali, ma anche infrastrutturali, energetici, di conservazione dell’ambiente e del paesaggio, di modello di sviluppo sostenibile per il futuro.
«Quand le monde change de peau, il faut changer de pensée. Le concept d’État a été inventé par des gens qui lisaient des livres, et non pas seulement par ceux qui agissaient». Qualsiasi vuota retorica è un pozzo senza fondo. Oggi la Valle d’Aosta ha bisogno di tornare ad essere una officina di idee che per loro natura non nascono dal nulla.