AHARON APPELFELDIL PARTIGIANO EDMOND
«Mi chiamo Edmond e ho diciassette anni». Inizia così questo romanzo di Aharon Appelfeld ambientato, come gran parte della sua narrativa, in quel mondo fluido e in gran parte scomparso dove lo stesso scrittore è nato. Edmond sfugge per un soffio alla deportazione e si unisce a una banda di partigiani. Il comandante Kamil è una figura straordinaria e carismatica, non religiosa ma allo stesso tempo intrisa di una intensa spiritualità. La banda di Kamil, nel tentativo di sottrarsi alle truppe tedesche, vagherà a lungo tra neve e foreste verso un'altura dei Carpazi. Un luogo allo stesso tempo strategico per la loro sopravvivenza e carico di una potente dimensione trascendente. I partigiani vivono di espedienti e di paura e il racconto accompagna il lettore in uno spazio a volte quasi onirico, in cui il passato lentamente evapora assieme alla consapevolezza che un mondo intero sta morendo e non ci sarà ritorno. Il romanzo è popolato di molti personaggi assai diversi tra di loro, la cui varietà in qualche modo evoca anche il disordinato tentativo di alcuni di sottrarsi a un destino ineluttabile, un percorso spesso individuale da cui emerge anche la forza della fratellanza che è solidarietà nella differenza. Il piccolo Milio, la nonna Tsirel, la cuoca Tsila, Pavel, Felix il vicecomandante, il gigante Danzig e infine il medico antisemita Krinitzki costretto a seguirli, «un medico senza onore (..) un insetto. Un verme». La guerra volge al termine e tra i convogli che vanno al fronte ci sono i treni blindati di uomini e donne che vanno verso i campi dove «il fumo sale dalle ciminiere giorno e notte». La banda di Kamil intende far deragliare i treni per «liberare gli ebrei dalle grinfie del nemico e noi stessi dalla disperazione». Quando ormai i russi erano vicini, sul campo si abbatte «una pioggia di missili». All’alba sulla neve rossa, tra tutti gli altri «riverso a gambe larghe, senza più vita c’era Kamil». Sotto il comando di Felix la banda partigiana decide di scendere a valle e raggiungere la stazione e un luogo per dare sepoltura ai morti, dove si svolgerà una breve cerimonia con colpi sparati a salve. «Per il nostro glorioso comandante, fuoco; per i nostri cari condotti nei campi e che aspetteremo per sempre, fuoco». Alla fine uno scampato chiederà al comandante Felix «Dove stiamo andando?» «A casa.» «Quale casa?» «C’è solo una casa, in cui siamo cresciuti e che abbiamo amato, ed è li che torniamo.» Un romanzo intriso di disperazione e insieme di speranza.