Addio a Edoardo Dellea, ultimo partigiano di Pont Testimone della ritirata di Russia e della Resistenza
Si è tenuta nel pomeriggio di ieri, venerdì 29 gennaio, l’inumazione delle ceneri di Edoardo Dellea, ultimo partigiano di Pont-Saint-Martin. Alla mesta cerimonia hanno assistito una rappresentanza dell’Anpi Mont Rose e i sindaci di Pont-Saint-Martin Marco Sucquet e di Donnas Amedeo Follioley. E’ mancato domenica 24 gennaio e il funerale è stato celebrato, in forma strettamente privata, martedì 26 nella chiesa parrocchiale di Donnas.
Era nato il 28 ottobre del 1920, a Curiglia, nel varesotto, secondo di ben sette fratelli. La numerosa famiglia si trasferì a Pont-Saint-Martin nel 1935 e il papà Rocco trovò impiego come autista per una ditta di trasporti che lavorava per l’Ilssa Viola: proprio nello stabilimento siderurgico, nel reparto elettrodi, trovò il suo primo impiego da carpentiere il giovane Edoardo e vi rimase finché gli arrivò la cartolina che lo chiamava sotto le armi. Questa sua specializzazione lo fece destinare nel marzo del 1940 - invece che agli Alpini - al Genio Pontieri, il 1° Reggimento di stanza a Verona. Nel febbraio 1941 era in Albania dove contribuì a costruire, sotto le bombe, un nuovo ponte a Tepeleni sulla Vojussa. Dopo il trasferimento in Jugoslavia, il Reggimento di Edoardo Dellea rientrò a Verona e nell'ottobre del 1942 partì da San Bonificio con destinazione l'Unione Sovietica. A fine novembre era vicino al Don per scavare trincee. «Era tutto ghiacciato, fiume compreso, e dopo avere scavato le trincee siamo stati messi in prima linea, noi soldati specializzati, senza nessuna preparazione nell'uso delle armi. - raccontava - Quando i russi hanno sfondato è stato un inferno. Erano i giorni del Natale quando, dopo tanti sbandamenti e marce forzate, mi sono ritrovato con i resti del mio Battaglione a Voroscilovgrad, dove era stata la sede del Comando d'Armata. Lì ci siamo ancora radunati con l'arrivo dell'altra Compagnia e del Comando di Battaglione che erano riusciti a salvare il materiale e visto che avevamo i camion siamo retrocessi verso Stalino. Viaggiavo su un camion pieno di bidoni di benzina, sdraiato sopra quei bidoni nel poco spazio che rimaneva tra loro e il telone. Eravamo in pratica una bomba ambulante, sotto gli attacchi degli aerei che un giorno ci colpirono, ma il tracciante passò tra le gambe dell'autista. Una notte siamo stati attaccati in forze dai carri armati, io mi trovavo al riparo in un'isba che mi è crollata addosso; sono riuscito a tirarmi fuori illeso ma ho perduto il mio fucile. Poi, quando sono arrivati i rifornimenti di benzina, il carburante era annacquato e così abbiamo grippato i motori di molti camion che siamo stati costretti ad abbandonare, insieme ai feriti che avevamo caricato».
Per Edoardo Dellea fu però pronto un colpo di fortuna. Ai lati della pista recuperò una bicicletta da Bersagliere, di quelle con le ruote piene. Così si fece con quel mezzo un bel pezzo di ritirata. «Durante la ritirata si faceva riferimento ai famosi comandi tappa, che davano un poco di viveri e indicavano verso quale direzione proseguire. - continuava nel racconto - Quando arrivava la sera mi avvicinavo alle isbe di qualche paesino chiedendo ospitalità. Posso dire che quella povera gente ucraina ci offriva quanto poteva. A volte era solo il caldo di una notte ma, credetemi, voleva già dire tanto, anzi ti salvava la vita! E così ho mantenuto un minimo in forze per non congelare a quella temperatura, cioè meno 35, meno 40, andando avanti verso la salvezza. Dai magazzini della Sussistenza mi ero preso dello zucchero e del caffè, e grazie a quelli ce l'ho fatta. Dei tedeschi rammento che quando cercavamo di salire sui loro camion loro ci spingevano giù col calcio dei fucili. I tedeschi erano prepotenti: entravano nelle isbe e cacciavano tutti, civili o altri soldati che non erano loro connazionali».
Edoardo Dellea raggiunse il suo Battaglione a Dnepropetrovsk, città ucraina sulle rive del fiume Dnepr, alla fine del febbraio 1943. Da lì andò a Kiev e poi a Gomel, dove attese l'ordine del rimpatrio.
Rientrato in Italia, dopo l’armistizio riuscì rocambolescamente a tornare a Pont- Saint-Martin ed entrò nella Resistenza nella Brigata Lys guidata da Bono Badery. Faceva parte del distaccamento Monte Rosa, al comando di Noe Badery e assunse il nome di battaglia di “Katiuscha”. Prese parte a molti dei combattimenti che videro impegnati i partigiani della Bassa Valle. Verso la fine del conflitto era stato incaricato di occuparsi di una autovettura in possesso dei partigiani ed utilizzata per gli spostamenti lungo la Valle di Gressoney. Fu anche l’autista personale del comandante della Brigata Lys Bono Badery.
La guerra gli portò un terribile lutto: nel bombardamento di Pont-Saint-Martin il 23 agosto 1944 morirono entrambi i genitori.
Dopo la guerra lavorò sui camion per l’Ilssa Viola e come autista di autolinea sulla linea di pullman tra Pont- Saint-Martin e Gressoney.
Lascia le figlie Tiziana con Oreste Cantamessa e Daniela con Gianpiero Vercellin, oltre agli affezionati nipoti e pronipoti.