Ad Ayas Paolo Cognetti ha presentato il suo nuovo libro “La felicità del lupo”
Una folla da tutto esaurito ha accolto nella serata di martedì scorso, 4 gennaio, all’auditorium MonterosaSpa di Champoluc, lo scrittore Paolo Cognetti, che ha presentato il suo ultimo libro, interamente ispirato alla montagna e ambientato in Val d’Ayas, “La felicità del lupo” edito da Einaudi, presentato e intervistato da Francesco Deambrogi, presidente dell’associazione Monterosa Racconta.
L’incontro è stato introdotto dall’assessore al Turismo di Ayas, che ha promosso l’evento, Corinne Favre che, rifugista insieme alla sua famiglia al Quintino Sella, ha indicato il rifugio come uno dei temi del libro. Nonché chiave di lettura, come ha spiegato Cognetti all’inizio della conferenza: «Offrire rifugio agli altri, dare e chiedere ospitalità: l’idea del libro parte da lì, dai rifugi veri dove si arriva con fatica e dove, dormendo in camerate e condividendo tutto, avvengono incontri casuali e talvolta significativi».
Da “Le trentasei vedute del Monte Fuji” del pittore giapponese Hokusai, libro che ha affascinato Paolo Cognetti, che nel primo confinamento trascorso a Milano talvolta si dilettava a ricopiare i disegni contenuti nel volume, è nata l’idea di una montagna che “protegge” e osserva, spesso più indifferente che benevola, l’umanità che le ruota intorno: taglialegna e pescatori, monaci e geishe, storie di vite e di lavoro. «Il Monte Rosa, che vedo fin da quando avevo un anno, è il mio Monte Fuji. - spiega Paolo Cognetti - Anch’io vivendo per lunghi periodi in Val d’Ayas ho imparato a conoscere e ad apprezzare le diverse professioni della montagna, la fatica e le peculiarità che le caratterizzano. Per esempio il lavoro di gattista, che inizia quando le piste da sci si svuotano e prosegue in notturna anche a tremila metri, che ho conosciuto grazie al mio amico Remigio che una volta mi ha portato con lui al colle della Betta Forca e nella cabina ascoltava i Dire Straits e i Pink Floyd, o il lavoro di cuoco che ho provato in prima persona nell’autunno 2010, quando mi apprestavo a rientrare a Milano e ho preferito fermarmi al ristorante di Estoul “Il pranzo di Babette”. Lì sono stato catapultato dalla vita solitaria di scrittore a quella pratica, gioiosa del cuoco che si taglia, si brucia e incontra continuamente persone, a partire dagli operai degli impianti di Monterosa Ski. Quando vivi in montagna passi dallo status di frequentatore, che nota solo la pace, la serenità e le mucche, a quello di chi vive il quotidiano insieme ai lavoratori locali. E’ come superare un sipario che consente di incontrare persone e immergersi in realtà fino ad allora sconosciute».
Nel romanzo “La felicità del lupo”, Fausto è un po’ l’alter ego di Paolo: cercando rifugio tra i sentieri dove camminava da bambino, va a lavorare nel ristorante di Babette e conosce Silvia, che serve ai tavoli e non sa ancora se la montagna è il nascondiglio di un inverno o un desiderio duraturo.
«In montagna ho l’impressione che le storie nascano da sole, mi sembra di essere un artigiano che mette insieme vicende reali. - racconta Paolo Cognetti - Mi sento un po’ un osservatore di persone e luoghi, che riporto tra le pagine. Eravamo abituati a pensare alla montagna come luogo immutabile e invece, dopo la pandemia, ci sono stati nuovi trasferimenti, come una famiglia di cinque persone andata a vivere in un villaggio con quindici residenti, iscrivendo ben tre bambini alla scuola di Brusson, un Comune con appena novecento anime. Ora nella mia vita, anche di scrittore, è il momento della montagna, che porta gioie immense, ma spesso pure dolori e tragedie. L’alpinismo è l’ultima disciplina umana che si confronta da vicino con la morte. In nessuno sport, o quasi, si muore più. Sul ghiacciaio invece la disgrazia è inevitabile. L’alpinista sta al confine tra la vita e la morte. Tutto si riduce all’essenziale: quando sali in vetta, dentro di te qualcosa di quella purezza risuona, senti che la felicità è qualcosa di semplice. Anche il lupo ci insegna che l’uomo è l’animale più feroce della Terra e dovrebbe imparare a mollare un po’ del proprio potere per convivere con gli altri esseri viventi».