Ad Aosta è scoppiata la “sushi mania” Boom senza limitazioni di ristoranti
Sono ormai una ventina, praticamente lo stesso numero di tutti i ristoranti di Aosta negli anni Settanta. Si tratta dei locali che propongono la cucina giapponese nella nostra città, una vera e propria “sushi mania”, esplosa negli ultimi 6 anni, considerato che la maggior parte di loro è stata aperta tra il 2016 e il dicembre del 2021, con ultimo ad iniziare la sua attività il 23 dicembre scorso Sushifan in via Carrel, a fianco al terminal del trasporto pubblico.
Il primo ristorante ad avere proposto i piatti della tradizione giapponese è stato l’Oriental Bambù di Achille Chiesa, inizialmente in piazza del Mercato ora in avenue Conseil des Commis, proprio a ridosso di piazza Chanoux, che nel 2000 ha iniziato ad organizzare delle serate a tema finalizzate alla conoscenza del sushi. Gli altri 6 locali nel centro storico di Aosta sono Sushi Koi all’Arco d’Augusto, Origami in piazza Narbonne, Zenzero in via Trottechien, Oishi Sushi all’inizio di via Edouard Aubert, Yi Kouxiang sempre in via Aubert, il Donburi House in via Porta Praetoria, mentre in zona centrale sono pure Sushi Wei in piazza Giuseppe Mazzini di fronte al tennis e Japanese Food in via Festaz, dove si trovava la famosa gelateria René, prossimo al trasferimento in via Vevey, ai quali si aggiunge Mama Japanese Fusion in via Petigat, riconosciuto da tutti come il miglior ristorante giapponese della regione. Fuori dalla città, in quella che ormai è la sua continuazione, cioè lungo la Statale tra Grand Chemin di Saint-Christophe e l’Amérique di Quart, eccone altri 6: La Grande Luna, Sushi Work, Mon Sushi, Kiyomi, Sushi man e O’ Sushi mio, abbinato alla Pizzeria Saulle.
Le ragioni di un successo
«Il discorso della continua apertura dei ristoranti di sushi ad Aosta va analizzato da molti punti di vista. - commenta Leopoldo Gerbore, che recentemente ha chiuso la sua attività affittando i locali di famiglia a Mon Sushi e che è il responsabile dei ristoratori valdostani della Confcommercio - Sicuramente va preso in considerazione il fatto che il sushi non è un piatto che la gente può cucinarsi a casa e quindi se le persone vogliono mangiare questi prodotti possono solo recarsi al ristorante. Non penso che sia per forza una cosa negativa l’apertura di tutti questi ristoranti orientali nella nostra regione, la vedo piuttosto come un’apertura mentale alle nuove culture.»
Per Leopoldo Gerbore è vincente anche la formula del “All you can eat”, ovvero che il cliente può mangiare tutto quello che desidera spendendo un prezzo già stabilito. «Agli italiani piace questa formula, vanno al ristorante, sanno la cifra che spendono e mangiano tutto quello che vogliono. E’ un aspetto da considerare riguardo al successo del sushi. Poi se devo essere sincero nei ristoranti orientali lavorano persone che si impegnano al massimo, non guardano le ore e non si fermano mai. Hanno la stessa identica “fame” che avevamo noi italiani nel dopoguerra, se posso fare un paragone azzardato.»
Achille Chiesa è per l’appunto il primo ristoratore ad avere introdotto il sushi ad Aosta. «Abbiamo aperto il nostro Oriental Bambù in piazza del Mercato nel 1988 e proponevamo solo cucina cinese. Poi nel 2000 abbiamo provato con il sushi - ricorda Achille Chiesa - quando non lo conosceva nessuno. Con le serate a tema la gente rispondeva bene, di conseguenza il sushi è stato introdotto direttamente nel menu e da lì in poi possiamo contare su di una clientela abituale che viene appositamente per i piatti giapponesi. Penso che ormai non si possa più dire che il sushi è una moda, adesso si tratta proprio di un’abitudine consolidata. Il sushi non è più una novità, la gente frequenta il ristorante orientale come andrebbe a cenare in pizzeria, è una tendenza e se il prodotto piace va accettata questa orientalizzazione all’interno della cultura italiana.»
Chef a domicilio
«Abbiamo aperto io e mio fratello Maurizio nel 2010 a giugno il Mama Japanese Fusion - rammenta Marco Ansaldo - ed ora il locale è chiuso dallo scorso dicembre, per motivi economici soprattutto dovuti al Covid. Adesso sono chef a domicilio di sushi e cucina messicana, come ho fatto nei 3 anni prima di aprire il ristorante. Quando avviamo iniziato nel 2010 eravamo solo in 2 ad Aosta a proporre il sushi, con Achille Chiesa dell’Oriental Bambù. Sia noi che lui proponevamo un sushi di qualità, poi negli ultimi anni sono arrivati ad Aosta tutti questi locali “All you can eat”, che di fatto per la maggior parte sono cinesi che propongono cucina giapponese. Sicuramente hanno dei menu chilometrici con molta, direi troppa scelta, però a livello di qualità non ci siamo.» «Certo che considerando il bacino di utenza valdostano, tutti questi locali che offrono cucina giapponese hanno creato una situazione un po’ fuori misura per una città come Aosta. Da imprenditore - afferma Marco Ansaldo - noto che manca proprio della fantasia in Valle d’Aosta, dato che si sono concentrati tutti ad aprire locali di sushi. La clientela poi non guarda alla qualità ma alla quantità, credono che mangiare tanto voglia dire mangiare bene. La maggior parte non presta attenzione al dettaglio, perciò va così tanto la formula “All you can eat”. Il sushi in Italia è arrivato come moda per pochi e lo mangiavano solo coloro che potevano permetterselo, da 30 anni questa moda si è trasformata in una realtà onnipresente. Ormai, che sia di qualità o meno, è diventato un’abitudine. Ad Aosta in ogni caso ce ne sono davvero troppi e, secondo me, sarebbe giusto introdurre una regolamentazione che non vieti di aprire dei locali etnici, tuttavia che limiti l’offerta, perché comunque esistono molte altre opportunità appetibili sul piano della cucina internazionale per chi volesse investire.»
Sull’attenzione alla qualità è dello stesso avviso Luca Timpano, titolare del Sushi Koi: «Noi abbiamo avviato la nostra attività nel febbraio del 2016 e puntiamo al buon cibo, non sullo “All you can eat”. Il sushi è diventato una tendenza, tanto che le persone riescono addirittura a distinguere quali locali scegliere e dove viene proposto quello più buono tra tutti.»
Stefano Yu, proprietario dell’Oishi di Aosta e di quello di Châtillon, aperto nella centrale via Chanoux durante le scorse festività natalizie, ricorda che «Anche noi abbiamo iniziato nel 2016 ma i primi anni non sono stati proprio ottimi». «C’è voluto un po’ prima che la gente si abituasse alla nostra cucina - dice Stefano Yu - però adesso posso affermare che il sushi è diventato un’istituzione e nel fine settimana siamo sempre completi, tanto che la gente se non prenota non trova posto. Il fenomeno del sushi riguarda tutta l’Italia: dal 2015 è esplosa questa mania ed è sempre più in crescita, si tratta di un vero e proprio boom.»
Elisa Peng è la titolare di Sushifan, il più recente ristorante di sushi di Aosta. «Abbiamo scelto questa regione perché amiamo molto la montagna e la neve. Pur avendo avviato la nostra attività da neanche 2 mesi la risposta da parte dei clienti è stata buona, ora investiremo nella pubblicità con la speranza di riempirlo sempre.»
Crescita senza regole
La “sushi mania” comunque non è condivisa da tutti. Anche da un punto di vista turistico non mancano i frequentatori di Aosta che storcono il naso di fronte ad un’offerta di cucina orientale così lontana dall’immagine di una città alpina, la cui ristorazione dovrebbe comunque legata ai prodotti del territorio. In effetti il proliferare dei ristoranti di sushi non porta alcun vantaggio alle aziende valdostane che si occupano ad esempio di vini, di formaggi, di carne, di salumi, di distillati.
«Sarei d’accordo - afferma Leopoldo Gerbore - su di un regolamento comunale che tuteli i locali tipici della nostra città e la nostra cultura da questa invasione orientale. Non ne faccio una questione razzista ma è chiaro che bisognerebbe fare di più per valorizzare la valdostanità e non per dare contro alla cucina orientale, questa è semplicemente una mia opinione. Per avere un’attrattività turistica Aosta deve essere tutelata dalle contaminazioni.»
Un esempio noto in Italia è quello della città di Lucca. Nel 2009, anche se all’ora il problema riguardava i ristoranti cinesi e di kebab, l’Amministrazione comunale toscana ha approvato un regolamento tuttora in vigore che vieta la presenza di bar e ristoranti che propongono la cucina straniera nel centro storico. Nei 4 chilometri quadrati contenuti dalle mura di Lucca, nessun locale che non proponga la cucina tipicamente locale può essere aperto, comprese le pizzerie, con il fine di salvaguardare la tradizione culinaria della Toscana. Un provvedimento radicale, che nel tempo ha ottenuto l’apprezzamento dei tantissimi turisti italiani e stranieri che visitano Lucca.
Achille Chiesa da parte sua non è d’accordo su di una possibile regolamentazione dell’offerta gastronomica del centro storico di Aosta. «Se un italiano va nel centro di Shanghai si ritrova un ristorante italiano e non vedo perché un giapponese non possa trovare un ristorante di sushi nel centro storico di una città italiana. Questo discorso di tutelare la tradizione all’interno delle mura di una città lascia il tempo che trova. - sottolinea Achille Chiesa - Chi critica, al posto di pretendere dalla politica delle misure che tutelino le tradizioni, dovrebbe attivarsi ed aprire dei ristoranti tipici con prodotti valdostani, invece di lamentarsi.»
Stefano Yu, titolare di Oyshi, pur concordando parzialmente su di una regolamentazione, afferma «Nei centri storici è importante che ci siano più locali tipici rispetto a quelli etnici, ma non credo che sia proprio un dramma se si trova anche qualche ristorante di cucina straniera. Però ammetto che ad Aosta attualmente sono davvero troppi.»
Il parere del Comune di Aosta
Cosa pensa quindi il Comune di Aosta, a fronte dell’attuale situazione e delle iniziative prese da altre pubbliche Amministrazioni, come appunto quella di Lucca. Il commento è di Alina Sapinet, assessore comunale unionista al Turismo: «A mio avviso più vasta è l’offerta e meglio è per tutti. Non credo che con i ristoranti di sushi in centro città manchino locali che propongono la cucina del nostro territorio. Come Giunta comunale non abbiamo mai pensato ad una regolamentazione del fenomeno, la vedrei come una restrizione, non necessaria al momento.»
«Si tratta di una moda del momento - evidenzia Alina Sapinet - come lo sono stati i kebab, che non va di sicuro a danneggiare la nostra cucina tradizionale. In più dalle associazioni di categoria non è mai arrivato nessuno a lamentarsi dei troppi locali di sushi in città. La salvaguardia della cucina valdostana e delle tradizioni per me non è in pericolo, perché i turisti non cercano il sushi, sono più che altro i residenti a frequentare i locali che propongono la cucina orientale. Non percepisco dunque allarmismo al riguardo e poi quale sarebbe l’alternativa? I locali vuoti? Nel centro i proprietari dei muri chiedono prezzi alti e solo chi ha la capacità di spesa può affittarli.»
«Rispetto al fenomeno del sushi ad Aosta, possiamo solo dire che sono parecchi i ristoranti. Al momento noi come Giunta cittadina - sottolinea l’assessore al Turismo Alina Sapinet - diamo spazio al libero mercato e non abbiamo in mente di introdurre delle restrizioni. Mi viene da dire, da cliente, che se aprono è perché semplicemente esiste una richiesta, come il boom dei ristoranti cinesi che abbiamo avuto 10 anni fa. La cucina tradizionale ha il suo marchio, che ad Aosta rispetto ai paesi limitrofi è minore. Nella città non sono molti i ristoranti caratteristici, Aosta è il capoluogo ed è giusto che si trovi un po’ di tutto. Ammetto che esiste la sensazione che siano troppi ristoranti di sushi in giro, ma stanno aumentando anche le pizzerie al taglio, probabilmente si tratta di una conseguenza del post pandemia, quindi della maggiore ricerca del cibo d’asporto e del “All you can eat”.»
Gros Cidac, incassi record
Dai ristoranti del centro storico e della cintura di Aosta, la “sushi mania” non poteva non entrare pure nel maggiore ipermercato della regione, il Gros Cidac. «Il sushi lo vendiamo da 4 anni - commenta la titolare Chiara Celesia - ed a fine agosto abbiamo aperto pure un reparto in collaborazione con Sushi Koi, che è gestito da ragazzi valdostani e che realizza tutto qui, al nostro interno. Infatti nel reparto la produzione è a vista durante la giornata e tale spazio è stato creato nel corso della ristrutturazione della nostra struttura portata a termine durante l’estate.» «Come Gros Cidac - conclude Chiara Celesia - la nostra filosofia aziendale è quella di privilegiare chi opera sul territorio e di collaborare con le aziende della Valle d’Aosta che poi trovano spazio direttamente nei nostri diversi reparti. Per questo motivo abbiamo scelto di offrire il sushi di un’azienda del territorio. Con Sushi Koi avevamo già provato l’esperienza di proporre i loro prodotti sugli scaffali, comunque da quando siamo passati alla produzione diretta ed a vista le vendite sono esplose: abbiamo fatturato in 2 mesi quello che vendevamo in 1 anno e posso affermare che la crescita è esponenziale. Si tratta di un nuovo mercato in ascesa ed è normale che ora ci sia il boom.»