«Abbattere il Puchoz significherebbe cancellare la storia calcistica di Aosta»

«Abbattere il Puchoz significherebbe cancellare la storia calcistica di Aosta»
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Abbattere i muri che lo separano dal tessuto urbano creando uno spazio da destinare a polmone verde e alla pratica di sport alpini restituendolo così alla cittadinanza e ai turisti. Questo è il piano strategico elaborato dall’Amministrazione comunale di Aosta riguardante la riconversione dello stadio “Mario Puchoz” di via Mazzini che nel dettaglio prevederebbe la realizzazione di 2 campi per la pratica del baseball a 5 con annessa area verde attrezzata per le attività motorie. Ecco che così facendo si andrebbero a cancellare gli oltre 80 anni di storia dell'impianto da sempre simbolo del calcio valdostano. Contro questa “riconversione” da un gruppo di “irriducibili” è stata recentemente avviata la petizione on line “Restituiamo il calcio allo stadio Puchoz” presente sulla piattaforma change.org e non sono mancate neanche le reazioni di chi in quello stadio ha vissuto grandi emozioni. «C’è da dire che il Puchoz è sempre stato oggetto di discussione. - rammenta Marino Guglielminotti Gaiet, classe 1943, ex assessore comunale all’Urbanistica di Aosta e storico capitano dell’Anpi Elter - Quando nel 2010 ho lasciato l’incarico di assessore all’Urbanistica era vigente un Piano regolatore che prevedeva nell’area dello stadio la realizzazione di un parco pubblico. La discussione verteva sulla possibilità o meno che in un parco pubblico potesse starci anche un campo di calcio che comunque rappresenta sempre un’area verde. Oltretutto attualmente il Puchoz insiste su un’area che era già stata ridimensionata nel 2003 in occasione dell’Adunata nazionale degli alpini ad Aosta in quanto per allargare via Torino erano state eliminate le tribune dei popolari, quelle ad ovest per intenderci. Detto ciò voglio dire che per chi vive ad Aosta il parco pubblico lo ha tutto intorno e penso che il Puchoz debba rimanere al calcio perché un capoluogo di regione deve avere il suo stadio». Per Marino Guglielminotti Gaiet l’erba del Puchoz rappresentava “il calcio”. «Ricordo quando mio papà mi portava a vedere l’Aosta ed eravamo negli anni Cinquanta. - aggiunge Marino Guglielminotti Gaiet - Poi la memoria mi riporta alla stagione 1974-1975 quando con l'Anpi Elter al Puchoz sfidammo l'Aosta in 2 derby di Promozione con le tribune colme di spettatori all’inverosimile. Fu un’emozione unica. Inutile dire che quello stadio rimane per sempre nei mie ricordi».

Nunzio Santoro, uno dei grandi protagonisti della storia del Puchoz, commenta: «Ad Ivrea il Pistoni, ad Alessandria il Moccagatta, a Biella il Lamarmora, a Vercelli il Piola, sono tutti stadi ubicati nei centri cittadini che mai nessuno ha pensato di abbattere per destinarli a parchi verdi. Non capisco poi tutta questa frenesia nel volere a tutti i costi demolire il Puchoz. Parlare di farlo rivivere sembra quasi che si parli di un mostro ma non è così. Quello stadio sta bene lì, magari rivisto e rivisitato. Non dimentichiamo che negli anni è stato meta anche di altri importanti eventi sportivi riguardanti ad esempio il ciclismo o la boxe. Ora piano piano gli stanno togliendo tutto l’ossigen,o visto che hanno eliminato sia la pista d'atletica che le tribune dei popolari e come ultimo atto lo vorrebbero azzerare. Sostituirlo con una lapide non va bene e in ultimo dico che come me la pensano in tanti e non solo gli amanti del calcio». Nunzio Santoro proprio al Puchoz ha scritto pagine importanti della sua storia calcistica. «Posso dire con orgoglio di essere stato l’unico valdostano a vincere un campionato sulla panchina dell’Aosta ed era la stagione 1976-1977. - rivendica Nunzio Santoro - La prima volta che ho messo i piedi nel Puchoz è stato nel novembre del 1959 a 18 anni in quarta serie con allenatore Sentimenti III. Arrivavo all’Aosta in prestito dalla Sampdoria e a distanza di anni ammetto di aver vissuto più al Puchoz che a casa mia».

Sulla stessa lunghezza d’onda è Roberto Berlati, classe 1943, storico capitano dell'Aosta che al Puchoz ha passato la sua intera vita calcistica. «Per me il Puchoz ha rappresentato una seconda vita visto che ci ho giocato per tanti anni, dai ragazzi sino ai veterani, e ne conosco ogni centimetro.- riferisce Roberto Berlati - Ho esordito in prima squadra nell’Aosta il 5 giugno del 1960 contro l’Asti, gara finita 1 a 1 e vi sono rimasto sino al 1974 quando ho terminato la mia carriera da calciatore, peraltro vincendo il campionato di Promozione con Domenico Donna allenatore. Per quello che riguarda il progetto legato al futuro dello stadio penso che l'intento finale sia quello di voler far sparire il calcio ad Aosta».

Piero Tognonato, di un anno più giovane di Roberto Berlati, è un altro nostalgico del magico stadio. «Per un calciatore valdostano giocare al Puchoz era il massimo, soprattutto indossando la maglia dell’Aosta, società dove sono approdato nel 1965 per restarci sino al al 1972. - puntualizza Piero Tognonato - Trovo molto strano che in quell’area si vogliano realizzare dei campi da baseball perché a quanto mi risulta un impianto dedicato a questo sport c’è già in regione Tzamberlet, sempre ad Aosta». Cesare Balbis, una delle memorie storiche dell’Aosta Calcio e del Puchoz a cui ha pure dedicato un libro, commenta: «Sono entrato all’Aosta nel 1953 quando avevo 19 anni e ci sono rimasto per oltre 10 anni. Sull’argomento riqualificazione dico che uno stadio così bello con tanti parcheggi attorno deve rimanere ad Aosta magari pensando di completarlo con altre attività sportive collaterali, diversamente si ucciderebbe il calcio».

Più recente è l'esperienza di Ivan Clerino, classe 1975, bomber dell’Aosta anni Novanta. «Quando parlo del Puchoz mi vengono ancora i brividi - confessa Ivan Clerino - e se chiudo gli occhi mi sembra di sentire l’odore dell’erba. Dalla Berretti sono passato alla prima squadra debuttando in serie C nel 1993 con Marco Taffi allenatore. Quando si parla di calcio si parla del Puchoz e secondo me devono mettersi una mano sul cuore e non buttare al vento il passato. Diversamente sarebbe per tutti un duro colpo da assorbire».

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