Montagne dolci 7. C’è speranza se questo accade a By

Montagne dolci 7. C’è speranza se questo accade a By
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Montagne dolci 7. C’è speranza se questo accade a By

By non divenne una “stazione turistica di prim’ordine”, come auspicava l’abbé Henry. Venne la guerra, poi i campeggiatori. La conca di By fu scelta come luogo del cuore dalla Giovane Montagna, l’associazione degli alpinisti cattolici, nata a Torino nel 1914. Il 6 agosto del 1922 i soci torinesi della Giovane Montagna si incontrano con quelli della neonata sezione di Aosta per raggiungere «questa splendida valle non ancora contaminata dal comodo turismo pescecanesco moderno dell’automobile e del Grand Hôtel». Alla ricerca della «semplicità di questi ospitali valligiani che ancora rispettano le belle tradizioni e che ci salutano con l’aria cortese di chi non conosce ancora i moderni sistemi d’aggressione organizzati dall’industria del forestiero e ci danno un senso di serena letizia e ci fanno pensare al giusto grido d’allarme già comparso su questa rivista: “salviamo la vecchia montagna”.»

Per una ventina di anni la Giovane Montagna vi sarebbe ritornata. In particolare vi ritornarono nel luglio del 1926 per ricordare la morte di Pier Giorgio Frassati, assiduo frequentatore, insieme alla sorella Luciana, della conca di By. Proprio il 4 luglio del 1925, giorno della sua morte improvvisa, Frassati doveva andare a By come aveva scritto a Paul-Alphonse Farinet. Per ricordarlo l’Abbé Henry propose di dedicargli il Rocher Frassati (3160 m.) “cette petite Tete de Rocher qui vue de By projette dans les airs une silhouette noire très élancée”.

La Giovane Montagna era solo una delle numerose associazione che fra il 1922 e il 1939 scelsero By per i loro campeggi estivi. Fu meta del Touring Club che vi organizzò campeggi sin dal primi anni Venti, della FALC, l’Associazione Alpinistica Cattolica di Milano, di numerose parrocchie, oratori, colonie, nonché diverse sezioni del Club alpino italiano che scelsero By come base per le loro escursioni. Per ultimi vennero i “Giovani Universitari Fascisti”. Nell’estate del 1939, a By, si tenne il “Campo nazionale universitario” dei GUF di Milano:

«31 tende, di cui una grande ad uso mensa, una grande ad uso dormitorio, una tenda per la direzione e oltre ad una apposita costruzione ad uso cucina, 27 tende di vario tipo ad uso dormitori; 95 partecipanti con 665 giornate di presenza; attività alpinistica molto soddisfacente, con numerose ascensioni - parecchie delle quali per vie non comuni - e ben sette prime salite.»

Sarà l’ultima tendopoli. L’estate successiva i giovani che affollavano la conca di By si preparavano a partire per i monti di Grecia o i deserti dell’Africa.

By si mantenne dunque intatta perché non si costruì la strada sognata da Henry Budden, perché arrivarono i campeggiatori, e non gli sciatori, e perché il grande albergo progettato dai Farinet non si fece, anche per le persecuzioni della famiglia durante il fascismo.

Quando alcuni anni fa l’Università di Torino promosse un grande convegno sulle “Aree Marginali. Sostenibilità e saper fare nelle Alpe”, con l’idea di monitorare il ritorno alla terra, la ripopolazione degli spazi alpini, la riutilizzazione in forme nuove delle risorse locale, mi chiesero di scegliere un esempio valdostano di “area “marginale” dove ci fosse stato un recente ritorno montagna. Un modello di una “nuova vita delle Alpi”, alternativo alla cementificazione, alle seconde case, allo sfruttamento sciistico intensivo. Con l’aiuto prezioso di Daniela Fornaciarini, giornalista, studiosa ed erede della casa e degli alpeggi Farinet, proposi come esempio la storia di By: la ristrutturazione della casa che ospitò Einaudi e tanti protagonisti dell’Italia del Novecento, la riattivazione dell’alpeggio, con ristrutturazione delle baite, delle stalle, della casera e, al contempo, l’organizzazione, in collaborazione con il comune di Ollomont (con la formidabile squadra di Joël Creton e Simona Oliveti), di eventi culturali.

Il problema è che l’alpeggio, che vuole rispettare i più rigidi protocolli disciplinari per assicurare l’eccellenza del prodotto caseario, per ammissione della stessa proprietaria, non è ancora autosufficiente. Senza contributi pubblici l’agro-pastorale da solo, in alta montagna, non ce la fa. Non bastano eventi occasionali. L’escursionismo di giornata non porta ricchezza. Serve qualcosa in più.

Poco dopo l’uscita degli atti del convegno (Milano 2017) ho ricevuto molte mail e telefonate di amici, studiosi, lettori, anche stranieri, tutti con la stessa domanda: “ma come faccio a stare qualche giorno a By?” Non si può. O hai degli amici lassù o ti fermi a Ollomont. Che è un posto piacevole e tranquillo, ma non è la magia di By.

E qui sta il punto. Va bene ristrutturare gli alpeggi, produrre latte e formaggi di qualità, ma senza un’integrazione turistica non si sopravvive. Per questi posti bisogna però inventare un turismo particolare. Come lo vogliamo chiamare? “Responsabile”, “sostenibile”, “dolce”, “eco”, insomma, un turismo nella tradizione delle tendopolis, quelle che hanno salvato By dal diventare un’altra Cervinia. Niente cemento, niente asfalto, niente alberghi, niente spa, niente seconde case. Strutture agili, semplici, economiche, facilmente smantellabili quando non servono più. Oggi la tecnologia aiuta moltissimo: ci sono bungalow di ogni genere, tende per ogni gusto, toilettes ecologiche, anche piccole e deliziose saune. L’acqua non manca (sul wifi invece c’è ancora molto da lavorare).

So che i puristi della ristrutturazione storceranno il naso, mi additeranno tante vecchie baite da recuperare. Ma costa troppo, anche con i contributi pubblici (che peraltro paghiamo tutti); per affittarle due mesi all’anno! E poi le baite non erano fatte per diventare dei Bed and Breakfast. Se vado a By non voglio stanze umide e buie, con soffitti bassi e finestrelle “com’erano una volta”, voglio sentire il profumo del legno, voglio grandi finestre e magari un tetto di vetro.

Forse è un sogno, ma se dovesse realizzarsi, che queste righe valgano come prenotazione.

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