Da Milano a Gressoney-Saint-Jean per catturare la magia delle montagne con la fotografia: Davide Camisasca
Ha il guizzo creativo e avveniristico dell’avanguardia milanese, lo sguardo riflessivo, penetrante e silenzioso che può avere solo chi ha vissuto le montagne più alte d’Europa. Si può riassumere così l’arte di Davide Camisasca, fotografo guida alpina e grande firma delle immagini di prestigiose riviste e di collane di libri, nato a Milano ma residente fin da ragazzo a Gressoney-Saint- Jean. Per lui la passione per la montagna è sempre stata filtrata e potenziata dall’obiettivo della macchina fotografica, scattare immagini artistiche è stata una delle molle per esplorare nuovi scenari e tante vette.
Venuto al mondo a Milano il 4 dicembre del 1953, nel quartiere Bovisa, perché il papà Vito Camisasca in quel periodo lavorava in un prestigioso bar del centro, in corso Matteotti. La nonna paterna Silvia Lercoz era di Gressoney e a Saint-Jean aveva conosciuto il futuro marito, Mario Camisasca, che in estate lavorava come cuoco nella residenza estiva di una famiglia di villeggianti. I nonni Silvia e Mario, genitori di Vito dal 1929, hanno vissuto a Milano in via Giambattista Vico fino alla guerra, poi - in seguito al bombardamento della casa - sono tornati a Gressoney. «Mio padre ha conosciuto e sposato Anna Faini a Milano, però si sono separati quando avevo appena quattro anni e sono andato a vivere a Gressoney-Saint-Jean, con la nonna Silvia e lo zio Carlo Lercoz, che mi hanno accudito splendidamente fino alla quarta elementare. Se di Milano ho solo una vaga memoria dell’asilo e di quando ho imparato a camminare, della pluriclasse di Saint-Jean ricordo nitidamente il maglione con la V rossa simbolo della Valle d’Aosta, l’ambiente familiare e il rimpianto di non avere avuto “il” maestro, bensì una maestra. Essere figlio di due genitori separati negli anni Cinquanta, quando quella condizione era una vera rarità, mi ha fatto talvolta sentire un po’ una mosca bianca, tuttavia mi ha aiutato per contro a rafforzare il carattere. La nonna Silvia gestiva un distributore di benzina, quindi la mia vita a Saint-Jean, complice l’ambiente montano, mi ha fatto vivere molto libero e autonomo, a contatto con la natura. Ho imparato a sciare a sette anni e ricordo andavo sulla pista di Weissmatten da solo.»
A dieci anni Davide Camisasca attraversa un cambiamento radicale, un passaggio traumatico alla quinta elementare di Milano, trasferendosi a vivere dai nonni materni Giorgio e Carolina, dei quali è rimasto ospite fino alla maturità nel 1973 a Rho. «Passare dalla vita libera di Gressoney alla vita inquadrata di Milano, in classe con venti compagni tutti con grembiulino e farfallino, non è stato facile, mi ci è voluto un intero anno scolastico per abituarmi. Dopo le medie, ho frequentato l’Istituto tecnico Ettore Conti, in piazzale Lotto, vivendo le prime contestazioni studentesche, le assemblee e le occupazioni. Mi sono poi iscritto al triennio di specializzazione per chimici nucleari presso l’Istituto Stanislao Cannizzaro di Rho: eravamo in pochi e avevamo professori imprenditori molto brillanti, che per la didattica si avvalevano di testi e di strumenti all’avanguardia. E’ stata una bellissima esperienza, che ha anche contribuito a far nascere la mia passione per la fotografia.»
Dopo la maturità e un paio di colloqui di lavoro a Milano, poco convinto di rimanere a vivere in Lombardia, Davide Camisasca è tornato a Gressoney dove, grazie allo zio guida alpina Dario Busca, marito di Carla, sorella del padre Vito, sono cresciuti la passione per l’alpinismo e il desiderio di diventare guida. «Con lui, e a volte alcuni suoi clienti, sono stato al Castore, alla Capanna Margherita, alla cresta nord del Corno Bianco, tra Gressoney e Alagna, escursioni che hanno fatto riemergere in me l’amore per le cime, che era nato insieme allo zio Carlo Lercoz, quando ero più piccolo e passavo le estati dalla nonna.» Così il rientro a Gressoney è diventato definitivo.
Il primo corso, quello da portatore, è del 1975, quindi nel 1978 si è sposato con Antonella Farre, originaria della Sardegna, che viveva a Saint-Jean perché la sorella Gavinella era la moglie del maestro di sci Leonardo Rossi. Dal matrimonio sono nati tre figli: Daniele nel 1979, di professione videomaker, Caterina nel 1980, che vive nel nord dell’Australia, avendo sposato Lee Cobbe, australiano conosciuto in Inghilterra, e Giacomo nel 1993, che sta per laurearsi in scrittura alla Holden Academy di Torino. Davide Camisasca ha anche quattro nipoti, Ava e Amélie, di undici e dieci anni, figlie di Daniele ed Alessandro e Geremia Cobbe, di tredici e sei anni, figli di Caterina.
Prima e dopo il matrimonio ha svolto vari lavori stagionali (ad esempio a Weissmatten, in un centro vacanze vicino a Castel Savoia, al Rifugio Quintino Sella, negli anni 1974 e 1975, quando lo gestivano Jose e Vito Angster), finché nel 1979 ha superato la selezione da guida, concludendo il corso regionale, che si è tenuto, nell’ultima settimana, a Selva di Val Gardena. «Il corso era diretto da Franco Garda, una grande persona, innovatore nelle tecniche di soccorso, nonché gestore, insieme alla moglie, del Rifugio Monzino a Courmayeur.»
Fin da subito Davide Camisasca ha portato avanti in parallelo le due attività, quella di professionista della montagna e quella di fotografo, aprendo un piccolo punto vendita a Gressoney-Saint- Jean coadiuvato dalla moglie Antonella, non appena è diventato guida. La passione per la fotografia è nata alla scuola superiore di Rho, dove «avevamo un laboratorio di sviluppo ed usavamo i prodotti chimici per preparare le soluzioni per arrivare alla stampa in bianco e nero». Dopo il 1978 Davide Camisasca ha, inoltre, collaborato per un anno e mezzo come secondo assistente in uno studio fotografico torinese che lavorava per la Cinzano, la Danone e la Carrara & Matta, recandosi a Torino periodicamente: «Un’esperienza che mi ha fornito le tecniche e un bagaglio culturale di base. Realizzavamo immagini pubblicitarie e per i cataloghi; dovevano essere perfette in origine, anche come illuminazione, non esistendo all’epoca il ritocco in digitale. Gli scatti erano veloci, il lavoro più impegnativo ad esempio era preparare gli angoli di bagno della Carrara & Matta con l’ausilio di architetti. Usavamo i grossi formati, la Sinar 10-12 e l’Hasselblad. Ho poi trasferito queste esperienze in montagna».
L’abbinamento fotografia/montagna è venuto naturale per documentare e descrivere le ascensioni «Aprendo a Saint-Jean uno spazio dedicato alla vendita di immagini, poster e, da inizio anni 2000, stampe di fine art - per il primo anno in piazza Beck-Peccoz, poi dal 1980 in piazza Umberto I - sono diventato un professionista della foto di montagna, che oggi è la mia attività prevalente, insieme ai servizi per privati o enti. Tutti i giorni mi dedico alla fotografia, è il mio chiodo fisso, è la mia ragione di vita. Anche quando facevo la guida, non smettevo di essere fotografo, portavo sempre con me l’attrezzatura professionale, poiché ogni situazione poteva offrire nuovi spunti. Nel mio zaino c’era sempre qualcosa in più che in quelli degli altri alpinisti...»
Davide Camisasca ha così avuto negli anni delle collaborazioni con varie riviste italiane e straniere - tra le quali Alp, Dove, Gente Viaggi, Sciare, Tuttoturismo, Meridiani Montagne, Alpes e Berge - e case editrici - come la prestigiosa collana «360 gradi» di Priuli & Verlucca e Musumeci per oltre venti libri fotografici su alpinismo e spedizioni, sul lago di Ginevra e pure sui castelli valdostani - e dagli anni Ottanta è stato il protagonista di una serie di mostre: la prima alla Galleria Diaframma di Milano, poi nel 1992 a Brera, quindi nel 1996 l’esposizione sul Tibet ad Aosta e al Museo della Montagna Duca degli Abruzzi di Torino, al cui catalogo ha contribuito per i testi Fosco Maraini, autore di «Segreto Tibet». Altre mostre dedicate alle sue fotografie sono state allestite a Ginevra nel 1988, a Londra nel 1990, a Trento nel 1997 e in più occasioni in Valle d’Aosta, tra il 1987 e il 2007. Del 2012 è l’esposizione a Parigi, nella Maison de la Vallée d’Aoste di «Glace et glaciers», alla quale nel 2015 è seguita nella sala espositiva dell’Hôtel des Etats di Aosta «Lost in Japan», dedicata a un reportage sul Giappone. Del 2018 è poi la mostra «La montagna fotografata, la montagna scolpita» con lo scultore Marco Joly di Arnad nella chiesa di San Lorenzo ad Aosta.
«Utilizzavo - spiega Davide Camisasca - una macchina svizzera Seitz Round Shot 65 che aveva un meccanismo e un obiettivo adatti a scattare a trecentosessanta gradi, per realizzare libri le cui pagine si potevano aprire e srotolare in grandi immagini panoramiche. Tra macchinari e carte speciali, sperimento molto e ho un enorme archivio in pellicola, che via via digitalizzo e stampo, con scatti di venticinque anni fa che restano attuali. Con il digitale è cambiato molto, ma uso ancora una Linhof 617, una macchina stranissima. L’ho portata anche in Tibet. Con un rullino da 120 fai solo quattro foto. Devi mettere la testa in ogni scatto, è un lavoro interessante.»
L’attività di guida è dunque parallela a quella di fotografo, tanto che anche i suoi libri sono legati quasi interamente alla montagna. Le ascensioni sono avvenute perlopiù in Valle d’Aosta, sul Monte Rosa, sul Gran Paradiso e sul Monte Bianco. All’estero, per alpinismo e fotografia, è stato due volte: la prima nel 1993 in Tibet, dove ha percorso circa ottocento chilometri da Katmandu verso il monte Kailas, in un viaggio organizzato da un gruppo di fotografi, accompagnato da guide, e la seconda nel 1997 nella regione del Mustang dal Nepal al Tibet, in un trekking insieme a una decina di compagni valdostani, tra i quali le guide Arnoldo Welf e Adriano Favre. Anche quest’ultimo viaggio è stato un’esperienza umana e professionale, che ha portato ad una mostra fotografica allestita nella Torre del Lebbroso ad Aosta. Da tali esperienze come fotografo viaggiatore hanno visto la luce i libri «Tibet, verso il Monte Kailas» e «Mustang, il regno di Lo».
Sono due le guide alpine con le quali Davide Camisasca ha un ottimo rapporto di amicizia e di collaborazione: Alessandro Jaccod di Donnas, conosciuto al corso guide e con il quale ha effettuato alcune salite, sia al corso, come la Cresta di Peuterey, sia successivamente come per esempio la nord del Lyskamm o l’invernale sulla parete sud del Lyskamm, e Pietro Giglio, con il quale ha avuto numerose collaborazioni in campo editoriale, come i volumi «Oltre i 4.000» e «Profili di Luce».
Fin dagli anni Settanta ha inoltre seguito come fotografo tutte le edizioni del Trofeo Mezzalama, a corredo dei testi di Pietro Crivellaro, e del Tour du Rutor, organizzato dallo Sci Club Corrado Gex di Arvier.
Come guida fortunatamente non ha mai assistito a incidenti che abbiano coinvolto dei propri clienti, anche se ha vissuto due esperienze di valanghe: la prima nel 1978 durante un soccorso alla ricerca di quattro alpinisti mantovani, insieme a Renzo Squinobal, tra il Rifugio Quintino Sella e la Capanna Gnifetti sotto il Naso del Lyskamm - «la valanga a me ha spezzato uno sci e ha fatto volare via l’altro, da quel momento è iniziata una sofferta discesa senza sci, sprofondando fino alla vita e siamo riusciti a rientrare incolumi» -, una seconda durante l’attività di fotografo nella zona di Bettaforca, dove è stato travolto da una valanga a lastre, che dopo cento metri lo ha fortunatamente espulso.
Comunque anche se il motivo trainante della sua attività alpinistica è sempre stato la fotografia, fino agli anni Novanta Davide Camisasca è stato interpellato anche come soccorritore e, come guida, ha ricordi significativi di alcuni clienti. Tra questi, Roberto Lovison di Milano, con il quale ad inizio carriera aveva tentato di arrivare alla Capanna Margherita, senza riuscirci. Quarant’anni dopo Roberto Lovison lo ha ricontattato per tornarci, raggiungendola nel 2020. «Un altro ricordo - dice Davide Camisasca - riguarda una coppia di tedeschi che, nonostante entrambi avessero circa sessant’anni, mi impressionò per la forza e la velocità con le quali aveva raggiunto la Capanna Margherita e, dopo una settimana, il Monte Bianco dal versante francese. Infine, un farmacista di Ivrea che, nonostante avesse difficoltà a camminare in discesa guardando a valle, era arrivato con me alla Capanna Margherita e alla Becca di Monciair.»
La specializzazione è la cifra stilistica di Davide Camisasca, a partire dagli studi superiori a Rho, che innescarono la scintilla dell’amore per la fotografia. Il suo è un continuo desiderio di migliorarsi, di cimentarsi con tecniche ed attrezzatura innovative. Le vette delle montagne, in particolare quelle della valle di Gressoney, sono state il filo conduttore della sua vita, dell’ambiente nel quale ha vissuto fin da bambino, muse ispiratrici della sua arte, che lo ha spinto a realizzare decine di reportages in alta quota. Pure in tale ambito Davide Camisasca è stato sempre creativo ed innovativo, dalla scelta attenta e consapevole della macchina fotografica, per l’appunto mai casuale, a quella delle tecniche e dei metodi di stampa, fino ad arrivare con orgoglio alla sua «fine art» legata a corda doppia alla montagna.