Montagne dolci 2. Dove sono le nevi di un tempo?
Montagne dolci 2. Dove sono le nevi di un tempo?
Le generazioni future forse le troveranno soltanto in un bel libro di Franco Brevini, Il libro della neve. Avventure, storie, immaginario (Il Mulino 2019), uno di quei libri che quando lo leggi ti viene da dire: “ma perché non l’ho fatto io?”. Poi ti rendi conto che per scriverlo devi essere non solo un letterato, con conoscenze enciclopediche nella storia della letteratura, della scienza, dell’arte, dello sport, del cinema, ma anche uno sciatore, un alpinista, un esploratore polare ... Insomma, competenze non proprio alla portata di tutti.
Di Franco Brevini sì. L’autore riesce a tenere insieme, in un racconto avvincente fra arte, storia e squarci autobiografici, le mille sfaccettatura della neve. La neve del Grande Nord di Jack London e degli esploratori polari, la neve della guerra, da Annibale a Napoleone, fino agli alpini della guerra bianca e della ritirata di Russia. La neve degli scienziati dalle mille sorprendenti forme che appaiono soltanto al microscopio e la neve dei poeti, metafora della pelle e dell’animo femminile. La neve degli inuit, su cui continuano a circolare infondate leggende linguistiche, e la neve dei romantici che inventarono allo stesso tempo la bellezza della natura selvaggia, della montagna, dell’inverno e della neve. La neve dei pittori e quella del cinema, i ghiacci simbolici di Frankenstein e quelli reali di Shackleton, i giganteschi seracchi himalayani e gli insidiosi dei crepacci del Gran Paradiso, da cui l’autore riesce a uscire con sangue freddo e un po’ di fortuna.
Un libro ricco di illustrazioni che si può anche leggere a pezzi (perfetto come dono, lo immagino nelle hall degli alberghi o nei rifugi alpini), sfogliarne le immagini che sono libri dentro il libro. Organizzato per temi (ogni tanto ti verrebbe voglia di rimettere tutto a posto, in un ordine cronologico - la neve nell’antichità, nel medioevo, nel romanticismo... oggi - ma forse è una mia deformazione professionale), il libro viaggia leggero tra la neve della scienza e quella della poesia, la neve dei soldati e dei viaggiatori; tra bufere e valanghe, Iceberg e ghiacciai, uomini e animali che nelle nevi hanno creato il loro ambiente.
Probabilmente la maggior parte dei lettori andrà subito a cercare i capitoli sullo sci. Che si trovano giustamente verso la fine.
Ben più della rivoluzione romantica, lo sci alpino, il “discesismo”, come lo si chiamava un tempo (lo sci nordico è altra cosa, con una lunghissima storia confinata però nel mondo scandinavo), ha cambiato totalmente l’immaginario e l’uso della neve. Sintetizzando duemila anni di storia, si potrebbe dire che ha trasformato una maledizione del cielo in “oro bianco”. Brevini segue la storia dello sci dalle origini a oggi, passando attraverso la storia dei pionieri, l’uso militare, quello politico (Mussolini a torso nudo sul Terminillo a indicare il modello dell’italiano nuovo), il suo sfruttamento economico con la nascita delle prime stazioni sciistiche, la moltiplicazione dei mezzi di risalita meccanica che capovolgono l’immagine della montagna, da luogo di fatica a luogo di divertimento. Una montagna che diventa luogo per scendere anziché per salire, per la velocità anziché per la lentezza, per il rumore anziché per il silenzio.
Una montagna che dove arriva lo sci diventa ricca, cessa di spopolarsi, rinasce. Undici miliardi di fatturato netto annuo solo nelle sole stazioni sciistiche italiane, oltre un decimo del PIL complessivo, senza contare tutto l’indotto. Ma anche una montagna devastata dalla cementificazione e dagli impianti di risalita. Una montagna sempre più simile alla città.
Oggi, conclude Brevini, “il comparto dello sci vive una stagione estremamente delicata. Lo sci tiene, ma appare ormai un prodotto maturo, che non cresce, incalzato com’è da un’aggressiva concorrenza che per il tempo libero offre molte altre proposte …. Pena disastrosi insuccessi, il futuro delle stazioni si giocherà intorno alla capacità di trovare una sintesi sostenibile, che ovviamente è di volta in volta diversa, tra infrastrutture e paesaggio, tra servizi e qualità ambientale, tra modernizzazione e tradizione”.
Una conclusione che è un programma di lavoro per i prossimi anni. Per persone con competenze diverse, dove solo in minima parte servono la storia, la letteratura e anche la abilità alpinistiche ed esplorative. Serviranno ingegneri, architetti, informatici e tutte quelle nuove professionalità che incominciano per bio. Serviranno soprattutto politici che sappiano ragionare su tempi lunghi, più lunghi del loro mandato e che sappiano fare un passo indietro, chiamando intorno a sé non gli amici degli amici, ma le migliori competenze nei diversi settori. Naturalmente accettando il rischio di deludere una parte del proprio elettorato.
Ma, con i cambiamenti climatici in atto, la battaglia che si sta giocando per il futuro della montagna è troppo importante per lasciarla alle dinamiche delle lobbies e dei pacchetti elettorali. Il libro della neve attende da tutti noi, studiosi, politici, amministratori locali, operatori turistici, imprenditori, un ultimo capitolo in cui si dica in cosa consiste, vallata per vallata, paese per paese, la “sintesi sostenibile tra infrastrutture e paesaggio, tra servizi e qualità ambientale, tra modernizzazione e tradizione”.
Il lavoro non manca, è di tempo che non ce n’è più molto.