Ottone Clavel, dall’alpeggio alla falegnameria, poi guida con Courmayeur nel cuore
Un nome, un destino. Ottone Clavel, guida alpina e falegname, venuto al mondo al Villair di Courmayeur - “grazie all’ostetrica vicina di casa Odille Lanier” - il 3 ottobre 1943, ha avuto in sorte il nome dello zio materno Ottone Bron, il primo maestro di sci diplomato della Valle d’Aosta, partecipante nel dicembre del 1932 al corso inaugurale della professione di Clavière, nonché grande guida alpina e fondatore nel 1936 della Scuola di sci del Monte Bianco.
Nel luglio 1938, andato a fare una discesa con un cliente sulla Mer de Glace, Ottone Bron cadde in un crepaccio. Dopo vari tentativi di recupero che peggiorarono solo i suoi traumi alla spina dorsale, venne chiamato il gestore del vicino Refuge du Requin, che provò a scendere in corda doppia fino a raggiungerlo. Ottone Bron era in ginocchio che pregava e si era già tolto l’orologio e la fede nuziale, che vennero affidati al soccorritore, appena prima di morire. La disgrazia ebbe un ampio eco sulla carta stampata dell’epoca.
Anche il papà di Ottone, Giuliano Clavel, nato nel 1895, era guida alpina però il suo lavoro fu sempre quello di casaro. La mamma Ivette Bron, classe 1900, si occupava della casa e dei cinque figli: oltre ad Ottone, l’ultimo, Renato del 1924, che avendo diciannove anni di più del fratello minore veniva chiamato “il papà”, Ada del 1934 ed i due gemelli del 1938, Italo e Gemma.
I nonni paterni venivano dalla valle del Gran San Bernardo, ma Giuliano era già nato a Courmayeur. La madre Ivette era del Villair, nella cui casa di famiglia ora abita Gemma, mentre Ottone risiede in quella paterna dei Clavel al Pussey. “Dall’età di sei anni, d’estate la mamma mi mandava in alpeggio con papà, in modo da potersi occupare più agevolmente dei fieni e dell’orto. Siamo stati sia in Val Ferret che in Val Veny, con le nostre bestie, delle quali una decina da latte, più quelle che mio padre Giuliano prendeva in affitto. I bambini dai sei ai nove anni li chiamavano “lappa boura”, dai dieci anni “cit” e a quel punto iniziava il lavoro vero di “caula”. Bisognava guadagnare quanto occorreva per comprarsi a fine stagione un paio di scarpe, la sveglia era alle 3 del mattino per andare nelle stalle a prendere i secchi di latte appena munto e portarli a versare nella caldaia sul fuoco dove si sarebbe lavorata la fontina. Quando tornavamo in stalla, con il tepore delle bestie e in attesa dell’altro latte, ci addormentavamo sulle mucche sdraiate ed i mungitori urlavano “caula!” per svegliarci. Il menu dell’estate in alpeggio era il medesimo ogni giorno: a mezzogiorno polenta e latte, la sera minestra di latte con pasta piccola.”
Di quando era bambino, Ottone Clavel ricorda anche di essere stato il pastorello di cinque maiali, che venivano nutriti con i residui della lavorazione della fontina e del burro. Una sera giocava invece che guardarli, così li perse di vista. Dopo averli cercati ovunque invano, tornando verso le stalle con papà Giuliano notarono con sorpresa che i maiali erano saliti sul letto, quindi la notte passò tranquilla, senza il pensiero di doverli trovare il mattino seguente, ma prima di dormire Ottone si prese una bella strigliata per avere disatteso il suo compito, perché in alpeggio si imparava ad avere ognuno una responsabilità, piccola o grande che fosse.
Ottone Clavel ha frequentato le elementari fino alla sesta a Courmayeur, in una pluriclasse. “Le maestre cambiavano ogni anno ed erano tutte molto severe. Fino alla terza si andava a scuola al Villair, dove abitavo. Ricordo che il mattino, appena arrivavamo, la maestra Romilda Bertholier, la moglie di Toni Gobbi e mamma di Gioachino, guardava se avevamo le orecchie pulite. Chi le aveva sporche doveva andare alla fontana del villaggio, a lavarle con l’acqua gelida. Se eravamo indisciplinati, ci obbligava a stare in ginocchio su un pezzo di legno, dovendone sorreggerne un altro con le braccia tese sopra la testa. Dalla terza la scuola era solo al capoluogo e lì, in caso di marachelle, finivamo in castigo dietro alla lavagna.”
A sedici anni, dopo dieci stagioni estive in montagna, decise di non più andare in alpeggio con il padre Giuliano e di imparare il mestiere di falegname. Perciò venne preso come apprendista dai Derriard, Ernesto ed Ezio, padre e figlio, che avevano pure l’impresa di pompe funebri. “Ernesto Derriard era molto severo e talvolta mi chiedeva di aiutarlo anche con i morti, che spesso erano caduti in montagna e venivano recuperati in condizioni raccapriccianti. Non mi rifiutavo, ma la notte dormivo male per via degli incubi. Quando non c’erano questi lavori extra, facevo pratica da falegname. Sono rimasto da loro fino a diciannove anni, ovvero alla partenza per il servizio militare.”
Nel frattempo in Ottone Clavel nasce la passione per la montagna, che d’altronde era una tradizione per la sua famiglia. La fortuna per lui fu di avere come amico di infanzia nonché compagno di scuola Attilio Ollier che, insieme al fratello Alessio, era già uno scalatore affermato. “A diciotto anni Attilio mi ha accompagnato per la prima volta sulla Tour Ronde, la seconda volta sul Dente del Gigante. Così la mia voglia cresceva e ho iniziato a pensare che sarei potuto diventare guida apina, tanto che ho cominciato ad allenarmi con altri due amici più giovani, Lorenzino Cosson e Giuseppe Petigax, diventati a loro volta guide dopo di me.”
Quando nel 1964 è chiamato negli Alpini, come artigliere di montagna a Susa, grazie alla sua esperienza nell’alpinismo, in occasione del centenario della conquista del Cervino del 1965, viene trasferito a Breuil Cervinia per le celebrazioni della ricorrenza e con i compagni scala la Gran Becca per la via normale.
Tornato a Courmayeur dopo il congedo, per prima cosa Ottone Clavel decide di aprire una piccola bottega di falegname, senza però mai rinunciare ad allenarsi in vista della partecipazione al corso da portatore, status raggiunto il 9 giugno del 1967. Dopo due anni e mezzo, il 1° gennaio 1970 è quindi diventato guida alpina e successivamente, il 15 ottobre del 1970 si è sposato con Franca Pontal, all’epoca ventitreenne, originaria di Arvier e cugina dei Pontal della falegnameria di Entrèves, conosciuta perché lei lavorava nel famoso ristorante “La Maison de Filippo” proprio a Entrèves.
Il 30 novembre del 1972 ad Ottone Clavel accade un infortunio che avrebbe potuto pregiudicare per sempre la sua attività di guida. Aveva da poco compiuto i ventinove anni ed operando su di una macchina per la lavorazione del legno subì un brutto incidente, ferendosi gravemente a quattro dita della mano destra. La sua grande preoccupazione fu quella di non poter più esercitare in montagna, ma per fortuna, dopo sette mesi dall’infortunio, riuscì a riprendere. “Il 2 luglio 1973 una coppia trentina, marito e moglie, mi chiesero di accompagnarli sulle Grandes Jorasses. Mi spiaceva perdere quell’occasione di lavoro, così siamo partiti però, per non farli preoccupare e affinché non avessero dubbi sulla loro guida, non ho detto nulla dell’incidente e ho sempre tenuto i guanti di lana. Li ho tolti solamente quando siamo rientrati, spiegandolo l’accaduto, e ricordo che la signora si commosse.”
Nei mesi precedenti, quindi nell’estate del 1971, sui terreni ereditati dalla mamma Ivette alla Zerotta in Val Veny, Ottone Clavel aveva inaugurato il “Camping Aiguille Noire”, “così in estate mia moglie Franca gestiva il campeggio ed io la piccola falegnameria, alternando l’attività artigianale a quella di guida alpina”.
In mezzo a tutti questi eventi il 16 aprile del 1972 nasceva il primo figlio Arnaud, che sarebbe diventato pure lui guida alpina ed istruttore, capace di imprese alpinistiche come la parete de El Capitan nel 1994, il Chooyu nel 1995, il Makalu nel 1996, il Lhotse nel 1997 con Abele Blanc e il K2 nel 1998, che ora ha due figli, Alysée di dodici anni e Sophie di nove, avuti dalla moglie Iris Voyat di Gressan.
Praticamente cinque anni e un mese dopo, il 16 maggio del 1977, Franca e Ottone festeggiarono l’arrivo della secondogenita Ivette - a sua volta mamma dell’undicenne Mäelle e di Virginia, sei anni -, laureata architetto a Milano, donna con la passione per lo sci, anche per l’alpinismo, che pratica con il marito Peter Mason, statunitense di Norwich nello Stato di New York, a sua volta guida alpina a Chamonix. Ivette, già presidente delle Funivie del Monte Bianco, ha creato con il fratello Arnaud, la società che attualmente gestisce la falegnameria del Pussey di papà Ottone.
“Nei primi anni di attività del mio laboratorio - ricorda Ottone Clavel - avevo assunto un operaio in modo da ritagliarmi un po’ di tempo per lavorare come guida in estate. Ora, da quando sono subentrati i figli, l’impresa si è ingrandita, arrivando ad impiegare una decina di persone, e si occupa di pavimenti, di serramenti, di scale e di mobili. Comunque adesso sono in pensione, tuttavia seguo ancora la falegnameria e pure il camping, di cui è titolare ancora mia moglie Franca e che è gestito, insieme a sette dipendenti, da mia nuora, Iris Voyat.”
Fino al 1999 Ottone Clavel è stato anche soccorritore, facendo i turni all’aeroporto Corrado Gex di Saint-Christophe. Quando era giovane gli interventi si facevano senza elicottero: “Come dimenticare quando - insieme ad Attilio e Alessio Ollier, a Renato Petigax ed a Franco Garda - partivamo per i soccorsi a piedi, rischiando in prima persona. Ricordo bene, ad esempio, il soccorso al collega Lorenzo Belfrond il 16 agosto 1968 e la prima volta in cui un elicottero militare dell’Agusta Bell è atterrato nel piazzale di Courmayeur e ci ha portato fino a una certa quota per un intervento di recupero”.
Nel 2000, dopo un intervento di protesi ad entrambe le anche, effettuato a Bergamo dall’ortopedico alpinista Ottavio Dezza, ha smesso l’attività, restando come guida emerita nella Società di Courmayeur. Perlopiù Ottone Clavel ha esercitato la professione sulla catena del Monte Bianco e più in generale in Valle d’Aosta, d’estate. Da febbraio e per tutta la primavera, accompagnava i clienti nella discesa della Mer de Glace, praticando tra i primi anche l’eliski dai ghiacciai del Rutor. Non sono mancate però le ascensioni in altre regioni italiane, come nelle Dolomiti, con la scuola di alpinismo della Società guide di Courmayeur che aveva sede al Rifugio Monzino nella Val Veny, e sul Gran Sasso accompagnando dei clienti. Come pure le appassionanti avventure all’estero, dalle più vicine Alpi Bernesi in Svizzera, il Jungfrau e il Monch, quindi nelle Alpi Giulie, il Triglav, che è la vetta più alta della Slovenia, poi in Africa il Toubkal in Marocco, il Monte Kenya e nel 1989 il Kilimangiaro insieme a Renzino Cosson ed accompagnando la banda musicale di Courmayeur e La Salle, che suonò in alta quota, “affascinando i portatori africani, che hanno la musica nel sangue e non avevano mai ascoltato quelli strumenti musicali”.
“Nel giugno del 1991, con la guida di Courmayeur Sergio Favre, l’amico Maurizio Luboz ed i clienti Pierre Sicouri, il famoso velista, e la moglie Paola Pozzolini, siamo stati in Russia, dove abbiamo realizzato varie ascensioni, culminate nell’Elbrus nel Caucaso. Nel 1994, sempre con Sergio Favre, Pierre Sicouri e Paola Pozzolini, abbiamo affrontato i monti Altai, che si trovano tra la Cina e la Mongolia. Nel 1995 sono stato sul Fujiyama in Giappone, con Paolo Ascenzi, professore universitario di Roma, che veniva in vacanza a Courmayeur, e con il quale siamo saliti tante volte sul Monte Bianco.”
La tradizione agricola e pastorale della famiglia - che è molto presente nei valori di vita di Ottone Clavel - è ancora portata avanti dalla nipote Giulia Jaccod, figlia della sorella Ada, che alleva una ventina di mucche, e dall’altro nipote Giuliano Banino, figlio di Gemma, che ha un alpeggio con centocinquanta pecore. D’altronde entrambi portano dei nomi che ricordano il nonno Giuliano Clavel.
Da parte sua, Ottone Clavel ha assistito all’evoluzione turistica e al boom edilizio di Courmayeur negli anni Sessanta. Pur avendo girato il Mondo, conquistando alcune tra le vette più suggestive, ardite e insolite, conserva ancora intatti nella sua mente i ricordi di quando si viveva nelle stalle a stretto contatto con gli animali, e gli viene una grande malinconia nel rivedere adesso gli alpeggi ridotti a ruderi, diroccati e abbandonati, “ben pochi sono stati ristrutturati” dice sconsolato. “Un tempo erano una ricchezza ben più importante degli alberghi. Ora è esattamente il contrario. Ultimamente sono stati costruiti a Courmayeur degli alberghi a cinque stelle molto grandi, vere e proprie cattedrali nel deserto, mentre sono andate perse alcune tradizioni e parecchie bellezze paesaggistiche, visto che la natura più autentica e suggestiva si mantiene solamente nella parte più alta del nostro territorio”.
“Ora - commenta Ottone Clavel - si è fermata, per fortuna, la frenetica costruzione dei condomini, ma bisognerebbe continuare a fare attenzione a non esagerare, mantenendo e valorizzando almeno il patrimonio ambientale che è rimasto. Certamente il traforo del Monte Bianco, facilitando i collegamenti con l’estero, ha portato sviluppo e progresso, dei quali hanno beneficiato soprattutto gli alberghi, i ristoranti e le attività legate al turismo, consentendo un salto nella qualità della vita. Anche il turismo invernale, trainato dai nostri impianti sciistici all’avanguardia e da un innevamento artificiale che rende le piste sempre perfette, ha avuto uno sviluppo esponenziale, tuttavia avendo la fortuna Courmayeur di possedere due vallate, Veny e Ferret, bisognerebbe preservarne almeno il fascino autentico degli albori dell’alpinismo e dell’escursionismo in montagna, quello che molti turisti contemporanei cercano sempre di più.”