“Il primo paio di sci? Mi costò un coniglio”. Giovanni Hérin, guida e maestro di una volta
Giovanni Hérin, nato il 15 ottobre 1944 a Valtournenche nel villaggio di Mont Perron, dove è rimasto per i primi due anni di vita, ha attraversato tutta la parabola della trasformazione della montagna, dalla fase agricolo-pastorale al vivere in quota come contesto ideale per delle professioni che richiedono una lunga formazione e competenze specifiche e che ripagano in termini di soddisfazione, anche economica, grazie alla continua crescita del turismo.
Nonostante avesse solo alcuni parenti nel ramo materno in attività come guide, Giovanni Hérin è diventato portatore a soli vent’anni anni ed è tuttora maestro di sci a tempo pieno. “Era un periodo buio”, ricorda dei suoi primissimi anni di vita, memore dei racconti che gli sono stati riportati: “C’erano i tedeschi che entravano nelle stalle e sottraevano la mucca più bella. Si sotterravano le patate, nel timore di rimanere senza. Però si stava meglio che nei paesi di fondovalle, dove tutto era razionato. In montagna c’era poco, ma il pane di segale, il latte, le uova, il formaggio e la polenta non venivano mai a mancare”.
Dei sette figli di Natale Hérin, classe 1910 del Loz, e di Maria Ottin del 1907 originaria di Losanche, Giovanni era il quarto: prima di lui, Adriano del 1937, Renata del 1939, Amato del 1941; dopo, Giuseppe del 1947, Candida del 1948 e Antonio del 1953. “Nessuno dei miei fratelli ha intrapreso una professione della montagna. Antonio e Giuseppe hanno lavorato all’Enel, il maggiore, Adriano invece è stato muratore. La mia era una famiglia di contadini, che viveva di agricoltura, lavorando la terra ed allevando pochi capi di bestiame. Fin da piccolo, dalla terza elementare, terminata la scuola a giugno, andavo negli alpeggi della zona, tra i più alti d’Europa, a circa duemilacinquecento metri, come l’Oriondé oppure al Bardoney e a Cretón, dove la nostra famiglia mandava le mucche e dove spesso avevamo la reìna della montagna. Anche quella è stata una buona scuola per conoscere e affrontare le intemperie ed i cambiamenti repentini del meteo. Si imparava a muoversi su tutti i terreni, anche su quelli resi sdrucciolevoli dalla pioggia. Così fin da ragazzo ho esercitato la mia capacità di resistenza al freddo e alla fatica. Allora negli alpeggi c’erano i pastori - lo devan e lo secon, ricordo ancora molto bene Firmino Lettry e Pierino Barmasse - e poi i cit aiutanti. Quasi mai i cani, neppure i fili elettrici per circoscrivere l’area del pascolo, che sono arrivati molto dopo. Erano i bambini a tenere unite le bovine, correndo con gli zoccoli di cuoio e legno, che passavano dal fratello maggiore ai più piccoli ed ai quali si applicavano dei chiodi per farli aderire meglio al terreno.”
Da Mont Perron, Giovanni Hérin e la sua famiglia si trasferirono nel 1946 a Maen dove abitarono vent’anni e dove il nostro protagonista trascorse la propria gioventù. Papà Natale aveva preso in locazione i terreni per ampliare la propria attività agricola e di allevatore, compresa una casa con la stalla e il fienile. “Quando abitavo a Maen - rammenta Giovanni Hérin - per partecipare al catechismo su al capoluogo salivo con la slitta, così potevo usarla in discesa per tornare a casa, visto che negli anni Cinquanta passavano pochissime auto. La scuola elementare l’ho frequentata proprio a Maen, nelle due pluriclassi - prima e seconda e poi terza, quarta e quinta - mentre per le medie mi iscrissero a Châtillon dai Salesiani, dove rimasi per due anni, tornando a Valtournenche solamente per le festività natalizie e per l’estate.”
“Ho lasciato gli studi - continua Giovanni Hérin - perché non mi interessavano e ho iniziato molto presto a lavorare. A Maen praticavo solo lo sci di fondo, che comunque per l’equilibrio è stato una palestra importante, però mi piaceva pure la discesa, tanto che a dodici anni mi sono procurato un paio di sci usati, barattandoli con un coniglio. Ho iniziato così da solo e poi sono passato a fare il battipista, alle dipendenze della Cervino SpA. Allora, tutti utilizzavano degli sci molto lunghi, almeno da due metri e dieci, quindi noi formavamo due squadre da circa venti battitori: prima distribuivamo la neve con il badile, poi iniziavamo a battere con gli sci ai piedi, scendendo a partire da Plateau Rosa. Non ero bravo a sciare all’inizio, ma ho imparato velocemente con la battitura, che è un ottimo allenamento per farsi le gambe. A pranzo mi sbrigavo a mangiare pur di guadagnare il tempo per affrontare una pista solo per divertimento, prima di raggiungere di nuovo gli altri al lavoro.”
Nell’aprile del 1964 Giovanni, dopo aver frequentato l’apposito corso regionale, sostiene il primo esame per diventare allievo maestro ed insegnare quando i maestri della Scuola del Cervino sono impegnati, soprattutto a Natale e a febbraio. Il suo distintivo porta il numero 931 e già l’anno seguente nel 1965 prende parte alla formazione organizzata della Federazione Italiana Sport Invernali e diventa ufficialmente maestro di sci, partecipando fino al 1967 pure a diverse gare. In quell’anno ottiene il brevetto da istruttore nazionale e viene chiamato a fare parte - lo sarà per vent’anni - della commissione per valutare gli aspiranti maestri, girando tutta l’Italia, prima che le singole regioni si organizzassero per conto proprioi. Pure l’Esercito lo chiamava per tenere i corsi di aggiornamento per gli istruttori dell’allora Scuola Militare Alpina di Aosta. La passione per lo sci lo porta per due anni ad assumere il ruolo di direttore della Scuola di sci del Cervino e, in seguito, per quindici anni complessivi, in diversi periodi, quello di allenatore del famoso Sci Club Cervino, allevando e seguendo tanti giovani atleti di successo, come Spencer Pession, Lorella Pellissier, Elisa Bich, Fabio Belotti, Matteo Zanetti, Marie Ange Maquignaz, Corrado Neyroz, Nils Carrel: “Con i miei ragazzi, alcuni dei quali oggi hanno già sessant’anni, ho vinto delle edizioni dei Campionati Italiani e del “Trofeo Topolino”. Tra i miei clienti invece, il più longevo è stato il conte Franco Grandi, figlio di Dino Grandi, ministro degli Esteri dell’Italia fascista, pur avendo sciato con diversi altri maestri, ha scelto me per una ventina d’anni. Un’altra allieva di antica data, sia per l’alpinismo che per lo sci, è Piera Barboro, moglie di Franco Oberti, ex presidente del Club Amici del Cervino, recentemente nominato Ami de la Vallée d’Aoste, che era stato cliente di Innocenzo Menabreaz, guida alpina e maestro sci. Con lei vado tuttora in montagna”.
Il 28 maggio 1966 Giovanni Hérin ha sposato Marzia Grassis, dalla quale ha avuto tre figli: Alberto, il maggiore, venuto al mondo nel 1967, Isabella nel 1972, che ora vive in Piemonte e Michele nato nel 1974, laureato in Economia, che condivide con il padre la passione per la montagna, praticando lo sci alpinismo e la corsa sui sentieri e che ha avuto due figli da Francesca Zoppo: Mathieu ventunenne e Gabriel, sedici anni, che abitano a Châtillon e che chiaramente hanno imparato a sciare con il nonno. Dopo la fine del suo matrimonio, da circa trent’anni Giovanni ha una compagna, Rosita Dujany, con la quale vive.
Anche sul fronte delle imprese alpinistiche, Giovanni Hérin ha una grande esperienza, che lo ha portato a diventare guida alpina nel 1969, dopo essere stato portatore dal 1964, praticamente in contemporanea al primo corso da allievo maestro di sci. In famiglia erano guide nel ramo materno degli Ottin, il nonno Giuseppe, il prozio Serafino e i due zii Giovanni Battista e Germano.
Fu proprio con lo zio Giovanni, classe 1917 - alpinista famoso per avere accompagnato più di trecento clienti sul Cervino e che aveva affrontato per primo la parete ovest del Grande Becca, con Renato Daguin, e la Cresta De Amicis in inverno - che Giovanni Hérin iniziò ad avvicinarsi alla montagna: “E’ con lui che a sedici anni arrivai al Cervino non dalla via normale, bensì dalla più difficile Cresta De Amicis in condizioni invernali, poiché, a causa di un temporale della sera prima, era tutta coperta di ghiaccio”.
Però in precedenza, nell’estate del 1963, considerata ormai la sua abilità, malgrado avesse solamente diciannove anni, gli viene proposto di partecipare alla prima spedizione organizzata da Guido Monzino al settanduesimo parallelo nella Groenlandia orientale, salendo l’Italian Peak, e l’anno successivo riparte alla volta della Groenlandia per esplorare le Alpi di Stauning, scalando la punta est del ghiacciaio Viking. “La Groenlandia era inesplorata. La nostra spedizione di guide della Valtournenche - ricorda Giovanni Hérin - era composta pure da un medico, un cartografo e un geologo, che scattavano fotografie e facevano rilievi di rilevanza scientifica. In aereo quadrimotore viaggiavamo dall’Islanda fino alla base americana in Groenlandia. Di notte era sempre giorno, il sole non tramontava mai.” Negli stessi inverni, dal 1963 al 1965, Giovanni Hérin è nelle spedizioni volute da Guido Monzino nell’Africa sahariana, al Tibesti e nell’Hoggar algerino.
Spesso si accompagna al più anziano ed esperto Pacifico Pession nel guidare i clienti. “Lui era la guida e il maestro di sci di Giulio Ferrario, ingegnere e industriale tessile di Busto Arsizio, frequentatore abituale di Breuil Cervinia e anche appassionato del deserto, oltre che alpinista. Io ero il maestro dei suoi figli e ho avuto la fortuna di accompagnarlo con Pacifico Pession in numerosi viaggi in Niger, Algeria, Libia, Egitto e Kenya, sul Ruwenzori e sul Kilimangiaro. Nei primi anni Settanta in Egitto avevamo risalito il corso del Nilo in fuoristrada, superato la diga di Assuan e continuato a costeggiare il fiume con le jeep fino a Karthoum in Sudan. Dopo l’Egitto, fu ancora la volta dell’Hoggar in Algeria, già conosciuto con la spedizione di Guido Monzino.”
Nel 1974 partecipò alla ripetizione della salita dello spigolo nord del Garet el Djenoun sui Monti Teffedest in Algeria con Jean Bich, Pacifico Pession e Leonardo Carrel. “Salendo da nord avevamo adocchiato una possibile via sulla parete ovest - precisa Giovanni Hérin - e quindi nel 1975 ci sono tornato con le guide di Valtournenche e Renzino Cosson, che era in cordata con Jean Bich ed e io con Marco Barmasse, mentre Pacifico Pession e Leonardo Carrel erano di supporto. Insieme, abbiamo così aperto la direttissima sulla ovest del Garet el Djenoun, dedicandola a Camillotto Pellissier, vincitore nel 1959 del Kanjut Sar, mancato poco tempo prima.”
Nel 1973 Giovanni Hérin, Marco Barmasse e l’alpinista Guya Baseggio ripeterono la via Deffeyes, sul Pic Tyndall del Cervino, dopo oltre trent’anni dalla prima scalata compiuta l’11 settembre del 1942 da Albert Deffeyes e da Luigi Carrel. Durante l’escursione, vennero pure recuperati un vecchio chiodo e un moschettone lasciati in parete da “Carrellino”.
Tra le altre imprese che vedono protagonista Giovanni Herin figura la prima invernale alla sud del Cervino del dicembre 1971: da una parte la cordata dei fratelli Arturo e Oreste Squinobal di Gressoney, dall’altra Ettore Bich con Innocenzo Menabreaz e Giovanni Hérin, che avvertivano un po’ di sana competizione nei confronti delle due forti guide gressonare. A seguire, dell’inverno del 1977 è la partecipazione al primo tentativo invernale alla ovest della Grande Becca, interrotto per il maltempo: con lui è Marco Barmasse che grazie a quella rinuncia obbligata rientra in tempo per la nascita del secondogenito Hervé, che a sua volta diventerà un grande alpinista. Giovanni Hérin ha tracciato anche un nuovo itinerario alla Punta di Cignana e uno al D?me di Tzan con Ettore Bich e Luigi Hérin , la “Via Città di Chivasso”.
Negli anni Ottanta nasce il sodalizio sciistico con il conte Franco Grandi, scomparso nel 2004. “Era appassionato di sci fuoripista e con lui ho girato mezza Europa. - commenta Giovanni Hérin - Sono stato tra i promotori dell’eliski, che abbinavo allo sci alpinismo con altri clienti: facevo una ricognizione della zona con le pelli, per poi effettuare le discese, valutando quando le condizioni erano ottimali, arrivavo ad organizzare anche ottanta rotazioni di elicottero per stagione, con mete principali il Monte Rosa da entrambi i versanti, la Testa di Valpelline per scendere fino a Zermatt, il colle delle Grandes Murailles con discesa a Prarayer di Bionaz, il colle di Bella Tsa e tante classiche nella Valgrisenche e sul Rutor.”
Le imprese di Giovanni Hérin, dall’apertura di nuove vie alpinistiche all’esplorazione di zone poco note, sempre all’insegna dell’avventura e delle nuove acquisizioni geografiche e scientifiche, sono la dimostrazione di come le professioni tradizionali della montagna possano diventare anche un’occasione di crescita personale e di elevazione sociale, pur partendo da uno stile di vita agricolo-pastorale e da un’epoca storica in cui il turismo d’élite, legato allo sci e all’alpinismo, in Valle d’Aosta era appena agli albori. E’ certo però che Giovanni Hérin con la sua esperienza ha visto il mondo della neve cambiare. “Grazie ai nuovi materiali e alla preparazione ed alimentazione specifiche, l’alpinismo si evolverà rapidamente verso una dimensione più sportiva e prestazionale, improntata sulla velocità. Gli alpinisti saranno sempre più atleti. Invece lo sci è sempre più uno sport di massa. L'evoluzione tecnica ha facilitato l'apprendimento e modificato lo stile della sciata. Sono a favore del mantenimento delle piccole stazioni valdostane come fonte di ricavo per le popolazioni locali, ma mi rendo anche conto dei costi notevoli di manutenzione che rendono economicamente sostenibili solo le grandi stazioni, che come succede adesso in Valle d’Aosta si prendono carico anche degli eventuali deficit di quelle minori, in un sistema di solidarietà che secondo me è molto positivo." Giovanni Hérin ha chiaramente nel suo cuore Valtournenche e quindi Breuil Cervinia. “E' stata impostata male all’inizio, ma ora hanno aggiustato il tiro, rendendola più pulita, ordinata, con zone pedonali e edifici gradevoli esteticamente. È uno dei pochi centri delle Alpi nei quali si arriva dalle piste con gli sci ai piedi e dove la neve è sempre bellissima. Per il futuro la mia opinione è quella di realizzare impianti moderni e solo quelli che servono, rispettando l'ambiente e sfruttando le zone che già si prestano. E' inutile costruire degli impianti dove occorre snaturare territorio."