Alfredo Favre, la guida di Ayas cresciuta all’ombra del Monte Rosa “Sono nato sotto una buona stella”
Nato a Saint-Jacques-des-Allemands di Ayas il 9 luglio 1950, “una domenica, quando ancora si nasceva in casa, con l’ostetrica che saliva da Brusson”, Alfredo Favre è il primo dei cinque figli di Adolphe Favre e di Ninetta Frachey; ha due sorelle, Adriana e Aurora, e due fratelli, Arnaldo e Aldo. Era dei genitori, che lo hanno gestito per quarant’anni, dal 1953 al 1993, l’emporio che si trovava sulla sinistra salendo dopo la piazza del villaggio, dove si poteva acquistare pressoché di tutto, dal petrolio alle lamette e al pane. “Allora Saint-Jacques aveva ben quattro negozi, oggi non ne ha più nessuno e il primo esercizio commerciale si trova a Champoluc”, commenta desolato Alfredo che, avendo sempre vissuto in montagna, ne ha osservato anche i profondi cambiamenti.
Da piccolo, dai sette ai tredici anni, ha fatto il pastorello con la famiglia Favre, che però tutti in paese chiamavano Manté, per distinguerla tra le tante famiglie Favre di Ayas. Alfredo stava in alpeggio nel vallone di Nana da metà giugno a fine settembre ed aiutava nei lavori quotidiani con crescente impegno adeguato all’età. Poi un giorno, la guida alpina Umberto Favre dei Manté, suo cugino di secondo grado, accompagnò la sorella Nerina al Grand Tournalin. La ragazza fece ritorno entusiasta ed Alfredo ascoltando il racconto della cugina di quel giorno memorabile pensò di chiedere ad Umberto di fare conoscere pure a lui la montagna, che sino ad allora si era limitata appunto ai verdi pascoli di Nana.
Da allora Umberto Favre diviene il suo maestro, un merito che Alfredo gli riconoscerà sempre, nonostante gli altri grandi modelli di alpinisti che ha avuto, come Oliviero “Cirin” Frachey, Giorgio Colli e Luciano Colli e Giorgio Bertone. “Da quel giorno ho iniziato a fantasticare e mi è nata la passione per montagna - prosegue Alfredo Favre - tanto che con i due cugini guide Augusto Favre, classe 1925, e appunto Umberto Favre, che era del 1932, ho affrontato le prime arrampicate e le prime ascese al Castore, alla Punta Dufour, alla Capanna Margherita, i miei primi 4.000.”
Un’altra figura di riferimento per Alfredo Favre fu senz’altro il nonno materno Camille Sylvain Frachey, nato nel 1892, partito per la Prima Guerra Mondiale e tornato a casa dopo cinque anni, guida alpina a partire dagli anni Venti. “Avevo una venerazione per il nonno Camille, ero affascinato dai suoi racconti sulla guerra e sulle imprese alpinistiche, sugli anni trascorsi in Svizzera, vicino al lago di Ginevra, come allevatore ed a Parigi come artigiano nella levigatura dei pavimenti, raboteur de parquet. Lo ascoltavo a bocca aperta. L’unico rammarico che ho è quello di non mai registrato le sue parole, pur esistendo all’epoca i registratori. Ora tutti quei ricordi relativi alla sua vita avventurosa sono conservati dentro di me.”
Alfredo Favre ha frequentato la scuola elementare a Saint-Jacques in una pluriclasse, di cui ricorda ancora con entusiasmo l’eccellente maestra Maria Manfredi Frachey, che teneva un anno in più, fino alla sesta, gli alunni che non proseguivano gli studi. “Dal 1961 sono stato alle medie a Verrès, dove vivevo tutta la settimana a casa dello zio Arturo Favre, tornando a casa solo nel fine settimana con la corriera, che si fermava a Champoluc e ricordo ancora quando bisognava scendere, in inverno, da Saint-Jacques per non perdere la corsa delle 6.30 oppure in slittino fino a Frachey e poi ancora a piedi. Mi sembra ancora di avvertire il rumore che faceva la neve, camminando, sotto le scarpe. Lo sterrato da Champoluc a Saint-Jacques è stato asfaltato solo nei primi anni Sessanta. Dopo le medie, ho frequentato due anni della scuola professionale Don Bosco a San Benigno Canavese, vicino a Torino, per diventare falegname. Mestiere che ho quindi praticato, sia con mio cugino Umberto, sia per conto mio, fino al 1987, ma solamente dall’autunno alla primavera, perché da giugno a settembre esercitavo la professione di guida.”
Alfredo Favre tra i sedici ed i diciotto anni è portatore per il Rifugio Quintino Sella al Felik, senza neppure immaginare che nel 1987 ne assumerà la gestione insieme al socio ed amico Adriano Favre, che continua tutt’ora. “Partivo da Saint-Jacques a piedi con nello zaino più di quindici chili di carne acquistata alle 5 del mattino in macelleria e in quattro ore e mezza raggiungevo la meta. Era la quantità che all’epoca bastava per ben due settimane, mentre oggi l’elicottero ne porta ottanta chilogrammi una volta a settimana. Ma, ai tempi, al rifugio erano più che sufficienti, per la stragrande maggioranza dei clienti, una minestra e un the caldo. La carne era conservata nella neve, in una nicchia sotto il pavimento, e veniva offerta occasionalmente solo agli ospiti più benestanti; per gli altri già la pasta era un lusso.”
Da portatore per il Quintino Sella a portatore aspirante guida il salto è breve, vista la passione che lo animava e le capacità che aveva sviluppato in montagna. Tanto che diventa aspirante nel 1969, a soli diciannove anni, e poi guida nel 1975. “Era molto diverso l’iter per diventare guida rispetto a oggi. Non c’erano neppure le imbragature, ci legavamo con una semplice corda in vita. Seguivamo quattro settimane di corso, tra teoria e pratica, a Courmayeur e un paio di giorni a Breuil Cervinia. Il corso era frequentato quasi esclusivamente da valdostani, più dell’Alta che della Bassa Valle, erano praticamente assenti piemontesi e lombardi. Il corso che frequentai nel 1975 era già più avanzato, arrivando fino alle Dolomiti, anche se non era di certo ai livelli degli attuali percorsi formativi. Quello che è sicuro è che ho avuto grandi maestri come istruttori: Oliviero Frachey, i fratelli Alessio e Attilio Ollier, Renato Petigax, Franco Garda, antesignano del soccorso in elicottero, e Giorgio Bertone, tutti grandi personaggi, oltre che grandi guide.”
All’inizio della sua attività Alfredo Favre decise di seguire delle altre guide alpine in modo da fare esperienza, spaziando dalle montagne della Val d’Ayas al massiccio del Monte Bianco e al comprensorio del Gran Paradiso, fino al Vallese svizzero. In primavera inoltre accompagnava i clienti nella pratica dello sci alpinismo, disciplina "lanciata" dal paesano Giorgio Colli insieme alle guide di Courmayeur Renato Petigax e Toni Gobbi, l’ex ufficiale degli alpini che il vero precursore della specialità nella nostra regione.
Perlopiù porta i clienti insieme al suo “maestro” Umberto Favre, a volte scala con Luciano Colli, come nel 1977 quando con un cliente raggiungono la difficile cresta sud dell’Aiguille Noire de Peuterey. Dal 1980 alla metà degli anni Novanta Alfredo Favre inizia a viaggiare per raggiungere le vette più significative a livello mondiale. Partecipa quindi alla spedizione delle Guide di Ayas al Churen Himal nel Nepal, vetta del massiccio del Dhaulagiri, “Senza arrivare in cima, perché eravamo partiti con entusiasmo, ma senza esperienza, che in montagna è fondamentale. E’ stata una scuola di vita arrivare comunque fino a settemila metri e tornare indietro. La nostra fu tra le prime spedizioni italiane in Himalaya, è iniziato da allora il boom.”
Con Adriano Favre e con diversi clienti compie numerosi viaggi in Africa, dove sale tutte le cime più alte: Kilimanjaro e Monte Kenya nel 1985, Ruwenzori nel 1986, l’algerino Hoggar nel 1988 e l’Atlante marocchino nel 1989. “Ancora si poteva andare in Africa, anche se erano già viaggi molto avventurosi”. Nello stesso anno - 1989 - è in Sud America e, con il cliente ed amico Ferruccio Fournier, scala l’Acongagua in Argentina, la vetta più alta del continente con i suoi 6.962 metri, dopo tra l’altro avere soccorso un alpinista brasiliano solitario trovato inginocchiato nella tempesta e trascinato a braccia per centinaia di metri fuori dal pericolo. “Non è un’ascesa banale, non presenta difficoltà tecniche, per cui viene spesso sottovalutata, ma sono insidiosi - ricorda Alfredo Favre - i cambiamenti repentini del meteo, con bufere di vento fino a duecento chilometri orari dovute alla vicinanza del Cile e del mare, e il clima molto secco, che rende più facile disidratarsi e soffrire di mal di montagna. Per questi motivi siamo stati i quarti valdostani a compiere l’ascesa.”
Al Ruwenzori con Adriano Favre ripete con dei clienti la via sulla Punta Margherita aperta vent’anni prima, nel 1966, da Ernesto Frachey, la guida che nel 1962 fu tra le quindici che costituirono ufficialmente la Società Guide di Champoluc-Ayas. Di Ernesto Frachey in quel 1986 era stato celebrato il funerale poco prima della loro partenza per il Repubblica Democratico del Congo. Dopo aver concluso anche il Kilimanjaro, imbarcati in aereo i clienti, lui e Adriano Favre affrontano il Monte Kenya, con molti problemi al confine tra Tanzania e Kenya, per risolvere i quali lasciano tutti i soldi che hanno ai controllori dei bagagli, “L’equivalente di cinquanta euro odierni, ma per loro lo stipendio di qualche mese”. Con uno degli accompagnatori locali, che solitamente accompagnano solo fino alla Punta Lenana, i due ayassini salgono la splendida via Mackinder alla Punta Nelion; lasciano la guida kenyota nel piccolo bivacco e proseguono poi da soli su di una cresta di neve più delicata per la lontana Punta Batian, la più alta del Monte Kenya, con passaggi di quarto e quinto grado. Si riuniranno poi con la guida locale al ritorno per la discesa tutta in corda doppia, tiri da quaranta metri da riposizionare per una decina di volte. “La ricordo ancora come una delle più belle salite che ho compiuto” rammenta Alfredo Favre.
Sempre con Adriano Favre organizza anche dei trekking in Nepal, nelle zone dell’Everest e dell’Annapurna: nel 1987 risalgono la Marsyandi Valley e riscendono per la Kali Kandaki, dopo avere soccorso una portatrice sherpa al Thorong La, 5.416 metri, poi nel 1994 compiono il classico percorso del Khumbu al campo base dell’Everest.
Ancora nel 1987 Alfredo Favre inizia a gestire con Adriano il Rifugio Quintino Sella, fino al 2019 insieme a Liliana Pession, alla quale poi sono subentrati i figli, di Liliana e di Adriano, Corinne e Yannick Favre: “Nei primi quindici anni siamo stati sia guide che gestori, avevamo più energie e la conduzione del rifugio era più semplice. Poi - evidenzia Alfredo Favre - sono rimasto solo gestore. Facendo quel tipo di lavoro, magari ti restano le forze e le competenze fisiche, ma non hai più la concentrazione per essere guida ad un certo livello. A quella quota non si riposa bene la notte e i ritmi di lavoro sono massacranti, dalle 3 del mattino alle 23, tanto che con Corinne ci alterniamo alla reception, trascorrendo una settimana su in rifugio e una a casa ad Ayas.” Nell’estate del 1987 esisteva già il nuovo rifugio, costruito nel 1980, poi nel 1994 è stata aggiunta una parte con la cucina e gli alloggi dei gestori, quindi sono stati realizzati i bagni nuovi e nel 2019 è stato un ultimo ampliamento della sala, che sarà inaugurato proprio domani, domenica 8 agosto.
“Ho sempre riportato a casa chi è venuto con me, senza incidenti”, ricorda con una punta di orgoglio Alfredo Favre degli anni in cui era operativo come guida. “Ho saputo trasmettere ai miei clienti, che poi diventano anche amici, la sicurezza che una guida deve sapere comunicare. Quando sei legato a una persona sono tante le sensazioni che ne derivano. Sono sempre riuscito a garantire la sicurezza in situazioni anche non facili. Tuttavia, una guida deve nascere sotto una buona stella. Ho avuto diversi carissimi amici, pure più bravi di me, che si sono trovati nel luogo e nel momento sbagliati e hanno perso la vita, nonostante avessero un concetto di sicurezza elevato e fossero alpinisti molto capaci. Il rischio in montagna non è del tutto eliminabile.”
Negli anni Novanta, Alfredo Favre è stato responsabile della stazione di soccorso alpino della Val d’Ayas per cinque anni, mentre, dal 1970 al 1995, ha fatto i turni a quella regionale di Aosta, vivendo e partecipando direttamente a tutti i cambiamenti avvenuti nel soccorso in montagna, da quando si andavano a raccogliere i feriti in barella, portandoli a piedi a Saint-Jacques, fino ai primi elicotteri militari che partivano da Linate e che si fermavano al Rifugio Mezzalama, ai quali sono poi subentrati gli elicotteri privati della ditta Follioley e infine, a partire dagli anni Ottanta, prima con gli elicotteri della Scuola Militare Alpina quindi con quelli della Regione, con a bordo solo pilota e guide alpine, senza i medici come avviene adesso.
Dal 2001 al 2016, Alfredo Favre è stato presidente della Società Guide di Champoluc-Ayas, dopo esserne stato segretario dal 1975, subentrando ad Augusto Favre, morto in un incidente sul Grand Combin, durante le presidenze di Oliviero Frachey, Giorgio Colli e Luciano Colli. E per quindici anni, negli anni Novanta e successivamente dal 2006 al 2016, è stato consigliere di maggioranza nell’Amministrazione comunale di Ayas, a completamento di una vita piena, ricca di sfaccettature, da vero uomo di montagna. Della società attuale ha condiviso i profondi cambiamenti, cambiamenti epocali nel passaggio dall’economia agricolo-pastorale alla nascita e allo sviluppo del turismo e dell’alpinismo.
Pur avendo viaggiato per conoscere ed affrontare le vette più impegnative, Alfredo Favre è sempre rimasto legato al suo luogo di origine, dove si è impegnato pure nel sociale e dove tutti gli riconoscono le qualità che lo vedono sempre pronto ogni volta che si tratta di aiutare il prossimo, rispettoso dei valori della solidarietà che sono parte integrante della cultura della montagna.