Carla Netto, la professoressa che nelle scuole occupate faceva fare le pulizie agli studenti
Finisce la scuola, finalmente in classe dopo tanta didattica a distanza, e anche nei discorsi con Carla Netto, storica preside del Liceo scientifico di Aosta, torna il ragionamento su quanto la scuola manchi, soprattutto quando non ci si può andare. Con i primi caldi arriva anche il momento delle prove finali, per la terza media e per la quinta superiore, più tutte le prove e le ammissioni che caratterizzano il mondo della scuola alla vigilia delle vacanze estive. Di esami la professoressa Netto ne ha sostenuti tanti, prima da studentessa e poi, soprattutto, da insegnante, dirigente scolastica, rappresentante della pubblica istruzione. «Quando vedevo che i miei studenti occupavano le scuole - ricorda Carla Netto - gliene cantavo quattro perché ai miei tempi non c’erano tante possibilità ed io e mio fratello Armando, che amavamo studiare, abbiamo fatto molti sacrifici, cogliendo le poche opportunità che avevamo a disposizione, sempre sostenuti dalla nostra mamma Michelina.»
Oggi Carla Netto ha novantadue anni, una memoria di ferro e uno spirito curioso e scherzoso. «Le segretarie, a scuola, mi chiamavano "archivio vivente" perché non avevo bisogno di prendere appunti e ricordavo tutti gli alunni. Li chiamavo “alunni diretti”, per indicare quelli di cui ero stata insegnante, e “alunni indiretti”, per quelli di cui ero stata preside. Ma sapevo i loro cognomi anche quando non li avevo più in classe.»
Dalla sua casa aostana, dove vive da cinquantacinque anni, si ammirano da un lato la piana attorniata dalla catena che unisce il Mont Emilius alla Tersiva e dall'altro il Grand Combin. «Quando sono venuta a vivere qui, con mia mamma a nord erano tutti i prati, abbiamo visto sorgere le case e le villette, ma il Grand Combin resta sempre sullo sfondo. È un vero spettacolo della natura, quando non si nasconde dietro le nuvole e sembra sparire.»
Le radici di Carla Netto affondano nel Borgo di Sant'Orso, dove era già nato il nonno materno Giacomo Chiantaretto, che con la moglie Caterina possedeva il mulino sul Ru du Bourg. «Nonno Giacomo era originario di Volpiano e a casa si parlava piemontese. - racconta Carla Netto - Il dialetto mi è servito a volte anche per farmi capire a scuola o per sdrammatizzare un po' durante le lezioni.» Il papà Mario Netto arrivava invece da Spresiano, in provincia di Treviso: «Dopo la disfatta di Caporetto è stato ospitato con zia Aurora da amici vicino a Ivrea e poi erano saliti ad Aosta, dove lui aveva cominciato a lavorare alla Cogne». Il padre Mario era nato il 2 novembre del 1902, in una famiglia di dodici figli. «Di questi solo otto sono diventati adulti e la famiglia per un periodo era anche migrata in Argentina: ne ha portato il segno mio cugino Arlindo, con il suo nome tipicamente sudamericano. Papà Mario e mamma Michelina avevano quattordici mesi di differenza: lei era venuta al mondo il 2 gennaio 1904 e si conobbero proprio ad Aosta, dove si sposarono nel 1928. Poi, il 13 maggio del 1929 sono arrivata io e alla fine del 1930 mio fratello Armando.» Avendo frequentato la Scuola Cogne, Armando era poi stato chiamato in Marina: «È tornato dopo venticinque mesi e quindici giorni, una leva lunghissima. - continua Carla Netto - Non aveva potuto rinviare perché, compiuti i diciannove anni, aveva superato la terza superiore e non poteva chiedere la proroga per diplomarsi al quinto anno. Al rientro dal servizio nella Regia Marina, dopo una sospensione dagli studi così lunga, non si è sentito di recuperare due anni in uno e ha completato senza scorciatoie.»
Lei invece, Carla, aveva frequentato l’Avviamento commerciale e successivamente aveva cominciato a lavorare. «Mi piaceva lo studio però all’epoca ad Aosta non esisteva l’Istituto tecnico commerciale per ragionieri, si studiava come privatisti e si davano gli esami a Bra. Dopo l’Avviamento commerciale ero diventata dattilografa alla Caserma Testa Fochi, durante la Repubblica di Salò, fin da quando avevo quattordici anni e mezzo. Nel 1945, a sedici anni, ricordo ancora il sabato, il 28 aprile, quando arrivarono i partigiani: la domenica a mezzogiorno mandarono a casa mia un ragazzo a chiedere se potevo lavorare per loro. Andai e quel giorno rimasi alla macchina da scrivere fino a sera e poi continuai a collaborare sino al mese di luglio, nel frattempo rientravano i militari valdostani dai campi di prigionia oppure dal Montenegro dove avevano combattuto con la Divisione Garibaldi.»
«Finita la guerra, desideravo riprendere gli studi. All’Avviamento il latino e l’algebra non facevano parte del programma di studio, così mi preparai per recuperare l’intero ciclo triennale delle scuole medie e lo feci in un solo anno scolastico, il 1945-1946. Poi mi trovai di fronte alla scelta, se optare per le Magistrali o per il Liceo classico, le uniche due soluzioni possibili ad Aosta. I miei genitori mi aiutarono, avevo dei bei voti ma solo sei in disegno, che non amavo. Così mi iscrissi al Liceo classico, io che ero del 1929 e mi ritrovai in classe con i ragazzi del 1933. Dopo la maturità, nel 1952, decisi di iscrivermi all'Università di Torino, alla Facoltà di agraria, secondo quelli che erano i miei propositi di quasi dieci anni prima. Così, per un periodo, ci siamo trovati a studiare sia io che mio fratello: io la sera fino a mezzanotte, lui al mattino presto e la nostra mamma Michelina era sempre con noi, una presenza silenziosa e positiva.» Innamorata delle scienze, appassionata di rocce e cristallografia, Carla Netto trovò il modo per studiare e allo stesso tempo stare di più all’aria aperta: invece di seguire la moda del momento, che portava verso le scienze biologiche, scelse la Facoltà di agraria. «Il fatto che io fossi di Aosta fu provvidenziale - spiega Carla Netto - perché mi affidarono una tesi di laurea sperimentale. La Facoltà di agraria affittava dei campi sia nel torinese sia in Valle d’Aosta, per studiare la produttività delle sementi e la redditività dei terreni. Così, per quattro anni andai avanti e indietro: in Valle d’Aosta nei due campi che la Facoltà mi aveva assegnato, uno a Morge di La Salle e un altro nella zona di Diemoz a Verrayes, e pure a Torino dove, una volta cresciute le erbe delle coltivazioni foraggere di montagna, passavo le estati a dividere infestanti, gramigne e leguminose, per procedere con l'analisi floristica e capire come interagivano. Ero alta un metro e settanta, ma le erbe mi superavano di un bel po’.»
Nella sua tesi, che da brava dattilografa aveva scritto direttamente a macchina, senza avere bisogno di ricorrere alla ricopiatura di altri, come gli studenti a quel tempo usavano fare, sono molte foto in bianco e nero, a testimoniare il grande lavoro, con l’aggiunta di cartografie, tabelle e diversi grafici a colori che illustrano i dati la sperimentazione. «È evidente - scriveva la giovane Carla Netto nelle sue conclusioni - anche la necessità di utilizzare semi di piante che abbiano una resistenza specifica alle condizioni dell'ambiente e tale necessità richiede l'esistenza di apposite stazioni montane, nelle quali il lavoro sia indirizzato verso la produzione di sementi adatte per le zone di montagna.»
Durante il primo anno di corsi universitari, papà Mario è portato via dall'angina pectoris. «Mia mamma Michelina ha continuato a sostenermi negli studi, mi diceva di non preoccuparmi anche se io le ripetevo sempre che l’avrei ripagata, e così mi sono laureata il 23 novembre 1957, poi solamente quattro giorni dopo avere completato il mio percorso universitario, quindi il 27 novembre, prendevo servizio al Liceo classico per insegnare scienze. Avevo avuto a mia volta un'ottima insegnante di scienze, da studentessa, la professoressa Giorgina Iatti Bretto di Settimo e quando lei si è trasferita a Torino ho preso la sua cattedra.»
L'insegnamento non era, inizialmente, nei suoi progetti, tuttavia la strada era spianata e la professoressa Netto l'ha affrontata con grande passione. «Quella di scienze al Liceo classico è una bella cattedra, perché si studia chimica generale, anatomia umana e vegetale e si fa la geografia fisica. A fine anno, tante volte ho portato gli alunni a visitare lo stabilimento della Cogne. Invece, in classe, i patti erano chiari: "voi non copiate e io non do il voto". Nelle esercitazioni, all'inizio non ci credevano, erano timidi, poi qualcuno ha iniziato a venire alla lavagna, vedeva che rispettavo gli accordi e ci fermavamo a ragionare sugli errori. Facevamo i "dettati di formule" ed era una bella soddisfazione quando, a distanza di anni, qualche allievo ormai universitario veniva a raccontarmi di aver preso trenta in chimica.»
Dopo le supplenze annuali arrivò per Carla Netto prima il momento dell'abilitazione, conseguita a Bologna, la sede più vicina, e successivamente il concorso statale a Roma. «Ho insegnato per diciotto anni, sempre al Liceo classico eccetto un anno alle medie. Sono stata anche vicepreside e ho imparato molto dalla mia preside dell’epoca Maria Ida Viglino, che era una vera signora.»
Tra coloro che hanno seguito le sue lezioni di scienze, al Classico tra i tanti ci sono medici come Paolo Pierini e Pierluigi Thiebat e sacerdoti come il canonico Albino Linty Blanchet e il vescovo Franco Lovignana. «Ricordo ancora, tra gli alunni, Maria Grazia Vacchina e suo fratello Guido, che è poi diventato ingegnere; Demetrio Mafrica, dai molti talenti, e quella che è poi diventata sua moglie, Carla Micotti che è stata una bravissima insegnante di matematica. E poi Emilia Agavit che al Classico era nel corso B, nella classe più bella che io abbia avuto: eravamo così tanto in sintonia che quando entravo da loro mi sentivo avvolgere.»
Oltre all’esperienza a scuola, Carla Netto ha spesso fatto parte delle commissioni d’esame dei privatisti: «La Regione organizzava corsi di taglio e cucito, al collegio delle suore di San Giuseppe e a volte anche fuori Aosta. Poi però le sartine dovevano sostenere un esame, allora mi chiamavano a far parte della commissione, assieme ad una sarta, a maestre di taglio e cucito e ad una modellista che lavorava con Giorgio Armani. In quelle occasioni ho capito cosa facesse una modellista, perché me lo sono fatto spiegare da loro, visto che io lavoravo benissimo a maglia, ma nel cucito ero una scarpa».
E’ il periodo, agli inizi degli anni Settanta, della nascita nella scuola valdostana anche dell’indirizzo scientifico. «Era sorto privatamente al Convitto regionale, dove era rettore Tacito Giovannini ed alla fine dell'anno andava un rappresentante del Ministero alla Pubblica istruzione per convalidare gli esami. Arrivati al suo terzo anno, visto che l’esperienza era positiva, con la presenza di tre classi, venne istituito il Liceo scientifico come emanazione della Regione, mentre il Liceo classico rimaneva statale. Pertanto dal Convitto le classi vennero spostate da noi. L'anno successivo, le prime erano passate da una a tre: il motivo è semplice, tanti non volevano fare la fatica di studiare il greco.»
«Nel 1974 la professoressa Viglino era diventata assessore regionale alla Pubblica istruzione, così io - ricorda Carla Netto - diventai preside della sezione scientifica e lo restai anche quando, nell'anno scolastico 1976-1977, lo Scientifico divenne autonomo: al Classico erano rimaste sette classi, allo Scientifico ne avevamo venti.» Sono anche gli anni delle occupazioni da parte degli studenti. «Sembrava un caso, ma la moda delle occupazioni durava all'incirca da novembre all'Immacolata. Poi a gennaio ci si rimetteva a studiare. Non ho mai avuto problemi con i ragazzi: tenevo molto al comportamento e loro se ne sono accorti. La scuola non deve solo insegnare la disciplina ma anche l'educazione. Durante le occupazioni dicevo loro "la situazione è irregolare, le bidelle non ci sono, quindi le pulizie le fate voi" e così avvenne. Restavo pure la notte all’interno della scuola, nello storico edificio di viale della Stazione, perché la responsabilità era mia: in realtà gli studenti facevano disordine ed ottenevano pochi risultati. Un giorno un ragazzo mi disse "lei ci svaluta" e io risposi "vi svalutate da soli, perché non vedete che mentre uno tiene il comizio gli altri giocano a carte".»
Era anche il momento dei viaggi, in particolare con il Club lirico che frequentava appassionatamente, non solo per vedere le opere a Torino, come anche a Ventotene in Puglia e al teatro all’aperto di Macerata nelle Marche. «Augusta Cerutti, con l'associazione insegnanti di geografia di Roma, organizzò un bel tour dell’Islanda. Ne conservo ancora le fotografie della lava lavorata dal vento, dei laghi, dei geyser, delle rocce che mi hanno sempre affascinato, mi dispiace solo non aver potuto vedere un vulcano attivo. Poi Augusta Cerutti ha fondato una sezione dell'associazione in Valle d'Aosta, ma non ho più partecipato ai loro viaggi.»
Con la famigliola arrivò presto anche il cugino Aldo, che aveva tre anni ed era rimasto senza genitori. «La sorella Cloe era stata mandata in collegio - ricorda Carla Netto - mentre l’altro fratello Arlindo era ospitato da parenti. Da grande, Aldo aveva preso un bellissimo cane doberman e spesso ce lo lasciava per portarlo a passeggio, per noi un’altra occasione per uscire un po’, dato che non eravamo abituate ad andare a spasso: con mia mamma teneva il passo e andava piano, mentre con me correva e tirava. Si chiamava Shuto, gli volevo bene, mi ha aiutato tanto perché mi ha costretta ad uscire di casa e a stare un po’ all’aria aperta.» Quello con la mamma Michelina è un rapporto speciale, intenso: condividevano le poche passeggiate che Carla si concedeva, quelle che una volta le hanno portate all'ombra del Dente del Gigante. Nelle serate e la domenica pomeriggio si dedicavano invece a pizzi e ricami. In un sabato pomeriggio Carla aveva imparato ad adoperare il chiacchierino: «Alcuni lavori sono stati progettati con mia mamma, gli altri li ho regalati. Per "vestire" il tavolino da camera, invece, abbiamo impiegato più di un anno, curando tutti i dettagli».
Dopo la pensione, arrivata nel 1994 a sessantacinque anni, Carla Netto ha iniziato un’intensa attività nel volontariato, fatto di lezioni di matematica ai ragazzi del doposcuola dell’Istituto San Giuseppe di Aosta, occupandosi pure del servizio di portineria, facendo anche la centralinista, al Priorato di Saint-Pierre. Inoltre, sempre a fianco dell'ex allievo don Albino Linty Blanchet, è volontaria nella chiesa di Saint-Martin de Corléans ad Aosta dove lui è stato parroco fino a settembre 2019. «Con l’arrivo del Coronavirus ho chiaramente paura del contagio ed esco ancor meno anche se resta fisso l'appuntamento con la Messa giornaliera mattutina in Cattedrale e con le letture sul divano di casa, mie compagne fedeli da quasi novant’anni.»