In Francia le langues minoritaires sbarcano a scuola Si avvera quello che in Valle d’Aosta è ancora un sogno
E’ una vera e sorprendente rivoluzione. La Francia, dall'alto del suo centralismo assoluto, ha deciso di aprire alle parlate minoritarie, approvando la legge sulle lingue regionali, con addirittura una sorta di ammutinamento dell’Assemblée Nationale, contro il governo e le indicazioni del presidente Emmanuel Macron, che avrebbe voluto una riforma molto più cauta di quella che invece i deputati francesi hanno votato, migliorando il testo proposto dal deputato della Bretagna Paul Molac, con 247 voti a favore e 76 contrari.
Il risultato è che le tante minoranze presenti in Francia, dopo decenni di oppressione delle loro lingue, potranno vedere rappresentato il loro idioma nelle scuole pubbliche con almeno un corso di lingua regionale: la scelta è vasta in un totale di settantacinque lingue, di cui una ventina principali, che vanno dal bretone al creolo, dal basco al catalano, dal fiammingo all’alsaziano, dall'occitano al francoprovenzale, simile al nostro, fino al corso, finora l'unico ad essere presente come insegnamento nelle materne ed elementari della Corsica. Inoltre sono stati introdotto la possibilità di utilizzare su richiesta la lingua minoritaria nei documenti degli stati civili comunali e pure l’obbligo dei cartelli bilingui nella segnaletica pubblica.
«La nuova legge, votata definitivamente dalla Assemblée Nationale, malgrado i dubbi del Governo francese, dimostra una svolta rispetto alle “langues régionales. - commenta Luciano Caveri, assessore all'Istruzione della Valle d’Aosta - C’è sempre stata ostilità in Francia verso le lingue minoritarie, come il nostro francoprovenzale, ed ora si è arrivati a un cambiamento di rotta epocale. Attenzione, però, che nella scuola pubblica resterà per ora un’opzione volontaristica, che probabilmente funzionerà dove esiste una forte militanza sul tema, come per il bretone, il basco e l’occitano.»
Però è come se nelle scuole valdostane venisse inserito ufficialmente l’insegnamento del francoprovenzale, pur facoltativo, cioè su richiesta degli studenti e delle famiglie. «In confronto al passato, oggi il patois è più valorizzato. - riflette lo storico Joseph-César Perrin - Quando ero ragazzino chi parlava patois era additato come "bacan", oggi invece molta gente non autoctona si iscrive ai corsi di francoprovenzale e questo indica una rinnovata vitalità.»
Il plurilinguismo è sempre più una caratteristica peculiare della scuola valdostana. «Da noi, come noto, esiste ormai una logica di bilinguismo italiano/francese, cui si è aggiunto l’inglese e il tedesco per l’area walser. - continua l'assessore Caveri - Sul francoprovenzale il fiore all'occhiello resta storicamente il “Concours Cerlogne”, oggi purtroppo non in presenza. In passato sono esistiti dei laboratori extracurriculari in francoprovenzale specie per le scuole dell'infanzia e primaria, che dovremmo riprendere. In futuro si potrebbe valutare una sperimentazione in alcune scuole superiori con un approccio linguistico e culturale, uscendo dalla logica solo ludica, come per i bambini.»
«Anche quest'anno le scuole sono state invitate dal Brel a partecipare al “Concours Cerlogne” - evidenzia la sovraintendente agli studi Marina Fey - e, per le scuole che hanno aderito, per rispettare i protocolli di sicurezza, è stato appunto organizzato uno spettacolo itinerante per ringraziare gli alunni e gli insegnanti. È importante che si continuino a proporre dei progetti che coinvolgano il francoprovenzale, senza mai imporlo.»
Il patois in città
«Noi in famiglia - racconta Jeannette Bondaz di Aosta, insegnante di patois e imprenditrice - siamo di madre lingua francoprovenzale e con i figli parliamo solo in questa lingua, affiancandoli fin da quando sono piccoli con ragazze alla pari francofone o anglofone, proprio per aprirli comunque all'utilizzo di altri idiomi.» Ad Aosta, però, la presenza del francoprovenzale a scuola non è scontata: «Sia al San Giuseppe che alla scuola elementare Einaudi, le due istituzioni che meglio conosco, - continua Jeannette Bondaz - i bambini non sono mai stati coinvolti in iniziative in lingua francoprovenzale, lungo il percorso scolastico. Anzi, sono rimasta impressionata, in uno dei primi giorni d'asilo, quando il rivolgermi a mio figlio in patois è stato interpretato da un altro bimbo come "parlare una lingua straniera”. Anche negli anni successivi, sono state molto rare le occasioni in cui il francoprovenzale è entrato in classe, più nell'ottica di una valorizzazione generale di tutte le lingue che come lingua della nostra tradizione. Questi sono esempi della situazione del francoprovenzale all'interno della nostra società, almeno per quanto concerne Aosta.»
Il ruolo delle associazioni culturali e del Brel
Del francoprovenzale non si occupano più direttamente nemmeno le associazioni culturali maggiormente legate alla tradizione. «Le nostre attività sono svolte in italiano. - spiega Marco Vigna, presidente della Clicca de Saint Martin de Corléans - Ci serviamo anche di termini tradizionali in francoprovenzale, quando ne parliamo li traduciamo e questo ci fa un po' sorridere.» «Da sempre i gruppi folkloristici fanno parte di diritto del Comité des traditions valdôtaines. - aggiunge il suo presidente Alessandro Celi - La nostra rivista culturale "Le Flambeau - Lo Flambò" dovrebbe arrivare sempre a tutte le scuole ed essere oggetto di approfondimento. La Clicca de Saint Martin de Corléans e il Groupe folklorique des Traditions Valdotaines hanno entrambi dei progetti di avvicinamento alle attività folkloristiche e quindi ai canti in patois. Invece, l'insegnamento del francoprovenzale è da molti anni avocato al Brel, che se ne occupa anche per bandi, progetti e finanziamenti.»
È quindi il Bureau régional pour l’ethnologie et linguistique ad occuparsi della ricerca e della valorizzazione del francoprovenzale: da qui è gestito il «Concours Cerlogne», sono organizzati i corsi di patois e qui è lo «Sportello», «Guichet linguistique», con un dizionario online dei termini e una raccolta di brani letterari di autori valdostani. «La presenza del patois è necessaria - conclude Joseph-César Perrin - ma deve essere accompagnata dal francese nella difesa e nella salvaguardia della lingua. Rispetto a quarant’anni o cinquant’anni fa, anche se l'elemento campagnard è ridotto sensibilmente, malgrado ciò il nostro francoprovenzale ha ancora un certo vigore e per fortuna è una lingua che per il momento non rischia di scomparire.»