Renato Carcereri, il minatore che non ha mai posato il cappello da alpino
Nell’immaginario collettivo la miniera è un luogo che incute timore. Per Renato Carcereri, invece, la miniera era la vita. O meglio, il lavoro più bello della sua vita.
Come tanti cogneins era entrato per la prima volta in quelle gallerie da ragazzo. Diversamente dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi, però, lui avrebbe voluto scendere ancora in quei cunicoli. Venticinque anni di lavoro nelle viscere della terra possono plasmare il carattere di una persona. Renato, cuore buono e uomo di una volta, rispetto alla massa andava controcorrente e al momento di risalire per l’ultima volta dalla sua miniera si chiese il perché di questo addio. “Lì sotto - ripeteva spesso ai suoi parenti e agli amici più cari - c’è ancora tanto ferro da tirare fuori”.
Suo papà Aquilino, originario di Boscochiesanuova in provincia di Verona, era stato a sua volta minatore e aveva avvertito il figlio sui rischi e le paure di quello strano mestiere. Renato non lo aveva ascoltato e per un quarto di secolo aveva fatto di testa sua, come era lecito aspettarsi da un uomo deciso e dal carattere forte.
Figlio di migranti, sia da una parte che dall’altra. Aquilino e Roseline Borney, i genitori di Renato, si conobbero nella banlieu di Parigi e lì si sposarono prima di tornare in Valle d’Aosta. Lei era di Vieyes di Aymavilles e la nuova famiglia - nella seconda metà degli anni Venti - faceva la spola tra la casa dei nonni materni e l’abitazione di Cogne, dove Renato nacque il 19 aprile del 1928, secondo di cinque fratelli.
Fu però a Vieyes, poco più che bambino, che Renato Carcereri conobbe Ausonia Pincelli, la ragazza di Sylvenoire che sposò nel 1953 e con la quale ebbe i figli Fernando “Nando” e Melitta. Qualche anno più tardi i due si trasferirono a Saint-Maurice di Sarre, dove avviarono un’azienda agricola che diventò il lavoro principale di Renato una volta chiusa la miniera. In un primo momento presero in affitto la stalla della parrocchia, poi ne costruirono una tutta loro: all’interno solo bovine bianche e rosse, perché la passione per le reines - comune a tanti valdostani - non aveva mai sfiorato Renato. In estate la famiglia lasciava Sarre per tornare nella valle in cui tutto era iniziato: gli alpeggi erano sempre gli stessi, Arpisson sopra Epinel e Grand Lauson”, non lontano dal Rifugio Sella.
Nonostante il tanto lavoro da sbrigare Renato Carcereri aveva sempre trovato il tempo per dedicarsi al Gruppo Alpini di Sarre, di cui è stato responsabile per un lasso di tempo talmente ampio - ben venticinque anni, dal 1975 al 2000 - da permettergli di meritarsi l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica.
Renato Carcereri è scomparso martedì scorso, 13 aprile, all’età di novantadue anni alla Casa Famiglia di La Salle, dove era ricoverato dalla fine del 2020: lascia la moglie Ausonia Pincelli, i figli Fernando e Melitta, la nuora Daniela De Gaetano, il genero Adelio Vuillermoz, i nipoti René Laurent, Richard e Denise Vuillermoz e i pronipoti Emilie e Mathis Vuillermoz e Raphael e Lauralie Chatrian.