«A proposito di libri ancora da scrivere»

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Da tempo ormai, lo storico Marco Cuaz cura una rubrica dal titolo “Storie dal vecchio mondo”. Una rubrica sempre vivace e densa di spunti interessanti e talvolta non priva di ironia. Da alcune settimane a questa parte però, Marco Cuaz ha inaugurato una nuova fase che punta dritto al cuore di alcune questioni decisive per la storiografia valdostana. In un certo senso si potrebbe dire che d’un tratto si svela quanto ampi sono gli spazi e gli orizzonti di una storiografia che abbia il coraggio di ritornare con nuove ricerche e nuovi strumenti interpretativi su molti temi della storia della Valle d’Aosta ma anche sulla sua collocazione nei contesti sociali, politici, culturali e filosofici nei quali il fluire della sua esistenza si inserisce e con cui si confronta. L’idea che vi sia “un libro ancora da scrivere” è affascinante in se ma, come ho avuto modo di scrivere in più occasioni e come sottolinea lo stesso Marco Cuaz, questo processo di rinnovamento è iniziato già da tempo con le opere di uno storico colto e raffinato come Andrea Désandré e ancora prima di lui dai contributi delle stesso Marco Cuaz e alcuni altri. Ma non è opera agevole. Anzi, tutt’altro. Come scrivevo nell’ormai lontano 2019 : «La Vallée d’Aoste, prétendue terre d’historiens, est en réalité plutôt un pays d’érudits d’histoire locale». Solo in questa prospettiva si coglie il senso e la portata di questa sfida che nel corso del tempo potrebbe consentire di scrivere e in parte ri-scrivere la storia della Valle d’Aosta moderna e contemporanea. Un “cantiere” non solo di vaste proporzioni ma ardito per la mole straordinaria di conoscenze che comporta. Un cantiere destinato per sua natura a scardinare costruzioni narrative stratificate e sedimentate che spesso più che operare quel processo di disvelamento che illumina i fatti, i protagonisti, le idee e la razionalità che li guida, ha costruito un velo; ha arredato una scenografia che potesse soddisfare quella tendenza mitopietica che caratterizza la storia della cultura valdostana dalla seconda guerra mondiale in poi e forse in parte anche prima.

Sostenere la possibilità di questo cantiere, o se preferite di questi cantieri storiografici nella loro pluralità, significa porre delle domande. O meglio ancora, significa dare corpo a domande riflettute e strutturate. I brevi articoli di Marco Cuaz vanno infatti proprio in questa direzione e vorrei quindi approfittarne a mia volta per tentare di articolare e forse anche dis-articolare queste domande in un processo aperto di confronto che a mio modo di vedere è oggi la sfida necessaria e indispensabile per un concreto rilancio degli studi storici in Valle d’Aosta. Studi storici che non sono fine a se stessi ma sono anzi le pietre miliari di una costruzione complessa che investe la percezione che la Valle d’Aosta ha di sé stessa, del suo passato, della sua più profonda natura e dunque, in un certo senso, anche del suo possibile futuro e del suo ruolo, nelle Alpi, in Italia e in Europa.

Veniamo dunque ora a quanto scrive Marco Cuaz. «Storicamente la Francia è stata la nazione contro cui i valdostani hanno combattuto di più..». Una considerazione legittima che, come in qualche modo traspare dallo scritto di Cuaz, ha un prima e un dopo rappresentato dal 1789. Se consideriamo il prima, il Ducato di Savoia si è trovato in più occasioni, suo malgrado, al centro di conflitti dinastici. I saccheggi e le distruzioni del 1691, che peraltro sono probabilmente il primo conflitto degno di questo nome che coinvolge la Valle d’Aosta dopo «700 ans sans guerres et sans soldats!», sono frutto del coinvolgimento di queste contrade in un conflitto che oppone il Regno di Francia a quasi l’intero resto dell’Europa, dal Regno d’Inghilterra al Sacro Romano Impero, dalla Svezia al Portogallo ivi compreso il Ducato di Savoia. Trascinati nella tormenta e nella disgrazia come tanti altri e come in tutte le guerre. Nel 1704 fu invece la guerra di successione Spagnola ma in questo caso le truppe comandate da Louis d'Aubusson de la Feuillade furono più clementi di quelle di Charles Fortin de La Hoguette. L’affermazione di cui sopra merita per lo meno di essere completamente ri-formulata ricollocandola nel suo tempo e nella sua concreta dimensione.

Dopo il 1789 il conflitto non è certo con la Francia in quanto tale ma con le idee di cui essa è portatrice. In questo senso, il conflitto che oppone gran parte della società valdostana alla “metropoli”, ovvero a Parigi, più che dimostrare una distanza, dimostra al contrario un legame tanto profondo da costringerla a questo drammatico confronto. Come ha scritto lo storico Emmanuel Le Roy Ladurie: «On ne comprendrait rien à l’explosion de 1789, si on la considérait comme un coup de tonnerre dans un ciel serein.». Le rivolte del «ordre éternel des champs » rappresentano un elemento costante di tutta la storia moderna, dall’assassinio di Henry IV alle guerre in Vandea; dalla Restaurazione fino alla nascita dei movimenti reazionari di fine Ottocento, la Valle d’Aosta, come dimostra tutta la stampa locale, è parte in causa, in prima fila sulle barricate di un durissimo confronto.

Non è irrilevante che la Valle d’Aosta sia l’eletta terra d’asilo dopo il 1789. Vi trovano “rifugio” una parte del clero savoiardo, il vescovo di Grenoble, i vicari generali di Lione e Saint-Claude per non parlare della famiglia De Maistre. Pertanto, la lunga fase antecedente il 1789 deve essere indagata in coerenza alla natura del mondo d’Ancien Régime. Alle lotte di successione delle grandi casate, spesso imparentate tra di loro, alla mobilità dei “confini” che non sono ancora quelli che poi assumeranno altro significato e natura con lo sviluppo di alcuni processi stato-nazionali che caratterizzeranno in XIX secolo. La fase successiva al 1789 deve essere indagata con ancora più attenzione soprattutto al rapporto tra dimensione locale e contesto globale in un momento decisivo di trasformazione dell’Occidente.

In questo senso la Valle d’Aosta è stata più volte interessata dai processi di lungo periodo della costruzione nazionale francese. Eppure è stata anche estranea a questo processo nella misura in cui ha condiviso per quasi mille anni i destini di Casa Savoia. Allo stesso tempo è tuttavia anche evidente che l’insieme di questo spazio storico-politico complesso e mutevole è anche uno spazio interamente francofono sul quale la Francia, non come entità statuale, ma come entità culturale e politica ha esercitato un’influenza immensa e innegabile.

(continua…)

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