Un anno fa anche in Valle d’Aosta iniziava la guerra contro il virus

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Era la sera del 9 marzo 2020 e l’allora primo ministro Giuseppe Conte annunciava agli italiani che il Paese chiudeva e si fermava, tranne i servizi essenziali. Una parola sconosciuta stava per entrare nel linguaggio di tutti i giorni: lockdown. Il giorno successivo l’Organizzazione mondiale della sanità sentenziava: è pandemia. In Valle d’Aosta i primi 3 contagiati erano stati scoperti il 5 marzo. Si arrendeva perciò al virus anche l’ultima regione rimasta “indenne”.

Il primo positivo - il cosiddetto paziente “zero” della Valle d’Aosta - è Lorys Le Pera, un giovane di Pontey studente universitario in economia internazionale a Piacenza, una delle città più colpite all'inizio dell’emergenza sanitaria. Con lui sono risultati infetti anche una zia e un cuginetto di un anno. L'esito dei test arriva il 4 marzo. Una settimana dopo, l'11 marzo, si conta la prima vittima nella nostra regione: Vinzio Charrey, classe 1945, di La Salle, che era ricoverato da alcuni giorni. Un elenco destinato ad allungarsi drammaticamente, dato che 12 mesi dopo le vittime raggiungevano quota 415, 215 uomini e 200 donne, tra i 38 e i 104 anni (età media 83,5). Più di un decesso al giorno. Una strage, che in gran parte si è consumata nel silenzio delle mura dell’Ospedale regionale “Umberto Parini” di Aosta, tra caschi a ossigeno e ventilatori polmonari. Il cuore dell’economia valdostana si ferma, chiudono alberghi, impianti di risalita, scuole, negozi, il Casinò di Saint-Vincent, i musei, i bar e i ristoranti. Il primo periodo di confinamento totale paralizza ogni attività, a eccezione di quelle considerate essenziali, e scatta l’obbligo dell’autocertificazione quando si esce di casa. Nelle strutture sanitarie e per anziani scarseggiano i dispositivi di protezione individuale, ovvero camici, mascherine, guanti. Si invitano i turisti - non senza qualche malumore - a tornare a casa. Il 13 marzo viene attivato il primo reparto Covid all’Ospedale “Umberto Parini”. Davanti a supermercati e farmacie si formano code di clienti, dato che l’ingresso viene scaglionato. «Ci aspettiamo 300 contagiati confermati più altri che non avranno sintomi» prevedeva Luca Montagnani, coordinatore sanitario dell'Unità di crisi. Alla fine saranno quasi 10.000. Come percentuali di malati la Valle d'Aosta supera la Lombardia e diventa un caso nazionale. Sono rinviate le elezioni "sine die" e il Comune di Pontey diventa la prima zona rossa valdostana a causa dei numerosi contagi. L'intera regione è sotto choc, l'economia è in ginocchio, migliaia di lavoratori sono a casa e molti senza stipendio. Un segnale di speranza arriva il 23 marzo, quando 2 pazienti - un'assistente sanitaria di Cremona e un geometra di Milano, che erano in villeggiatura nella Valdigne - sono dichiarati guariti. L'emergenza si trasferisce nelle strutture per anziani, dove moltissimi pazienti sono positivi. La Procura di Aosta apre un’inchiesta per accertare se negli ospizi si siano adottate tutte le misure necessarie per proteggere ospiti e personale. A inizio aprile si raggiunge il picco del contagio e l’Istat rileva un incremento di morti di oltre il 60 per cento. L’estate sembra se non proprio sconfiggere almeno indebolire in maniera significativa il virus. Viene nuovamente consentito lo spostamento tra le regioni e in Valle d’Aosta tornano i turisti. In molti immaginano che il peggio sia ormai passato. Purtroppo i fatti dimostreranno presto il contrario. La seconda ondata è in agguato e si abbatte, ancora più violenta della prima, sulla Valle d'Aosta. Oltre 100 morti in 25 giorni a novembre. L'elenco delle vittime si impenna, come quello dei contagiati. L’ospedale “Umberto Parini” è nuovamente in affanno. La tenuta del sistema sanitario vacilla. A causa di un problema a uno strumento diagnostico utilizzato per analizzare i tamponi, viene ricoverata in un reparto Covid del nosocomio aostano una decina di pazienti che invece sono negativi. A fine dicembre parte la campagna vaccinale e, dopo un avvio al rallentatore, la Valle d'Aosta risulta essere una delle regioni più virtuose. L’obiettivo di riuscire a raggiungere al più presto l’immunità di gregge non appare più come un sogno.

I timori, però, restano. La dottoressa Silvia Magnani, specialista in malattie infettive che, insieme ai suoi colleghi e al personale sanitario, ormai da un anno combatte in prima linea la pandemia da Covid-19 in Valle d'Aosta, auspica: «Bisogna avere la forza per riuscire ad arrivare in fondo. La fatica di questa infezione è che ogni volta che pensi di esserne uscito ci ricapiti dentro. E' successo per la spagnola, per tante pandemie. Occorre sempre pensare che non sia finita, purtroppo. Non va mai abbassata la guardia. Ma la speranza nel vaccino è grandissima».Parole condivise dal “paziente zero”, Lorys Le Pera di Pontey: «Non si è immuni per sempre, ora potrei riprendermi il Covid, vorrei fare il vaccino il prima possibile».

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