Valdostani all’estero durante la pandemia, testimonianze a confronto

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Trovarsi lontani da casa mentre scoppia una pandemia non è facile. Così la Fondation Chanoux venerdì scorso, 18 dicembre, ha organizzato una videoconferenza sul tema “Valdostani nel mondo al tempo del Covid”. Hanno partecipato Olivier Lunghini dal Cile, Maria Vittoria Grasso dal Belgio, Alexis Praz ed Emile Piccoli dalla Svizzera, Mikhail Asiatici dall'Austria, Federica Pastoret dalla Spagna, Stefano Massetto, Carolina Filippini e Julien Roux dal Regno Unito, Matthieu Cretier dalla Germania, Nicola Linty dalla Finlandia, Matteo Salval dall'Australia e Luisa Seguin con la sua esperienza tra Cina e Stati Uniti. A loro si aggiungono Luca Sordi, che aspetta la riapertura dell'Hotel di cui è chef in Trentino dopo il rientro dal Regno Unito, e Manuel Milliery che da Parigi sottolinea: «Nei Paesi con cui lavoro sento che la responsabilità per la pandemia è individuale e il Covid è un argomento di conversazione minore». Sonia Agnesod dalla Colombia riferisce che «Mi sono sentita più valdostana in questo periodo, nonostante la pandemia siamo rimasti collegati pur nella distanza». Giada Donzel, dalla Cina, racconta lo choc della pandemia: «Quando è scoppiata ero in Vietnam per le vacanze con gli amici: abbiamo sentito dal telegiornale del contagio di Wuhan e ho cominciato a temere di non poter tornare in Cina. Nel giro di tre giorni hanno chiuso i campus universitari e dal Vietnam sono dovuta rientrare in Italia. Seguo i consigli dei miei professori, ma so che altri studenti non sanno come comportarsi per laurearsi».

«La “riunione” di venerdì rappresenta il primo passo di un percorso che si auspica lungo e fruttuoso, all’interno del progetto Mémoire de l’émigration, promosso dalla Presidenza della Regione. - afferma Alessandro Celi, presidente della Fondation Chanoux e referente del progetto sulle migrazioni - In origine, il progetto mirava a ricostruire le vicende dell’emigrazione otto-novecentesca, ma i dati dell’emigrazione contemporanea, in forte crescita, hanno portato il gruppo di lavoro, cui appartiene anche la Fondation Chanoux, a interrogarsi ed esplorare anche questo aspetto della Valle d’Aosta e ad organizzarsi di conseguenza». «La migrazione attuale, che vede un numero sempre crescente di giovani valdostani partire all’estero per lavoro, è caratterizzata da una forma di atomizzazione migratoria. - aggiunge Michela Ceccarelli, autrice degli studi “Émigrés” e “Émigrés 2.0” nonché coordinatrice dell'incontro - In altre parole i nuovi migranti si spostano da soli e le loro partenze sono dettate da scelte strettamente individuali e familiari. Non vi sono, come invece accadeva in passato, reti di sostegno, che rimangono, da quanto emerso nell’incontro di venerdì, auspicabili. I giovani valdostani nel mondo sentono il desiderio o bisogno di condividere, di confrontarsi e di mantenere in qualche modo un rapporto con la terra d’origine. Al momento “iniziative istituzionali” per i nuovi migranti non esistono». «Dopo la pubblicazione di “Émigrés 2.0” - osserva Alessandro Celi - la realtà della recente emigrazione non può dirsi un oggetto sconosciuto. In questo, la Valle d’Aosta è in linea con la situazione italiana. L'impressione è che, rispetto alla popolazione, la percentuale dei valdostani che lavorano all’estero grazie a un titolo di studio universitario o postuniversitario sia superiore. Questo confermerebbe quanto affermato da uno dei partecipanti, Manuel Milliery, secondo cui i valdostani sono abituati all’accoglienza e per questo non hanno particolari difficoltà a incontrare nuove realtà e a integrarsi in esse, forse con quel pizzico di curiosità in più che può fare la differenza. Inoltre, la conoscenza del francese - da lui giudicata sottoutilizzata - consente loro di essere concorrenziali nel mercato linguistico più vasto del mondo, quello francofono, che nel 2050 comprenderà circa l’8 per cento dell’intera umanità. Forse occorre cambiare punto di vista e rivedere le priorità nella formazione scolastica e nell’offerta turistica e residenziale, pensando, ad esempio, all’impatto dello smart working e alle conseguenti scelte dei “nomadi digitali”».

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