I rischi per la salute (e non solo) dell’economia globalizzata
“Fare affidamento sui mercati internazionali per rispondere alla domanda basilare di cibo, specializzandosi al contempo nella produzione e nei raccolti remunerativi, ha recentemente fallito il suo scopo”: questa è stata la conclusione alla quale sono giunti appena qualche anno fa gli esperti internazionali della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e sullo Sviluppo, che hanno inoltre raccomandato un approccio a mosaico alla produzione alimentare, con il sostegno ai piccoli agricoltori e l’attenzione alla diversità nella produzione agricola e nell’autonomia della stessa. Dunque? Si continuerà come prima, più di prima, con un gruppo ridotto di multinazionali che controlla sempre più la produzione e la disponibilità del cibo su scala planetaria. Della cui bassa qualità non sembrano esserci molti dubbi, come ha infatti fatto notare la scrittrice di “L’economia della Felicità” e regista Helena Norberg-Hodge, che ha scritto che «le società occidentali (ma ormai anche altri Paesi del Terzo e Quarto Mondo) sperimentano oggi tassi di obesità, diabete, malattie cardiache e cancro mai visti prima. Ed il cibo globalizzato, geneticamente modificato, pieno di residui ed impoverito nel suo apporto nutritivo contribuisce a questi problemi in maniera significativa». Parallelamente a questi fenomeni ed ugualmente legati a questa globalizzazione dell’economia e del commercio consumistici si stanno evidenziando l’erosione della democrazia in tutte quelle nazioni dove essa si era non senza fatica lentamente creata nell’arco di appena qualche generazione ed il divario crescente tra ricchi, nuovi ricchi e poveri, nuovi poveri. Infine, aumenta senza flessioni la principale causa di invalidità a livello mondiale, e cioè la depressione con oltre trecentocinquanta milioni di persone che ne soffrono. Ancora Helena Norberg-Hodge ha evindenziato come «la paura, l’isolamento e l’insoddisfazione che molte persone provano al giorno d’oggi sono in realtà la reazione ad un sistema fallito. Da queste sensazioni nasce la ricerca di qualcosa di vero e di essenziale. Possiamo cominciare il viaggio dovunque ci troviamo, lasciarci alle spalle la paura e l’imbarazzo che ci tengono separati e creare una cultura della condivisione e dell’attenzione». E dunque buon viaggio a tutti noi, consapevoli di dover partire da soli per ritrovarsi con altri che pensano e vivono con autenticità.