La Francia dell’8 luglio, una sfida e una speranza Dal voto non emerge una vera maggioranza di governo
Domenica scorsa, 7 luglio, si sono svolti in Francia i ballottaggi delle elezioni legislative, alle quali hanno partecipato votando nella circoscrizioni per l’estero alcune centinaia di valdostani dalla doppia nazionalità. L’esito del primo turno, che vedeva la possibilità di un grande successo dell’estrema destra, è stato in parte disatteso. La strategia delle desistenze, il vigore del “front républicain” e una imponente partecipazione popolare al voto ha consentito ancora una volta di arginare la progressiva avanzata del Rassemblement National. La composizione della nuova Assemblée nationale è dunque costituita da 178 seggi al Nouveau Front Populaire (sinistra), 150 seggi a Ensemble! (macronisti), 143 seggi al Rassemblement national e alleati (estrema destra), 39 seggi ai Républicains (gollisti).
Certo, si tratta di un esito finale in parte inatteso. Molti hanno reagito, a caldo, con un certo entusiasmo, ma la realtà è molto meno evidente di quanto non sia apparsa soprattutto sui media italiani. Uno degli interventi più interessanti è un’intervista a Sabino Cassese sulla rivista Le Grand Continent in cui dice, tra l’altro, che gli estremi sono assai più estremi in Francia che in Italia. In altre parole la destra e la sinistra in Italia sono meno radicali di quanto non emerga oggi nel panorama politico francese. Il vero dato però è che da queste elezioni non emerge un gruppo in grado di assicurare una vera maggioranza di governo. Questo è il vero elemento di novità. Sempre sulla rivista Le Grand Continent è molto interessante la riflessione di Klaus Welle, già segretario generale del Parlamento europeo, che si sofferma lungamente sul fatto che questa condizione, ovvero quella della necessità di addivenire adun governo di coalizione, un governo di programma, è un’anomalia in Francia ma una condizione assolutamente normale nella gran parte degli altri paesi dell’Unione europea. L’esempio però più importante che Klaus Welle porta all’attenzione dei lettori è proprio quello della complessa architettura di Governo dell’Unione. Un Governo allo stesso tempo “territoriale”, ovvero degli Stati membri e “politico” così come rappresentato in Parlamento. Un’architettura fondata sul confronto permanente tra posizioni diverse dove le maggioranze sono continuamente in evoluzione e dove in fin dei conti tutti sono costretti a parlarsi e a confrontarsi.
Il sistema francese, al contrario, è un sistema di ipercentralizzazione: “Un modèle qui s’étire vers ses limites. Et la légitimité de cette monarchie élue s’épuise rapidement”. L’esercizio con cui dunque si confronta la Francia oggi è in fin dei conti un esercizio che può essere molto positivo e non è escluso che alla lunga venga in futuro interpretato come un primo passo verso la Sesta repubblica. Il dibattito di questi giorni è tutto concentrato sulla forma del futuro Governo, sulla natura della coalizione che lo dovrà sostenere, ma fin d’ora sono - a mio modo di vedere - evidenti 2 questioni. La prima è che le elezioni hanno allontanato dal potere l’estrema destra ma allo stesso tempo oggi un problema è rappresentato dal radicalismo della sinistra della France Insoumise. Come titola il giornale Le Franc Tireur: …“maintenant c’est lui le problème”… ovvero Jean-Luc Mélenchon, il cui programma politico - paradossalmente - assicurerebbe a termine la definitiva vittoria delle destre tanto le proposte sono insensate, insostenibili e demagogiche. Proposte raffazzonate e dell’ultimo momento sulle pensioni, l’immigrazione, l’innalzamento del salario minimo, il blocco dei prezzi dei generi di prima necessità, la riforma del diritto di successione; tutte proposte da cui emerge l’assenza di un’elaborazione credibile e realmente di governo. L’alleanza elettorale del Nouveau Front Populaire se non è finita già oggi è bene che finisca domani.
In questo senso la reazione del Partito Democratico in Italia è frutto di una straordinaria superficialità. Solo quando si uscirà da questo disastro del bipolarismo frutto anche in parte di una retorica della governabilità si potrà ritornare a riflettere sulle sfide future della democrazia. Sulla necessità di quella che Sabino Cassese chiama la “convergenza al centro”. Un centro che non è un luogo incerto tra la destra e la sinistra ma è la metafora dell’Agorà ateniese. Il luogo in cui ci si incontra e ci si scontra nella consapevolezza del comune destino. Mercoledi scorso, 10 luglio, il presidente Macron si è espresso chiaramente con una lettera indirizzata ai francesi in cui invoca l’esigenza di un “large rassemblement” fondato su valori repubblicani chiari e condivisi. Per la Francia si tratta di una grande sfida, ma la vera sfida è ricostruire un dialogo tra le correnti della democrazia europea: la destra laica e liberale, il cattolicesimo sociale e la socialdemocrazia. La radicalizzazione dell’ultimo quarto di secolo, frutto anche di un esasperato populismo qualunquista tanto in una parte della destra quanto di una parte della sinistra, si dimostrerà essere incapace di produrre un vero progetto politico per il futuro della Francia, dell’Italia e dell’Europa intera.