Quando le contaminazioni diventano tradizione: le tegole e i torcetti
Ogni tanto ci dimentichiamo come ci piaceva chiamare la nostra Valle d’Aoste fino a qualche anno fa, “carrefour d’Europe”. Secoli di viaggiatori, turisti e sperimentatori locali hanno lasciato tracce importanti anche nella gastronomia, tanto da creare veri e propri prodotti tipici, anche nella sua parte dolce.
I nostri biscotti più conosciuti, le tegole e i torcetti, sono due esempi importanti di come la contaminazione diventi tradizione. La storia delle tegole valdostane, che farebbe pensare al vicino Piemonte per il suo ingrediente principale, le nocciole, in realtà è legata alla pasticceria casalinga del nord della Francia. Sembra ormai definitivamente sdoganato il racconto di due pasticceri della famiglia Boch di Aosta che rimasero colpiti da un tipo di biscotto molto fine e friabile assaggiato in un viaggio in Normandia intorno al 1930. Una volta tornati sperimentarono la ricetta normanna con l’aggiunta dell’immancabile burro e di una dose generosa di nocciole. A quel tempo questi particolari biscotti venivano fatti asciugare su appoggi cilindrici e prendevano una piega che li faceva assomigliare alle tuiles dei tetti. Da qui probabilmente il nome di tegole. La produzione dei Boch ha poi stuzzicato l’interesse dei panettieri valdostani e successivamente delle diverse famiglie di pasticcieri, attraversando due guerre e quasi un secolo, per arrivare fino a noi con una ricetta praticamente uguale alla prima, ma con una forma che ormai si è standardizzata in piatta e, attraverso l’apprezzamento di valligiani e turisti, è a tutti gli effetti riconosciuta come tipica.
Negli ingredienti troviamo farina, zucchero, nocciole e anche mandorle, albumi d’uovo e ovviamente il burro che dona insieme alle nocciole il gusto caratteristico e riconoscibile delle tegole valdostane.
Sono tanti i produttori che le propongono, dalle più fini e secche alle più pesanti e friabili, abbinate spesso al caffè, alla crema Chantilly o alla crema di Cogne. Per i turisti sono ormai un souvenir goloso e ricorrente, comode per la loro conservazione e sicuramente uniche per portarsi a casa un pezzo di Valle d’Aosta.
Diversa invece la parabola dei torcetti. Per quanto nei decenni passati erano geograficamente legati alla zona di Saint-Vincent non vi sono dubbi riguardo all’origine piemontese, d’altronde la stessa di numerosi negozianti della cittadina termale. Le fonti li vedono citati nel libro Confetturiere Piemontesi del 1790, i “torchietti” come venivano chiamati, sono presenti poi nel Trattato di Cucina e Pasticceria Moderna del 1854 di Giovanni Vialardi, aiutante cuoco dei re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II.
Margherita di Savoia, prima regina d’Italia dal 1878 al 1900, pare che scendesse apposta da Gressoney verso il fondo valle proprio per gustare i torcetti di cui andava ghiotta. Nella leggenda più di taglio popolare troviamo come protagonista l’errore e la sperimentazione: si narra infatti che un panettiere avendo sbagliato un impasto per questi “grissini dolci” abbia aggiunto troppo burro e dimenticato lo zucchero, per metterlo poi solo esternamente nel tentativo di rimediare. Da qui l’idea di piegarli a goccia su se stessi per creare una forma distintiva.
Probabilmente originari della zona del Canavese, delle valli di Lanzo e del Biellese hanno conseguito la certificazione PAT in Italia. La versione valdostana, più ricca di burro, friabile e non glassata è stata sviluppata e proposta da diversi produttori e pasticcieri ed ormai rientra sicuramente nel novero dei nostri biscotti tipici. I torcetti sono legati più all’immagine del prodotto per colazione o una merenda importante, da accompagnamento del the, o magari insieme a un génépy come fine pasto serale.
Entrambi questi biscotti - tegole e torcetti - ormai riconosciuti come tipici rappresentano bene quello che da sempre è uno dei grandi valori della gastronomia valdostana, cioè l’interpretazione. Una regione, la nostra non particolarmente ricca di piatti storicamente propri, se non fosse per quelli legati alla pastorizia e quindi all’attività lattiero casearia; ma un luogo di continuo passaggio, di vie storiche, di conquiste, di migrazioni e di viaggiatori che hanno lasciato continue informazioni e contaminazioni, mentre apprezzavano la bellezza del territorio. In questo i valdostani hanno sempre saputo raccogliere, sperimentare e reinterpretare, trasformando nei decenni un buon assaggio in un prodotto tipico.