La mummia della marmotta del Lyskamm è al Museo regionale di Scienze naturali
Ben 6.600 anni, e non sentirli: la marmotta del Lyskamm si mostra finalmente al pubblico nella sua nuova casa in Valle d’Aosta, un ambiente del Museo regionale di Scienze naturali Efisio Noussan nel Castello di Saint-Pierre, che ha guidato negli ultimi 2 anni le operazioni di recupero, conservazione e studio del reperto. Da ieri, venerdì 14 giugno, la mummia della piccola marmotta è accolta in una teca super tecnologica dove potrà essere ospitata per i prossimi 500 anni. L’ambiente al suo interno è privo di ossigeno, completamente ecosostenibile e indipendente dall’energia elettrica, con la possibilità di calibrare all’occorrenza i parametri chimico-fisici, prevenendo il deterioramento della mummia.
Il ritrovamento della mummia
Era una mattina d’agosto del 2022, quella in cui la guida alpina Corrado Gaspard uscì di casa ignaro del fatto che quel giorno avrebbe trovato, sulla parete est del Lyskamm, ghiacciaio appartenente al gruppo del Monte Rosa a quota 4.291 metri, una piccola marmotta rannicchiata su una roccia ad attenderlo. Un’attesa, si scoprirà qualche settimana dopo, durata ben 6.600 anni.
Da qui, l’immediata ed emozionante constatazione di trovarsi al cospetto di un unicum, il coinvolgimento delle autorità competenti e, quindi, il volo in elicottero del 14 agosto al fianco di Velca Botti, biologa del Museo di Scienze naturali, incaricata delle operazioni di recupero e trasporto del reperto in laboratorio. Velca Botti farà anche parte del gruppo di studio che lavorerà sulla piccola mummia, the Marmot Mummy Project.
Un team multidisciplinare per indagare sulla marmotta
I primi a interessarsi della mummia del Lyskamm nel 2022, insieme ai ricercatori del Museo di Scienze naturali, erano stati quelli dell’Istituto per lo studio delle mummie dell’Eurac Research di Bolzano, che hanno collaborato alla definizione delle procedure per il recupero e successivamente ad assicurare la conservazione del reperto, una volta collocato presso i laboratori del Museo. Sempre in collaborazione con Eurac Research sono stati ottenuti i primi dati, tra cui la datazione al radiocarbonio che lo fa risalire al medio olocene (circa 6.600 anni fa appunto). Sulla base di questo lavoro congiunto, la Regione ha riunito nel 2023 un’equipe di archeologi, biologi, genetisti, glaciologi, naturalisti e veterinari, sotto il nome di The Marmot Mummy Project. Il loro obiettivo è fornire una risposta agli interrogativi nati dal ritrovamento a oggi, e di quelli che continueranno a sorgere nel futuro.
Diversi gli istituti e gli enti di ricerca coinvolti, oltre al Museo di Scienze naturali e all’Istituto per lo studio delle mummie dell’Eurac, le Università di Torino e Milano, la Fondazione Montagna Sicura, la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta, l’Istituto di Scienze Polari del Consiglio nazionale di Ricerche (Cnr-Isp) di Messina.
Il team è costituito da Santa Tutino, Velca Botti, Francine Navillod, Alessandra Armirotti, Gianfranco Zidda, Marco Samadelli, Alice Paladin, Umberto Tecchiati, Fabrizio Troilo, Michele Freppaz e Maurizio Azzaro.
Tanti punti di domanda
La prima e più ovvia domanda è sicuramente: che cosa ci faceva una marmotta a 4.291 metri di quota?
Forse nella risposta a questa domanda ce n’è un’altra ancora più importante: che clima c’era all’epoca dove oggi c’è il ghiacciaio, da permettere la vita di un piccolo erbivoro come la marmotta?
In un’epoca come la nostra, in cui il tema dei cambiamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacciai è sempre più di stringente attualità, le indicazioni fornite dal ritrovamento della mummia del Lyskamm ci dicono molto, su quello che le Alpi sono state e su quello che potrebbero tornare ad essere.
Le aree di alta montagna, seppur apparentemente immutabili, sono zone molto dinamiche, soggette a condizioni meteorologiche e climatiche estreme. Ciò che oggi appare dominato dai ghiacciai, poteva non esserlo in passato e non lo sarà probabilmente in futuro, visto il severo contesto di cambiamento climatico che stiamo vivendo. La mummia e, soprattutto, il luogo del suo ritrovamento possono fornire utili indizi sull’evoluzione dell’ambiente alpino e sul clima.
Che marmotta era, quella del Lyskamm, e quanto somiglia alle nostre?
Il secondo elemento estremamente sorprendente, legato al ritrovamento e allo studio della mummia del Lyskamm, è lo stato di conservazione del reperto che, oltre allo scheletro, ha mantenuto pressoché intatti, per gli ultimi 66 secoli, anche i tessuti e la pelliccia. Questa straordinaria integrità ci permette di compiere, insieme alla mummia, un vero e proprio salto indietro in un tempo in cui, come confermato dagli studi sul profilo genetico dell’animale, le marmotte non erano così diverse dalle nostre.
Il DNA della specie si è modificato poco e lentamente e, ciononostante, la marmotta è riuscita comunque a sopravvivere all’era glaciale: un’eccezione per il regno animale, poiché una bassa variabilità genetica è spesso associata a un elevato rischio di estinzione (come nel caso del gorilla di montagna, dell’orso polare artico e della lince iberica).
Nuove prospettive per la ricerca scientifica
È la prima volta che in Valle d’Aosta viene ritrovata una mummia naturale (ovvero un corpo in cui il processo di decomposizione ad opera di microrganismi è inibito da cause naturali), ma non è detto che sia l’ultima. Questo ritrovamento sembra aprire le porte ad una serie di opportunità per la ricerca scientifica: considerati gli effetti del cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai e il loro ritiro potrebbero portare a nuove scoperte, restituendo alla luce nuovi reperti.