Marco Joly, l’artigiano che guarda con occhi da artista il legno e porta alla luce scene di vita quotidiana
Vecchi pezzi di legno, qualcuno tarlato, trovano una nuova vita tra le mani di Marco Joly, artista di Arnad. I suoi scalpelli scoprono storie vere dentro pezzi di porta, gambe di sedie, ante di armadi, travi e riquadri di finestre, persino in banali sassi di torrente. Vi sono donne al tombolo, veillà, scene di osteria, cori di bambini, lavori stagionali, la preparazione del burro, la raccolta delle noci e la loro torchiatura per estrarne l’olio, famiglie contadine, greggi, stalle, santi, uccellini, feste e danze contadine. Sono lì dentro e solo l’artista li sa vedere e portare alla luce. Marco Joly fa rivivere nei suoi bassorilievi e nelle sue sculture a tutto tondo, con tratti essenziali, momenti della sua infanzia e giovinezza e persone a lui care: dietro ad ogni opera c’è una storia di vita vissuta.
«La “donna che danza” è Luisetta Després giovane sordomuta figlia di parigini che, trasferitisi ad Arnad, erano stati per molti anni titolari dell’Ufficio postale. - ricorda Marco Joly - Luisetta veniva spesso a mangiare da noi nella trattoria che la mamma gestiva ad Arnad e danzava al suono del juke box, di cui in qualche modo sentiva le vibrazioni. Gli uccellini che si ripetono nelle mie opere ricordano Pierino, un giovane che abitava vicino alla casa di famiglia e sapeva addomesticare gazze e merli».
Dalle sue opere emerge il microcosmo di Arnad, dove Marco Joly nasce il 6 febbraio 1946, secondogenito di Mosè e di Caterina Creux di Issogne. «Papà e mamma si erano conosciuti a Issogne alla festa patronale che cade il 15 agosto. - racconta Marco Joly - Papà aveva visto la mamma all’uscita dalla Messa e, tramite una comune amica, l’aveva invitata ad andare alla festa di Montjovet la settimana successiva. Non avendo altri mezzi, era andato a prenderla con la bicicletta, a quei tempi già un lusso, anche se la salita della Mongiovetta, in due sulla bici, non doveva essere stata leggera. Si erano sposati nel 1939 e nel 1942 era nata mia sorella Paola, mancata l’anno scorso. Il papà era partito militare per il Montenegro ed era poi riuscito a tornare per lavorare nella cava di amianto di Favà, nel Comune di Issogne, lavoro che esentava del servizio militare. Dopo l’otto settembre aveva aderito alla lotta partigiana, ma dato che aveva famiglia, era stato messo a fare il cuoco per il gruppo».
Entrambi i genitori lavorano, il papà nella cava e poi al cotonificio Brambilla e la mamma nella trattoria, aperta dove già la nonna paterna Vittoria Challancin aveva un negozio di commestibili e panetteria. Fin da quando ha un anno e mezzo Marco Joly è affidato alla scuola materna di Arnad, gestita da alcune suore napoletane. L’asilo era ospitato in un edificio dietro il Comune, nella stessa casa dove adesso si trova l’esposizione delle sue opere.
«I miei genitori erano impegnati tutto il giorno sul lavoro, - ricorda Marco Joly - La nonna Vittoria faceva anche la levatrice e l’infermiera e prestava lei le prime cure a chi si infortunava. Passava poi il medico condotto a controllare che tutto fosse a posto. Dicevano che alle donne prima di partorire dava da bere un bel bicchiere di panna e che quello aiutava il parto».
Marco Joly avrebbe poi tradotto i ricordi dell’infanzia trascorsa con le suore in alcuni suoi lavori, come la tavola dipinta «Nel bosco», che ritrae alcuni bambini mentre giocano tra i castagni. Frequenta le scuole elementari ad Arnad fino alla quarta e nelle estati dai nove ai dodici anni, sale all’alpeggio Vert.
«Ci sono stato tre anni a tenere compagnia a una vecchietta che si chiamava Ida e parlava da sola e dovevo badare a cinque mucche, due pecore, due capre e qualche gallina», continua Marco Joly. Per la quinta elementare è mandato al collegio Valdocco dei padri Salesiani a Torino, per prepararsi all’esame di ammissione alla prima media. Lontano da casa si sente abbandonato e patisce punizioni del tipo «vedere un film solo per metà». L’anno dopo passa quindi al collegio San Giorgio di Ivrea, dove frequenta l’avviamento professionale. Da Ivrea può tornare a casa almeno ogni quindici giorni. Già alle elementari scopre di essere portato per il disegno, tanto che spesso era lasciato a ritrarre le vecchie case di Arnad; alla fine del triennio diventa chiaro il desiderio di sviluppare la vena artistica. «Mi sarebbe piaciuto dedicarmi al disegno libero come quello che faceva mia sorella all’avviamento commerciale, ma poi sono finito a frequentare l’istituto tecnico per elettromeccanici a Verrès, per tre anni. Ci andavo in bici, due volte al giorno. Dopo il diploma sono stato immediatamente assunto nello studio tecnico del geometra Marcello Girod dove disegnavo i progetti di case e di interni» afferma Marco Joly.
A diciannove anni è chiamato al servizio militare di leva e dopo il Car a Cuneo completa la ferma ad Aosta. «Non ho amato la montagna da militare: nei campi estivi pur partendo alle quattro del mattino, si arrivava a destinazione alle sette di sera. Ero tra i pionieri guastatori e nelle manovre vicino al Monviso avevo perso nove chili in venti giorni. Dopo il servizio militare sono andato in montagna solo più con la funivia!» dice Marco Joly.
Dopo il congedo è assunto come assistente nei cantieri dell’Assessorato regionale dei Lavori pubblici. «Ho seguito la realizzazione della strada Lacroix-Estoul, di Graines e altri cantieri ancora. - precisa Marco Joly – Ero l’unico assistente che redigeva un libretto con tutte le misure delle varie sezioni del terreno dove si costruivano le strade. Ben presto però, per disaccordi con l’impresa sono tornato a lavorare nello studio tecnico di Girod, dove sono rimasto fino al 1974».
Nel 1972, dopo un viaggio a Parigi - dove si appassiona al jazz - Marco Joly pensa di aprire una discoteca ad Arnad, con Flavio Vuillermin come socio. Anche se Arnad non è Parigi, l’iniziativa ha un discreto successo. Nel 1972 sempre ad Arnad si insedia la ditta Appel, filiale della Aramis SpA che produce camicie, richiamando manodopera specializzata anche da fuori regione. «Con altre colleghe è arrivata da Bergamo Luisa Ubiali, maestra camiciaia, che nel 1974 è diventata mia moglie. - racconta Marco Joly - Mentre eravamo in viaggio di nozze a Venezia mio papà mi comunicò che ero stato assunto in Comune e che mi sarei dovuto presentare a lavorare il lunedì successivo. Era lo stipendio fisso! Chiusa la discoteca, ho lavorato come applicato comunale, tra stato civile, anagrafe e servizio elettorale fino al 1991».
Dal matrimonio nel 1974 nasce Chantal, oggi avvocato a Verrès. Sposata con l’eporediese Massimo Campanale, anche lui avvocato, ha reso Marco e Luisa nonni di Aronne, dieci anni e di Immacolata, sei.
L’indole artistica in gioventù si rivela «al cambio delle stagioni», quando per quindici giorni, in primavera e in autunno, pur non conoscendo le tecniche, Marco Joly dipinge. Spesso il lavoro non è soddisfacente e viene buttato, ma non si dà per vinto, conscio che prima o poi sarebbe riuscito a esprimersi.
Nel 1974 si iscrive al corso di scultura organizzato dal maestro Quirino Joly ad Arnad. «Ci sono andato per una settimana. - rivela Marco Joly - Quando mi è stato detto cosa fare ho smesso: io sapevo “cosa” fare, volevo imparare “come” farlo. Ho comprato degli scalpelli e dei vecchi pezzi di noce e mi sono messo a lavorare da solo, quasi ogni sera, e nel 1975 ho partecipato per la prima volta alla Fiera di Sant’Orso. Era anche la prima volta che ci andavo. Ero pure arrivato tardi e non avevo più trovato il mio banco, così mi sono piazzato vicino all’Arco di Augusto. Quell’anno Eddy Ottoz mi aveva comprato tre pezzi dicendomi “Sei bravo, sei diverso dagli altri”. Ho continuato a scolpire e alla Fiera mi sono spostato pian piano verso il centro, fino ad arrivare vicino alla Porta Pretoria, dove sono tuttora. Ho sempre scolpito d’istinto, senza modello. Ho provato una volta a fare un modello di un alpino con la plastilina ed era venuto bene, ma quando lo avevo riprodotto in legno non andava: non sono capace di copiare. Man mano decido cosa fare; rosicchiando il legno poco per volta la scena che ho in mente viene fuori. E se non viene bene, butto tutto nel fuoco». Dal 1975 è sempre stato presente alla Fiera di Sant’Orso, ad eccezione di un anno per motivi di salute.
Si aggiudica per undici volte il primo premio, e in numerose occasioni è primo nella Mostra concorso dell’artigianato valdostano di tradizione di Aosta. Nel 2001 riceve il riconoscimento «Don Garino» per la scultura a soggetto religioso. Nel Museo di arte valdostana di Fénis è presente una sua scultura in pietra ollare che rappresenta un coro di bambini.
Dopo il pensionamento dal Comune di Arnad nel 1991 continua ancora per qualche anno ad aiutare la moglie nella conduzione della trattoria «da Moise».
«Davamo merende a tutte le ore utilizzando i nostri prodotti, lardo e salumi dai maiali del nostro allevamento e vino di produzione propria, dai diecimila metri quadrati di vigna. Acquistavamo i formaggi da piccoli produttori locali ed eravamo molto conosciuti. Con l’obbligo della ricevuta fiscale, non potendo scaricare le spese perché i prodotti erano nostri o da aziende di tipo familiare, eravamo quasi in perdita e abbiamo chiuso, ma per una decina di anni la gente ha continuato a cercarci», confida orgoglioso Marco Joly.
Al posto della trattoria adesso c’è la casa di famiglia, ristrutturata su suo disegno. Da una ventina d’anni Marco Joly si dedica a scultura e pittura a tempo pieno, nel piccolo laboratorio non lontano da casa, affacciato su un prato e un frutteto, con ortensie e merli. Nelle sue opere non solo esprime i ricordi dell’infanzia e della giovinezza e i ritmi ancestrali della vita contadina, ma dà anche voce a concetti astratti, come la libertà.
«La mia idea di libertà è andare controcorrente, non avere costrizioni di alcun genere. - spiega Marco Joly - Non faccio lavori su ordinazione, non riesco perché non mi sento libero. Una volta mentre ero a metà di una scultura enorme, una processione, un signore, vedendola, mi aveva detto: “la compro io”. Pur avendo obiettato che ero solo a metà, aveva insistito e da quel momento la scultura è stata diversa. Quando nel 2007 la Commissione per l’artigianato aveva vietato di dipingere i pannelli per Sant’Orso, mi è venuto spontaneo dipingere i bassorilievi delle quattro stagioni. Sono piaciuti così tanto da diventare il motivo centrale della mia seconda personale alla Chiesa di San Lorenzo nel 2008, dal titolo “La poesia delle stagioni”».
Marco Joly ha all’attivo numerose personali a Firenze, Torino, Ginevra e Ivrea e la partecipazione a decine di mostre collettive ed è tuttora in corso una mostra condivisa con Davide Camisasca, «La montagna fotografata, la montagna scolpita» sempre nella Chiesa di San Lorenzo, fino a mercoledì 28 febbraio.
Appassionato di arte moderna e contemporanea, ha una ricca biblioteca di monografie di pittori oltre a una collezione di dipinti di pittori italiani, acquistati con i proventi delle opere vendute alla Fiera.
«Sono innamorato delle opere di Trento Longaretti, che dipingeva ancora a cento anni. Sono acquerelli bellissimi. Amo la pittura, così mi sono messo a usare il colore sempre di più e credo che mi metterò a dipingere, visto anche che con la crisi si vende poco», conclude Marco Joly. Intanto alla prossima Fiera di Sant’Orso se qualcuno volesse aggiudicarsi uno dei suoi «quadretti» deve recarsi al suo banco molto presto: come scrive Francesco Di Vito nei suoi ricordi sulla Fiera di Sant’Orso, c’è sempre una signora che arriva a comprarli in blocco prima degli altri!