L’alpeggio come rifugio per il suo spirito ribelle A Nus l’ultimo saluto all’allevatore Gelso Vallet
Non esisteva estate senza alpeggio per Gelsomino Vallet. Era il suo modo per vedere la vita come l’aveva apprezzata da bambino, un rifugio sicuro, in alto, tra il verde dei pascoli e il grigio delle rocce, l’acqua impetuosa dei torrenti ed i ghiacciai vicini. Un’infanzia difficile quella di Gelso, come lo chiamavano gli amici, il papà Luigi di Verrayes, la mamma Mariuccia Chanoux di Quart, cresciuto dal nonno allevatore Gabriele Glarey, assieme al fratello Ezio e alla sorella Gabriella. Come tante famiglie valdostane dell’epoca - Gelsomino era nato il 15 marzo del 1959 - il lavoro di cit in estate era una normalità e pure Gelso prese la strada della montagna e cominciò ad amarla. Trovò l’affetto di Cesarino Bertin negli alpeggi di Etroubles e poi di tanti altri, stagione dopo stagione: piccolo di statura, fisico da atleta e tanta forza, di poche parole, Gelsomino con la sua inseparabile sigaretta e quei tatuaggi che in Valle d’Aosta erano cosa rara sapeva fare di tutto e negli ampi spazi trovava la sua dimensione, adattandosi al contesto, stringendo amicizie durature e dimostrando sempre un rapporto particolare con gli animali. Dopo Etroubles arrivarono tanti altri alpeggi, dalla val Ferret di Courmayeur con i Dalbard fino alle punte di Gressoney e alle estremità di Champocher all’Alleigne, posti spesso non raggiunti da strade, ancora più tranquilli per la filosofia di Gelso.
Quando lavorava con Natalino Viérin a Pollein acquistò le prime due mucche, l’inizio dell’allevamento che avrebbe condiviso con Piera Veneriaz. Si conoscevano fin da bambini, poi le loro strade si erano separate per ricongiungersi a metà degli anni Ottanta. Insieme nel 1988 cominciarono a Buthier di Gignod, poi Nus, Verrayes ed ora la stalla di famiglia del papà di Piera, Nello Veneriaz, operaio alla Cogne, sempre mucche nere e reines in famiglia, una passione portata avanti, dopo la sua scomparsa, dalla mamma Paolina Brunet.
Con Piera al proprio fianco e con la nascita di Jadir nel 1996, Gelsomino Vallet aveva raggiunto il suo equilibrio. Però rischiò di perderlo nel 2015, per dei seri problemi cardiaci che portarono a un delicato intervento chirurgico ed alla scelta di ridimensionare l’azienda, diminuendo il numero di capi, senza mai rinunciare però alla sua estate in montagna.
A Jadir, diplomato all’Institut Agricole, Piera e Gelso avevano trasmesso un mondo di tradizioni, l’amore per l’allevamento, la passione per lo tsan, la bellezza dei collari cuciti con pazienza. La stessa pazienza che Gelsomino Vallet metteva nella preparazione delle sue reines, uomo di programmazione. E così malgrado le voci di un concorso facile a Pasquetta a Quart ha voluto puntare su Saint-Marcel, convinto come sempre delle sue scelte: sabato mattina finiti i lavori della stalla, lavato il trattore, si è preparato per pesare le regine. Piera lo ha aspettato, lo ha cercato, lo ha chiamato, Gelso non ha risposto: lo hanno trovato a terra, incosciente, vicino al parco dei vitelli.
La corsa in ambulanza, l’immediato ricovero in rianimazione, le poche speranze dei medici, la decisione sofferta di portare comunque le reines a combattere a Saint-Marcel come lui avrebbe voluto, dopo che le aveva preparate con cura, la qualificazione di Tito domenica e quegli sguardi al cielo a pensare a lui, “Gelsomino è qui, papà è qui”, una commozione estrema.
Gelso ha atteso ancora qualche ora per lasciarci, ma il gesto di donare gli organi è l’ulteriore testimonianza di quanto la sofferenza subita possa aiutare altri a non soffrire. Gelsomino Vallet parlava soprattutto con i fatti e così è stato anche all’ultimo, fino al funerale di mercoledì scorso, 10 aprile, nella chiesa di Nus.