Pietro Chasseur, addio all’ultimo socio fondatore della sottosezione del Cai di Saint-Barthélemy
Si chiamava Pietro Chasseur ma tutti lo conoscevano come Piero. Eppure in quel nome registrato all’anagrafe c’era già il suo destino: l’amore per le pietre delle sue montagne, salire in alto per poterle toccare così come sono state disposte dalla maestria del Creato; ma anche collocarle lui stesso, con pazienza e naturale abilità, nel suo lavoro da muratore. Era l’ultimo socio fondatore ancora vivente della sottosezione del Cai di Saint-Barthélemy, che proprio nello scorso mese di febbraio ha festeggiato i suoi 50 anni. Con lui se ne va un pezzo di storia, come sapevano le tante persone che sono salite fino alla chiesa parrocchiale di Lignan mercoledì 6 marzo scorso per portargli un ultimo saluto durante i funerali celebrati da 4 sacerdoti: don Ivano Reboulaz, don Piero Lombard, don Giuliano Reboulaz e don Zbigniew Kowalczyk.
Era nato il 19 novembre del 1939 da mamma Linda Janin - mancata quando lui aveva solo 2 anni - e papà Emanuele, una figura quasi “mitica” di Saint-Barthélemy, il primo a portare la corrente elettrica fin lassù. La sua non è mai stata una vita facile, fin da quando, appena ventenne, ha perso anche il papà, dovendo diventare adulto molto in fretta. Il suo lavoro da ragazzo fu quello di portare su e giù dagli alpeggi materiali e prodotti con il mulo. Poi divenne muratore. Fu impiegato anche nella costruzione del Traforo del Gran San Bernardo, che fu inaugurato esattamente 60 anni fa, il 19 marzo del 1964 (si veda altro servizio a pagina 26).
Nella verticalità della montagna, nel sacrificio dell’ascesa trovò una delle sue principali ragioni di vita. Il 9 febbraio del 1974 - insieme a Cesare Petitjacques, Enrico Marcoz e Roberto Reboulaz, fratello dell’attuale reggente Piermauro - diede vita alla sottosezione del Cai di Saint-Barthélemy, che oggi conta ben 170 soci. Conosceva tutte le montagne della Valle d’Aosta e su tutte era salito: mai, però, animato dallo spirito della conquista a tutti i costi; alpinista e scialpinista esperto, era sempre prudente ed evitava i rischi inutili. Saggio e moderato, come i veri montanari. Soprattutto, era un uomo buono, che ha trascorso la sua esistenza a trasmettere pace con il suo spirito gentile. Era disponibile per tutti ma non amava le luci della ribalta e ha sempre preferito stare in secondo piano, anche ai vertici della sottosezione del Cai. Quando c’era bisogno di aiuto, però, non si tirava mai indietro, mettendo a disposizione la sua arte di muratore ad esempio nella posa di varie croci sulle vette, nella costruzione, nel 1993, del bivacco dedicato a Luca Reboulaz, così come nei lavori di ristrutturazione del Rifugio Cuney, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, accanto al santuario alla cui Vergine Piero Chasseur era tanto devoto. Proprio lui aveva più volte risistemato il “Passet”, il tratto esposto e attrezzato con catene che si affronta salendo a Cuney. In quello che era il suo “posto del cuore” saliva varie volte ogni anno e non mancava mai alla festa della Madonna delle Nevi del 5 agosto, tanto che l’unica volta che non potè essere presente, tutti gli amici, scendendo a valle, passarono a casa sua per vedere se stesse bene. Era stato anche un grande appassionato di tsan: nella squadra del Saint-Barthélemy lo chiamavano “lo pappa” perché, nell’ultimo periodo di attività, era più grande ed esperto dei suoi compagni di squadra. Viveva a Nus ma tutto il tempo che poteva lo trascorreva nella casa di Lignan che aveva ristrutturato e dove aveva costruito anche un forno, sul modello dei vecchi forni di villaggio, dove ogni anno si cuoceva il pane. Vederlo lavorare era una magia: dotato di una grande capacità di osservazione, sapeva disporre qualsiasi pietra esattamente al suo posto, con un risultato naturale e armonioso. Uomo concreto e di poche parole, diceva che bisognava ascoltare tutti ma parlare con pochi. E ogni sua parola era ponderata con cura. Pochi giorni fa si era sottoposto a un intervento al cuore di routine e dopo un paio di giorni era stato dimesso dall’ospedale. Sembrava in forma, come sempre. Poi, improvvisamente, è stato chiamato a scalare le montagne del cielo.
Lascia la moglie Marcella Hugonin (con la quale avrebbe festeggiato 60 anni di matrimonio nel prossimo mese di settembre), i figli Roberto e Ivo, il fratello Fernando e le sorelle Mary e Felicita.