Dall’intervento alla colonna cervicale allo Shisha Pangma Hervé Barmasse incanta gli studenti con il suo racconto
Hervé Barmasse diventa testimonial del Nico, l’Istituto di Neuroscienze Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino e racconta al pubblico il suo percorso al primo Ottomila partendo da un letto del reparto di Neurochirurgia.
Martedì scorso, 23 gennaio, nell’aula «Giuseppe Levi» dell’Istituto di Anatomia, Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, Hervé Barmasse ha letteralmente «incantato» un pubblico variegato di studenti, medici e persone interessate a vario titolo alle malattie neurodegenerative, con la conferenza «L’impossibile non esiste».
Il titolo, come ha ricordato nell’introduzione il rettore dell’ateneo torinese Gian Maria Ajani, ben si addice non solo alla storia personale dell’alpinista di Valtournenche, ma anche alla ricerca medica, sia di base, in laboratorio, sia clinica, al letto del malato.
Hervé Barmasse, dopo aver ripercorso la sua infanzia e la sua giovinezza ai piedi del Cervino, ha ricordato l’importanza della «cordata», in montagna e nella ricerca, per superare momenti drammatici o difficili. Se la scalata a un Ottomila comincia di solito dal campo base, per Hervé Barmasse l’ascensione dello Shisha Pangma è cominciata 2 anni prima, da una risonanza magnetica alla colonna cervicale.
«Nel 2012 avevo cominciato ad avere problemi del tipo formicolio alle mani, dolori a un braccio e al collo. - ha rivelato Hervé Barmasse - Dopo aver consultato il neurochirurgo Diego Garbossa avevo osservato un lungo periodo di riposo. Poi ero tornato alla piena attività concatenando nel marzo del 2014 la salita delle 4 creste del Cervino in solitaria. Successivamente erano tornati i problemi: non riuscivo a dormire per i dolori e quando ho visto che in poco tempo avevo perso 13 chili, nonostante la paura di non riuscire a tornare a essere l’atleta di prima, ho dovuto affrontare l’intervento alla colonna cervicale. E subito mi sono dato un obiettivo: scalare un Ottomila e in stile alpino».
Dal gennaio del 2015, con in mezzo anche un intervento al ginocchio sinistro, Hervé Barmasse ha lavorato duramente, con sedute di fisioterapia e gli allenamenti, per ritrovare la forma fisica. Quando era pronto e già aveva passato un periodo di acclimatamento in Nepal con la guida alpina bavarese David Göttler, ecco un altro ostacolo. A fine aprile sul Nuptse era morto l’alpinista svizzero Ueli Steck, con il quale aveva condiviso parte della preparazione allo Shisha Pangma.
«Ho pensato di interrompere la spedizione, poi anche su invito della moglie di Ueli, David ed io abbiamo continuato nel programma e a metà maggio in 13 ore, dai 5.800 metri del campo base siamo arrivati fino a quota 8.024, quasi in cima. Mancare quegli ultimi 3 metri, molto pericolosi, per qualcuno è stata una sconfitta, per me è stata la differenza tra la vita e la morte. Tutti hanno un loro “Ottomila” e niente è più importante che perseguire i propri obiettivi e lavorare con passione per essere sereni e felici», ha concluso Hervé Barmasse.
Il lavoro del Nico, come è stato spiegato dal neurochirurgo Diego Carbossa e dalle ricercatrici Marina Boido e Annalisa Buffa, è anch’esso un lavoro di cordata su più fronti. Sulle lesioni vertebro midollari si agisce a più livelli, dal precoce intervento chirurgico, all’uso di farmaci per favorire i neuroni sopravvissuti e promuovere la ricrescita delle fibre nervose danneggiate, alla riabilitazione con la fisioterapia e l’esercizio per selezionare e stabilizzare i nuovi circuiti funzionali; una scalata, altrettanto impegnativa di quella a un Ottomila, che richiede il sostegno di molti.