IVAN JABLONKASTORIA DEI NONNI CHE NON HO AVUTO
I protagonisti della vicenda sono Matès e Idesa, nonni paterni dell’autore. Erano nati nella cittadina di Panczew nel contesto religioso e tradizionale del mondo ebraico polacco, ma prenderanno presto le distanze dall’ambiente natio. Aderiscono al Partito Comunista, trovandosi così fin dalla più giovane età confrontati da un lato con un crescente e violento antisemitismo, dall’altro con l’oscurantismo di un certo mondo ebraico. Arresti, fame e violenze li spingono alla scelta radicale dell’esilio in Francia. La Francia, pur storica terra d’asilo, non li accoglierà a braccia aperte. Sono anni difficili, di diffidenza, di discriminazione, in cui pesa la presenza di molti profughi e antifascisti italiani, tedeschi e spagnoli e il palesarsi di un'estrema destra francese xenofoba il cui ruolo non è privo di peso nel contesto degli anni Trenta. La coppia avrà due figli, Suzanne nel 1939 e l'anno seguente, nel maggio 1940 Moyshele-Marcel, padre dell’autore. Matès, come molti altri profughi ebrei polacchi, si arruolerà come volontario nella Légion Etrangère nel ’39 e parteciperà alle sanguinose battaglie dell’estate ’40. Matès e Idesa vengono arrestati nel corso di un rastrellamento nel febbraio ’43, ma riescono a mettere in salvo i propri figli affidandoli a una coppia di amici francesi: Constant e Ivette. Poi sarà Drancy e quindi Auschwitz. Idesa sarà presumibilmente uccisa il giorno stesso del suo arrivo, Matès forse qualche tempo dopo. Quello di Ivan Jablonka non è né un «récit» né una agiografia: è il lavoro di uno storico intransigente e minuzioso, che ha viaggiato in Polonia, Israele e Argentina per raccogliere le ultime possibili testimonianze. Ne emerge un’opera potente sul piano narrativo, che introduce il lettore a uno spazio in evoluzione che è quello del rapporto tra la letteratura e le scienze sociali. Le pagine di Jablonka evocano a tratti l’opera di Modiano o di Georges Perec, il racconto minuzioso che non si accontenta delle coincidenze, ma anche la Parigi di Belleville e Ménilmontant, uno spaccato di storia urbana e sociale nel cuore di una metropoli attraverso la quale possiamo rileggere la storia dell’Europa del Novecento. Se è pur vero che la “sofferenza non ha parole” la memoria e la ricerca della verità vivono di parole, della loro densità, della loro geometria, della loro capacità di allargare in noi l’area della coscienza.