L’artigianato, la politica, lo sci, il calcio e l’impegno per Sarre Roberto Vallet si racconta

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Le tappe della vita di Roberto Vallet si intrecciano in una sorta di linea di continuità con quelle del nonno Octave e del papà Gratien, entrambi pilastri della comunità di Sarre, tanto che il senso del dovere e soprattutto di servizio verso il proprio paese caratterizzano la storia e le vicende che, seppur in un contesto generazionale diverso, rendono ancora più unita la famiglia Vallet.

Una famiglia di origini rurali, da sempre al Petit Cré dove Octave Vallet, classe 1910, alternava, come tanti all’epoca, il lavoro della campagna con i turni alla Cogne, sostenuto dalla moglie Angèle Provasi, più vecchia di lui di 7 anni e nativa di Sarre, la mamma era Virginie Boniface e il papà il milanese Cesare Provasi, la quale oltre ad occuparsi delle faccende domestiche non faceva mai mancare il proprio contributo nelle attività agricole. Tra i loro 4 figli, Gratien del 1933 era il secondo, dopo Corrado nel 1932 e prima di Marisa del 1936 e Luigino del 1942.

“In effetti nonno Octave mancato nel 1984, ad una settimana di distanza da nonna Angèle, non è stato solo agricoltore ed operaio - ricorda Roberto Vallet - visto che ha svolto anche ruoli importanti nella socialità di Sarre, essendo segretario della Société Ouvrière de Secours Mutuel, consigliere comunale, direttore della Banda musicale “La Rinascente”, giudice conciliatore, tutte attività di rilievo nel contesto del tempo.”

Invece Gratien e la moglie Iole Menegatti, erano coetanei del 1933. “La mamma era di origini venete. La nonna Emilia Biasia del 1904, detta Amelia, veniva da Battaglia nel padovano mentre il nonno Luigi del 1900 è giunto ad Aosta avendo trovato occupazione alla Cogne, dopo diverse peripezie che per un certo periodo lo hanno portato anche in America.” E’ a Sarre che Gratien vide Iole per la prima volta. I Biasia gestivano la cascina del castello reale e durante l’estate Iole trascorreva le vacanze estive con i cuginetti, frequentando quindi gli altri ragazzi del paese. All’amicizia, seguì il fidanzamento fino al matrimonio celebrato a Sarre il 14 settembre 1957. Poi il trasferimento ad Aosta, in attesa di poter costruire la casa di famiglia in un terreno messo a disposizione da nonno Octave, “Tave”, un edificio destinato ad accogliere i suoi quattro figli che venne completato nel corso del 1966, con conseguente ritorno a Sarre nel mese novembre.

Nel frattempo il 7 dicembre del 1958 Iole e Gratien festeggiarono la nascita ad Aosta nel loro primogenito Roberto. “Ho vissuto i miei primi anni in città, frequentando l’asilo Monseigneur Jourdain e il primo anno di scuola a Saint-Martin-de- Corléans. Dalla seconda elementare ho iniziato la mia vita a Sarre, entrando fin da subito nelle dinamiche che in quegli anni regolavano i rapporti e che erano nettamente diverse da quelle aostane. Proprio nel 1967 nacque mio fratello Michel e così siamo cresciuti insieme in paese, in assoluta libertà, sempre però nel solco degli insegnamenti e delle tradizioni familiari, con particolare riferimento alle radici paterne, nonno “Tave” e papà sono stati infatti i nostri naturali riferimenti, sia in famiglia sia nella comunità.”

Gratien infatti ha sempre coadiuvato nel tempo libero, insieme ai fratelli, Octave nei lavori della campagna, offrendo la propria disponibilità nell’ambito dell’organizzazione sociale di Sarre, in particolare come consigliere ed assessore comunale, fino a sindaco dal 1985 al 1990, in un lasso di tempo di grandi trasformazioni per il paese. “Da questo punto di vista insieme a mio fratello Michel - sottolinea Roberto Vallet - abbiamo ereditato e sviluppato, seppur separatamente, le medesime loro passioni: Michel principalmente in ambito agricolo, viticoltore come il nonno “Tave”, ed io soprattutto in ambito sociale.”

Per Roberto arriva il Liceo scientifico ad Aosta e poi il Politecnico a Torino, Facoltà di Ingegneria. “Era la fine degli anni Settanta, gli anni cosiddetti di piombo, la vita a Torino non era particolarmente piacevole. Novembre, dicembre, mi mancavano il paese e gli amici, il sole e la neve, laggiù solo tanta nebbia ed umidità, fatto sta che a febbraio 1978, dopo aver superato positivamente il primo esame, sono tornato a casa e ho detto a mio padre che non avevo più intenzione di scendere a Torino. Me lo vedo ancora, mentre mi da la risposta che già mi aspettavo: “Te penserè pà de resti dzeusu é fiie ren tò lo dzor”. Detto fatto, il giorno dopo andai da un amico elettricista e gli chiesi se avesse bisogno di un operaio, poco esperto ma con tanta buona volontà. Passò ben poco tempo che mi ritrovai così in cantiere con punta e mazzetta a scavare tracce, passare tubi e sigillare scatole. Il tutto durò pochi mesi, faticosi ed intensi, ma anche divertenti. Un periodo che ha contribuito ad aggiungere qualcosa di importante al bagaglio che mi ero costruito nei precedenti anni di studio, qualcosa che mi è poi stato molto utile nel successivo percorso di vita. Nel frattempo partecipai a un concorso della Regione mi ha consentito di avviare una nuova fase, dapprima nel contesto scolastico e successivamente nell’EVArT, l’Ente regionale per la promozione e tutela dell’artigianato valdostano di tradizione, ricostituito nel 1985 come IVAT, inizialmente come responsabile amministrativo poi come direttore una quindicina d’anni, fino alla pensione nel gennaio 2021.”

In questa sua esperienza lavorativa Roberto Vallet ha seguito in prima persona la radicale evoluzione del nostro artigianato di tradizione. “Da quello che era un mondo prettamente rurale con attività prevalentemente manuali, si è passati alla meccanizzazione ed ora dalla digitalizzazione. Accompagnare questi cambiamenti non è stato semplice, abbiamo avuto discussioni e contrasti, con mediazioni che hanno condotto alla stesura di norme che hanno consentito, credo, di mantenere salda la rotta verso l’obiettivo della tutela dell’originalità e dell’identità dell’essere artigiano valdostano che era la missione affidata all’IVAT. A questo proposito mi piace ricordare la creazione del MAV, il Museo dell’Artigianato Valdostano di tradizione, pensato già sul finire dell'Ottocento ma realizzato, purtroppo o per fortuna, nel primo decennio degli anni Duemila, un museo che diventa per gli addetti ai lavori un punto di riferimento e di conservazione di quelle che sono le radici dell’artigianato di tradizione in Valle d’Aosta.”

A fianco all’impegno professionale, non poteva mancare per Roberto Vallet la passione per la politica, seguendo la traccia profonda di continuità con il papà Gratien e il nonno “Tave”. “Da loro ho ereditato l’approccio all’amministrazione pubblica inteso come puro servizio nei confronti della comunità. Un’eredità maturata nel quotidiano, ascoltando i miei genitori commentare le diverse notizie oppure discutere in occasione di manifestazioni insieme agli amici. Un bambino difficilmente ha la capacità di intervenire, ma come una carta assorbente raccoglie ed immagazzina, per poi, successivamente, ricordare e riutilizzare. L'impegno di papà a favore della comunità mi ha permesso in gioventù di partecipare a tante delle attività proposte sul territorio, soprattutto in ambito sportivo: ricordo i primi Giochi della Gioventù sia estivi che invernali, le competizioni di fondo con lo Sci Club Sarre poi il calcio con la Polisportiva Sarre Chesallet, dove ho militato dai sedici fino ai quasi trenta anni, con il naturale passaggio dal ruolo di atleta a quello di dirigente.”

“Comunque - ricorda Roberto Vallet - è stato nonno “Tave” a fare scattare in me la scintilla dell’impegno comunitario, nel 1980, proponendomi di prendere il suo posto nell’ambito della Société Ouvrière de Secours Mutuel di Sarre/Chesallet, organizzazione nata nel 1904 per aiutare i soci a superare i momenti di difficoltà. Lui era il segretario fin dal 1930 e mi propose dapprima l’iscrizione e, successivamente, la disponibilità ad assumere proprio il suo ruolo. Accettai, cosciente di potere contare sul suo sostegno, almeno nei primi anni, e così mi ritrovai poco più che ventenne a confrontarmi con un gruppo di persone molto più anziano ed esperto di me. Un’esperienza bellissima, un passaggio necessario verso contesti più “politici”, come è stato per me in occasione delle elezioni comunali del 1995. Sono stato eletto per la prima volta in Consiglio a Sarre, con sindaco Diego Empereur, ottenendo un buon risultato personale e subito coinvolto nella formazione della nuova Giunta come assessore a Pubblica istruzione, politiche giovanili e sport. Per altri due mandati nel 2000 e nel 2005 sono stato vice sindaco, mantenendo le stesse deleghe. Nel 2008 Diego Empereur venne eletto in Consiglio Valle nell’Union Valdôtaine e così sono subentrato come sindaco per due anni, per poi ottenere un ulteriore conferma di cinque anni, dal 2010 al 2015.”

Il sindaco Roberto Vallet ha così accompagnato Sarre in una fase delicata della vita amministrativa, considerata la crisi economica mondiale ed i tagli di fondi ai Comuni, ma per lui non sono mancate le soddisfazioni in un arco di vent’anni di impegno. “Mi piace ricordare il totale rinnovamento dei tre complessi scolastici di Sarre. Avevamo quattro edifici distribuiti sul territorio tutti con un disperato bisogno di essere ristrutturati. Erano anni conseguenti al forte sviluppo demografico, circa trecento bambini si iscrivevano alle elementari, centocinquanta all’asilo. Dal 1996 al 2004 siamo riusciti a reperire i finanziamenti e a portare a compimento un percorso importante che ha visto rinascere tutte le strutture didattiche con in aggiunta i nuovi servizi all’infanzia. E’ stato un grande lavoro collegiale che ancora oggi mi rende orgoglioso, concluso nel 2005 con l’intitolazione dei tre plessi alla memoria di personaggi di Sarre, come Cirillo Blanc, lungimirante sindaco ed assessore regionale, Ottavio Berard, ufficiale e famoso fotografo e documentarista, e Venance Bernin, poeta patoisan e cultore delle nostre tradizioni."

Ora è la passione per la montagna, nata in età giovanile, che caratterizza i giorni di Roberto Vallet. “All’inizio degli anni Ottanta ho iniziato a frequentare i sentieri del Parco del Gran Paradiso. I miei amici amavano muoversi in silenzio, armati di binocolo e macchina fotografica, cercando nei boschi e tra le rocce soggetti che per me, allora, erano fantasmi: lepri, pernici, volpi, cervi, fagiani, ermellini, animali di cui fino ad allora avevo sentito parlare solo in rare occasioni. Non so dire il perché ma è immediatamente scattata una molla, ho acquistato la prima macchina fotografica, i teleobiettivi, un binocolo pesantissimo, e ho iniziato a vagare, con pochi risultati apprezzabili ma sempre con la sensazione che il miglioramento sarebbe solo stato questione di tempo. Allora le attrezzature non erano sempre professionali e comunque costavano parecchio; le impostazioni erano esclusivamente manuali e non si pensava assolutamente all’autofocus; si fotografava su pellicola che doveva poi essere inviata in laboratorio per lo sviluppo ed era d’obbligo risparmiare sugli scatti perché tutto il percorso diventava costoso. Nel 2015, quando ho ripreso a coltivare la mia passione, ho avuto la conferma di come fosse cambiato tutto anche in questo campo, per cui ho necessariamente dovuto adeguarmi alle novità, affrontando il confronto inevitabile con il digitale e con la nuova tecnica fotografica. Ho verificato, con stupore, di quanto l’interesse per la fotografia naturalistica in genere e di montagna in particolare fosse andato crescendo nel tempo: se agli inizi degli anni Ottanta, nell’arco di una stagione incontravi una cinquantina di persone in giro nel Parco, oggi questi numeri sono quanto meno decuplicati. Se prima le tue fotografie potevi presentarle raramente, magari in occasione di proiezioni agli amici, oppure in località turistiche o attraverso momenti divulgativi nelle scuole e le possibilità di pubblicazione erano riservate a libri o a riviste specializzate, dall’avvento dei canali social c’è ormai l’opportunità di mostrare a migliaia di persone quotidianamente i propri scatti e di avviare discussioni in qualsiasi momento, con continui confronti che consentono anche di migliorare la propria capacità tecnica o anche semplicemente espressiva. D’altro canto, negli ultimi anni l’ambiente in generale e quello della montagna, la nostra montagna, in particolare, sta vivendo un momento di forte malessere, in ragione dei cambiamenti climatici che stanno incidendo pesantemente sullo stato dei boschi e dei ghiacciai, soprattutto. Le stagioni hanno andamenti diversi rispetto a quelle a cui eravamo abituati e noi che abbiamo la fortuna di poter frequentare con continuità le medesime zone ogni anno percepiamo con tristezza le conseguenze di questi cambiamenti. Sono fortemente preoccupato per le condizioni in cui lasceremo il nostro pianeta alle generazioni future.”

Ed è alle generazioni di domani che Roberto Vallet dedica un ultimo pensiero: “Confido nel fatto che i giovani d’oggi riescano ad esprimere appieno il potenziale di cui dispongono, sappiano confrontarsi con il contesto in cui si trovano, chiaramente diverso da quello che abbiamo avuto noi, e che vogliano assumersi le responsabilità che appartengono loro, come noi abbiamo fatto nei confronti di quanti ci hanno proceduto. Quello che a noi “più esperti” compete è di saperli accompagnare nel loro percorso, incoraggiandoli ed anche riprendendoli qualora se ne verificasse la necessità, affinché riescano a realizzarsi secondo i loro sogni, che poi alla fine sono anche i nostri sogni.”

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